La ritorsione iraniana e la ‘risposta’ israeliana: Vincitori, vinti e il nuovo paradigma di potere

L’Iran è emerso più forte (Foto: Palestine Chronicle)

By Redazione Palestine Chronicle

Subito dopo l’attacco del 13 aprile, che ha visto impiegati 360 droni suicidi, missili balistici e simili, le notizie da Israele sono giunte piuttosto confuse.

Tre piccole esplosioni sono state udite nella città iraniana di Isfahan, distretto centrale del paese, subito dopo la mezzanotte di venerdì 19 aprile. Nel giro di pochi minuti è stato chiaro che la tanto decantata risposta israeliana aveva avuto luogo.

La risposta in questione è una ritorsione israeliana al massiccio attacco iraniano contro Israele, del 13 aprile, a sua volta una ritorsione all’attacco mortale israeliano e alla distruzione del consolato iraniano di Damasco il 1° aprile.

Nel giro di un’ora circa, il Governo, l’esercito e i media degli Stati Uniti  rassicuravano gli iraniani sul fatto che Washington non aveva avuto alcun ruolo nell’attacco israeliano, e che l’attacco non aveva preso di mira gli impianti nucleari iraniani o simili.

L’Iran ha dato la colpa agli “infiltrati”, sminuendo l’attacco israeliano. In effetti, la posizione iraniana è giustificata.

Il successo dell’Iran

Inizialmente, e quasi immediatamente, gli israeliani hanno affermato che ben il 99% di tutti i droni e missili iraniani sono stati abbattuti da Israele e dagli alleati, compresi gli eserciti arabi.

Il numero, tuttavia, non tornava, soprattutto quando sono arrivate riprese video amatoriali, che mostravano colpi diretti su obiettivi israeliani e forti esplosioni in tutto il paese.

Successivamente, fughe di notizie, dichiarazioni dirette e analisi dei media hanno cominciato a mettere in discussione le trionfanti e, in ultima analisi, errate accuse israeliane.

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Il quotidiano israeliano Maariv ha aggiornato all’84% il numero di intercettazioni israeliane riuscite di attacchi iraniani. Fonti della CIA hanno inoltre rivelato che, senza l’intervento americano, l’attacco iraniano avrebbe avuto un impatto più forte.

Inoltre, è emersa la notizia che due campi militari israeliani nel deserto del Naqab sono stati direttamente colpiti,  e che i danni – a differenza di quanto affermato in precedenza – erano ingenti.

Tutto questo ha spostato i calcoli di Israele sulla necessità di rispondere, nella speranza di ripristinare la cosiddetta strategia di deterrenza in Medio Oriente.

La non risposta

Per anni, l’esercito e l’intelligence israeliani sono stati attivi in ​​Iran, utilizzando forze antigovernative e sfruttando le divisioni etniche e politiche del paese.

Nel gennaio 2023, la città di Ifsahan è stata oggetto di quel che si credeva un attacco di droni israeliani, proveniente dallo stesso Iran. Aveva causato una grande esplosione nel centro della città, ma secondo le affermazioni dell’Iran, ben pochi danni.

Quella non è stata la prima, né l’ultima infiltrazione in Iran da parte del Mossad israeliano, e dei suoi agenti.

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L’ultimo attacco israeliano, utilizzando tre piccoli droni, può essere visto nel contesto geopolitico degli attacchi precedenti, e difficilmente può essere considerato una risposta convincente, considerata la potente dimostrazione di forza iraniana del 13 aprile.

Ma perché Israele ha scelto una risposta così silenziosa all’attacco iraniano?

‘Entro pochi secondi’

I politici e i leader iraniani avevano promesso una ritorsione “entro pochi secondi” se Israele avesse attaccato l’Iran. Sembra che gli israeliani, e i loro alleati americani, abbiano compreso la gravità della minaccia iraniana e quindi limitato la risposta.

Inoltre, l’ultimo attacco israeliano molto probabilmente ha avuto origine dall’Iran, il che rappresenta un ritorno alle vecchie regole del gioco – la cosiddetta guerra ombra tra i due paesi. Anche l’Iran sta giocando a questo gioco, in modo diretto o avvalendosi degli alleati in Iraq, Libano e Yemen.

Quindi, per l’Iran, la risposta di Israele non imponeva un contrattacco in pochi secondi, non c’era bisogno di un’ulteriore escalation.

Il missile

C’è poi la questione del relitto di un missile israeliano, ritrovato in Iraq. Gli analisti militari suggeriscono che il missile israeliano sia stato sviluppato utilizzando la tecnologia inversa del missile Shahab iraniano.

Questo particolare missile può essere lanciato solo da un aereo da caccia, dato che Israele non ha la portata per sparare contro l’Iran da Israele stesso, e che i suoi caccia non potrebbero percorrere una tale distanza con carichi di esplosivi elevati.

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Se questa analisi è corretta, significa che le capacità dei missili israeliani non sono riuscite a contrastare la più avanzata tecnologia missilistica iraniana.

In ogni caso, sembra che Israele sia felice che questo  episodio finisca così, con un enorme allontanamento dall’atteggiamento arrogante dei leader israeliani, in particolare del Primo Ministro Benjamin Netanyahu.

Per anni, in passato, Netanyahu è stato molto impegnato in un teatrino politico, suonando tamburi di guerra e minacciando che avrebbe attaccato da solo gli impianti nucleari iraniani, indipendentemente dalle conseguenze.

Da parte sua, anche l’Occidente si è impegnato in una certa teatralità, implorando e supplicando Israele di non attaccare l’Iran.

Il 13 aprile avrebbe potuto essere un’occasione storica per mettere in atto le minacce israeliane, dal momento che l’Occidente si è schierato fermamente a sostegno del suo “diritto all’autodifesa”, condannando l’Iran nel linguaggio più forte possibile.

Ma Israele non ha sfruttato l’opportunità, semplicemente perché non ha la tecnologia, né la capacità per sostenere una guerra a lungo termine con Teheran.

L’Iran ne è emerso più forte, poiché ha dimostrato la sua capacità di operare a livello militare, politico, diplomatico e strategico.

Non è esagerato affermare che l’attacco iraniano a Israele, e la “risposta” israeliana, si sono rivelati un punto di svolta, non solo nella storia del conflitto tra Iran e Israele, ma, come il tempo dimostrerà, nelle dinamiche di potere che hanno governato la regione per decenni.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

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