Fermare il genocidio israeliano: Cosa dovrebbero fare i leader mondiali

I massacri a Gaza continuano. (Photo: Eyes on Palestine)

By Medea Benjamin & Nicolas J.S. Davies

Il clamore popolare per porre fine al massacro continua a crescere, ma i leader mondiali devono andare oltre le votazioni e le indagini non vincolanti.

Venerdì 8 dicembre, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è riunito ai sensi dell’Articolo 99  per la quarta volta nella storia dell’ONU. 

L’articolo 99 è una disposizione di emergenza, che consente al Segretario Generale di convocare il Consiglio per rispondere a una crisi che “minaccia il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”. 

Le occasioni precedenti sono state l’invasione belga del Congo nel 1960, la crisi degli ostaggi presso l’ambasciata americana in Iran nel 1979, e la guerra civile in Libano del 1989.

Il Segretario Generale Antonio Guterres ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza di aver invocato l’articolo 99 per chiedere un “cessate il fuoco immediato” sulla Striscia di Gaza, dichiarando inoltre che “siamo a un punto di rottura”, con un “alto rischio di collasso totale del sistema di sostegno umanitario a Gaza. “ 

Gli Emirati Arabi Uniti hanno redatto una risoluzione per il cessate il fuoco, che ha rapidamente raccolto 97 sostenitori.

Il Programma Alimentare Mondiale ha riferito che Gaza è sull’orlo della fame di massa, nove persone su dieci trascorrono intere giornate senza cibo. 

Due giorni prima che Guterres invocasse l’articolo 99, Rafah era l’unico dei cinque distretti di Gaza a cui l’ONU poteva fornire aiuti.

Il Segretario Generale ha sottolineato che “La brutalità perpetrata da Hamas non potrà mai giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese. Il diritto internazionale umanitario non può essere applicato in modo selettivo. È vincolante per tutte le parti, allo stesso modo, in ogni momento, e l’obbligo di osservarlo non dipende dalla reciprocità”.

Guterres ha poi concluso dicendo: “Il popolo di Gaza sta guardando un abisso. Gli occhi del mondo, e gli occhi della storia, stanno guardando. È ora di agire”.

I membri delle Nazioni Unite hanno lanciato appelli eloquenti e persuasivi per l’immediato cessate il fuoco richiesto dalla risoluzione, e il Consiglio ha votato tredici contro uno, con l’astensione del Regno Unito, per approvare la risoluzione. 

Ma l’unico voto contrario degli Stati Uniti, uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza con diritto di veto, ha stroncato la risoluzione, lasciando il Consiglio impossibilitato ad agire, come aveva avvertito il Segretario Generale.

Questo è stato il sedicesimo veto del Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti dal 2000, e quattordici di questi veti sono serviti a proteggere Israele, e/o la politica statunitense su Israele e Palestina, da azioni o responsabilità internazionali.

Russia e Cina hanno posto il veto su risoluzioni riguardo una serie di questioni nel mondo, dal Myanmar al Venezuela, ma non c’è parallelo per l’uso del veto da parte degli Stati Uniti, usato principalmente per garantire un’impunità eccezionale ai sensi del diritto internazionale per un altro paese.

Le conseguenze di questo veto non potrebbero essere più gravi. Come ha detto al Consiglio l’Ambasciatore brasiliano all’ONU Sérgio França Danese, se gli Stati Uniti non avessero posto il veto su una precedente risoluzione redatta dal Brasile il 18 ottobre, “migliaia di vite sarebbero state salvate”. 

E come ha chiesto il rappresentante indonesiano: “Quanti ancora dovranno morire, prima che questo implacabile assalto venga fermato? 20.000? 50.000? 100.000?”

In seguito al precedente veto degli Stati Uniti sul cessate il fuoco al Consiglio di Sicurezza, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha accolto l’appello globale per un cessate il fuoco e la risoluzione, sponsorizzata dalla Giordania, è stata approvata con 120 voti favorevoli, 14 contrari e 45 astensioni. 

I 12 piccoli paesi che hanno votato con gli Stati Uniti e Israele, rappresentano meno dell’1% della popolazione mondiale.

L’isolata posizione diplomatica in cui si sono trovati gli Stati Uniti, dovrebbe essere un campanello d’allarme, soprattutto a distanza di una settimana dal sondaggio di Data For Progress, il quale ha rilevato che il 66% degli americani vuole un cessate il fuoco, e un sondaggio di Mariiv che solo il 29% degli israeliani appoggia l’invasione via terra di Gaza.

Gli Stati Uniti hanno di nuovo sbattuto la porta in faccia al Consiglio di Sicurezza l’8 dicembre, ma il disperato bisogno di porre fine a questo massacro su Gaza, è ritornato presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 12 dicembre. 

Una risoluzione identica a quella a cui gli Stati Uniti avevano posto il veto nel Consiglio di Sicurezza, è stata approvata con 153 voti favorevoli e 10 contrari, con 33 sì in più rispetto a quello di ottobre. 

Anche se le risoluzioni dell’Assemblea Generale non sono vincolanti, hanno comunque un peso politico, e questa risoluzione invia un chiaro messaggio di disgusto da parte della comunità internazionale riguardo la carneficina in atto a Gaza.

Esiste un altro potente strumento che il mondo può utilizzare per porre fine al massacro, ed è la Convenzione sul Genocidio, e sia Israele che gli Stati Uniti lo avevano convalidato. 

Basta un solo paese per portare il caso davanti alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) ai sensi della Convenzione e, anche se i casi possono trascinarsi per anni, nel frattempo l’ICJ può adottare misure preliminari per proteggere le vittime.

Il 23 gennaio 2020, la Corte ha intrapreso una causa da parte del Gambia contro il Myanmar, per presunto genocidio contro la minoranza Rohingya. 

Nel corso di una brutale campagna militare, alla fine del 2017, il Myanmar ha massacrato decine di migliaia di Rohingya e bruciato decine di villaggi. 740.000 Rohingya sono fuggiti in Bangladesh, e una missione di accertamento sostenuta dalle Nazioni Unite, ha scoperto che i 600.000 rimasti in Myanmar “potrebbero affrontare una minaccia di genocidio più grande che mai”.

La Cina ha posto il veto a un rinvio alla Corte penale internazionale (CPI) nel Consiglio di sicurezza, quindi il Gambia, che si sta riprendendo da 20 anni di repressione sotto brutale dittatura, ha presentato il caso alla Corte Internazionale di Giustizia ai sensi della Convenzione sul Genocidio.

Questo ha portato ad una sentenza unanime di 17 giudici dell’ICJ, secondo cui il Myanmar deve fermare il genocidio contro i Rohingya, come richiesto dalla Convenzione sul Genocidio. 

L’ICJ ha emesso quella sentenza come misura preventiva, l’equivalente di un’ingiunzione preliminare in un tribunale nazionale, anche se la sentenza definitiva sul merito del caso potrebbe essere lontana. 

Ha, inoltre, ordinato al Myanmar di presentare ogni sei mesi un rapporto alla Corte per dettagliare come sta proteggendo i Rohingya, segnalando il serio controllo in corso sulla condotta del Myanmar.

Quindi, quale Paese prenderà l’iniziativa di avviare una causa della Corte Internazionale di Giustizia contro Israele, ai sensi della Convenzione sul Genocidio?

Gli attivisti ne stanno già discutendo con diversi paesi.

Roots Action e World Beyond War, hanno creato una richiesta di azione che si può utilizzare per inviare messaggi a 10 dei candidati più probabili (Sudafrica, Cile, Colombia, Giordania, Irlanda, Belize, Turchia, Bolivia, Honduras e Brasile).

Inoltre, aumentano le pressioni sulla Corte Penale Internazionale affinché si occupi del caso contro Israele. La Corte penale Internazionale si è affrettata a indagare su Hamas per crimini di guerra, ma ha ritardato le indagini su Israele. 

Dopo la recente visita nella regione del Procuratore della Corte Penale Internazionale Karim Khan, al quale non è stato permesso da Israele di entrare a Gaza, sono seguite forti critiche da parte dei palestinesi, che lo accusano di aver visitato le aree attaccate da Hamas il 7 ottobre, ma non le centinaia di insediamenti israeliani illegali, posti di blocco e campi profughi nella Cisgiordania occupata.

Finchè il mondo dovrà affrontare il tragico e debilitante abuso da parte degli Stati Uniti delle istituzioni, quelle da cui il resto dei paesi dipendono per far rispettare il diritto internazionale, le azioni economiche e diplomatiche dei singoli potrebbero avere un impatto maggiore delle loro chiacchiere a New York. 

Ci sono circa due dozzine di paesi che non riconoscono Israele, e negli ultimi due mesi Belize e Bolivia hanno reciso i legami con Israele, mentre altri – Bahrein, Ciad, Cile, Colombia, Honduras, Giordania e Turchia – hanno rimosso i loro ambasciatori.

Altri paesi stanno cercando di agire in due direzioni: condannando pubblicamente Israele, ma mantenendo i propri interessi economici. 

Al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’Egitto ha accusato esplicitamente Israele di genocidio e gli Stati Uniti di ostacolare il cessate il fuoco.

Eppure, l’alleanza di lunga data dell’Egitto con Israele nel blocco di Gaza, e il suo ruolo costante, anche attuale, nel limitare l’ingresso di aiuti umanitari attraverso i suoi valichi di frontiera, lo rendono complice del genocidio che condanna. 

Se davvero quel che dicono ha un significato, allora devono aprire i valichi di frontiera a tutti gli aiuti umanitari necessari, porre fine alla  cooperazione con il blocco israeliano, e rivalutare le relazioni ossequiose con Israele e gli Stati Uniti.

Il Qatar, che ha lavorato duramente nei negoziati per il cessate il fuoco su Gaza, è stato molto eloquente nella sua denuncia di genocidio al Consiglio di Sicurezza. 

Il Qatar ha parlato a nome del Consiglio di cooperazione del Golfo, che comprende Arabia Saudita, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti. 

In base agli Accordi di Abramo, gli sceicchi del Bahrein e degli Emirati Arabi Uniti, hanno voltato le spalle alla Palestina per sottoscrivere una varietà tossica ed egoistica di relazioni commerciali, e accordi di armi per centinaia di milioni di dollari con Israele.

A New York, gli Emirati Arabi Uniti hanno appoggiato l’ultima risoluzione del Consiglio di Sicurezza, e il rappresentante ha dichiarato: “Il sistema internazionale è sull’orlo del baratro. Questa guerra è un segnale, potrebbe portare del bene. Mostra che il rispetto del diritto internazionale umanitario dipende dall’identità della vittima e dell’autore del reato”.

Eppure, né gli Emirati Arabi Uniti, né il Bahrein hanno rinunciato agli accordi di Abramo con Israele, e il loro ruolo negli Stati Uniti non può “portare del bene” alle politiche che hanno devastato il Medio Oriente per decenni. 

Oltre un migliaio di membri dell’aeronautica americana, e dozzine di aerei da guerra statunitensi, sono posizionati presso la base aerea di “Al-Dhafra” ad Abu Dhabi, mentre “Manama” in Bahrein, una base che la Marina americana utilizza dal 1941, rimane il quartier generale della Quinta Flotta statunitense. 

Molti esperti paragonano l’apartheid di Israele all’apartheid del Sud Africa. I discorsi alle Nazioni Unite avevano contribuito alla caduta del regime di apartheid in Sud Africa, ma il vero cambiamento non è arrivato finché i paesi di tutto il mondo non hanno abbracciato una campagna globale di isolamento economico e politico.

La ragione per cui gli irriducibili sostenitori di Israele negli Stati Uniti hanno cercato di vietare, o addirittura criminalizzare, la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) non è perché sia ​​illegittima o antisemita. 

La ragione è che boicottare, disinvestire e sanzionare Israele può essere una strategia davvero efficace per contribuire a far cadere il suo regime genocida, espansionista e folle.

Il rappresentante alternativo degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, Robert Wood, ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza che esiste una “fondamentale disconnessione tra le discussioni che abbiamo avuto in questa Camera, e la realtà sul campo” a Gaza, il che implica che solo la visione israeliana e statunitense meritano di essere presi sul serio.

Ma la vera disconnessione alla radice di questa crisi, è quella tra la bolla di vetro della politica statunitense e israeliana, e il mondo reale che chiede a gran voce un cessate il fuoco, giustizia per i palestinesi.

Mentre Israele, con le bombe e i proiettili americani, sta uccidendo e mutilando migliaia di innocenti, il resto del mondo è sconvolto da questi crimini contro l’umanità.

Il clamore popolare che chiede la fine del massacro continua a crescere, ma i leader globali devono andare oltre i voti e le indagini non vincolanti, e boicottare i prodotti israeliani, porre un embargo sulla vendita di armi, rompere le relazioni diplomatiche e prendere altre misure che rendano Israele uno stato poco gradito sulla scena mondiale. 

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

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