“Volevo procurare del cibo ai miei fratelli più piccoli e ai figli di mio fratello, ma sono tornato dalla mia famiglia con le costole rotte”.
La carestia si sta diffondendo nella Striscia di Gaza assediata, mentre le forze israeliane continuano a compiere massacri contro i palestinesi in attesa degli aiuti umanitari.
Domenica, i comitati tribali responsabili della distribuzione degli aiuti, hanno annunciato in un comunicato che non continueranno a svolgere questo compito perché Israele ha colpito i loro rappresentanti e famiglie negli ultimi giorni, e settimane.
Il Palestine Chronicle ha parlato con Mahmoud Hamad, un giovane di Gaza che è rimasto ferito mentre cercava di recuperare un pacco di aiuti, paracadutato nel campo profughi di Nuseirat, al centro di Gaza.
Costole rotte
La mattina del 22 marzo, Mahmoud e suo zio Hani hanno sentito il rumore di un aereo che volava basso, e sono corsi a cercare di prendere gli aiuti.
Alcuni pacchi sono caduti a circa 300 metri dalla loro casa, ma non erano da soli a cercare di prenderli. La situazione a Gaza è sempre più drammatica, e tutti sono ansiosi di riuscire a fornire cibo per i propri bambini affamati.
“Ho sentito un forte dolore al petto. La gente stava spingendo fortissimo, nel disperato tentativo di recuperare gli aiuti caduti dal cielo, quelli da parte delle forze americane e giordane”, racconta Mahmoud al Palestine Chronicle.
“Il dolore era così intenso che sono dovuto andare via senza nemmeno riuscire a prendere un sacchetto di riso, o una scatoletta di tonno”. Lo zio di Mahmoud lo ha portato all’ospedale Al-Awda di Nuseirat, i medici gli hanno diagnosticato fratture al petto.
“Volevo procurare del cibo per i miei fratelli più piccoli e per i figli di mio fratello, invece sono tornato dalla mia famiglia con le costole rotte”.
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“Ora non riesco a muovermi bene, e i medici mi hanno detto che ho bisogno di diverse settimane per riprendermi. I lanci aerei sono pericolosi, e inefficaci. Non sono adatti alla situazione che viviamo a Gaza”.
“Vogliamo che gli aiuti ci raggiungano via terra. Non possiamo rischiare ferite, fratture e morte solo per avere un po’ di cibo, che non basta nemmeno per un singolo pasto”.
Bloccato sul tetto
Mahmoud non è l’unico a ritenere che gli aiuti lanciati via aerea non siano la soluzione giusta.
Ibrahium Ayad è residente nella città di Al-Amal, a ovest di Nuseirat.
“L’occupazione ha bombardato la maggior parte degli edifici durante il primo mese di guerra, così sono fuggito con mia moglie, le mie figlie e mio figlio, a casa della famiglia di mia moglie”, spiega al Palestine Chronicle.
“Quando le forze americane e giordane hanno lanciato gli aiuti, qualche giorno fa, uno dei paracadute è atterrato sul tetto della casa della famiglia di mia moglie. Si è incastrato nella casa del nostro vicino, che è circa due piani più alta della nostra, sul tetto. Se il paracadute non fosse rimasto impigliato nella casa del nostro vicino, le mie figlie sarebbero rimaste ferite”, prosegue Ayad.
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“La gente si è precipitata verso la casa di mio zio per prendere gli aiuti dal tetto. Tutti volevano prendere d’assalto la casa, e recuperare del cibo, anche se era una quantità davvero piccola, e di certo non sufficiente per decine di famiglie”.
“Gli aiuti lanciati dagli aerei sono adatti per spettacoli militari, non per dare realmente sollievo a un popolo che viene ucciso deliberatamente dall’occupazione con i bombardamenti e la fame”, conclude Ayad.
Abu Khalil Wawai è il vicino di casa di Ayad. È sollevato dal fatto che gli aiuti non siano caduti sul suo tetto, che è costruito con pannelli di zinco e amianto.
“Se gli aiuti fossero caduti lì sopra, si sarebbe rotto e ci avrebbe messo in pericolo”, dice Wawai, incolpando la comunità internazionale di tutto questo.
“La comunità internazionale deve fare pressione sull’occupazione, affinché consenta l’ingresso degli aiuti attraverso i valichi di Gaza. Gli aiuti lanciati via aerea sono davvero pericolosi, e non aiutano affatto a combattere la crescente fame nella Striscia”.
“Stiamo digiunando durante il Ramadan senza mangiare Suhur (NDT: pasto prima dell’alba) e ogni giorno facciamo fatica a trovare qualcosa di commestibile per interrompere il digiuno. A Gaza non c’è lavoro, non c’è sicurezza e i bombardamenti sono ovunque. Ogni giorno dobbiamo seppellire decine di martiri. Non sappiamo se moriremo a causa dei missili dell’occupazione, o di fame, o per gli aiuti lanciati dagli aerei”.
Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui.
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