Lacrime e sabbia – La madre di Gaza che ha tirato fuori suo figlio dalle macerie

Tyem, 4 anni, è rimasto mezz'ora sotto le macerie della sua casa prima di essere salvato dalla madre. (Foto: supplied)

By Abdallah Aljamal

“Tyem è il mio primogenito, la prima gioia della mia vita. È mio figlio, il mio amico, il mio amore, è tutto per me”.

Un attacco militare israeliano, il 12 marzo, ha colpito un’area residenziale nel campo profughi di Nuseirat, al centro di Gaza. Era il secondo giorno del mese sacro del Ramadan.

Le notizie riportano che in molti sono rimasti uccisi o feriti, ma senza fornire uno specifico contesto all’ennesimo massacro israeliano contro civili.

Il Palestine Chronicle ha parlato con Angham al-Mahdoun, una sopravvissuta.

La famiglia al-Madhoun viveva nel campo profughi di Al-Bureij prima del genocidio. Dopo una serie di massacri israeliani nel campo, Angham ha preso i suoi due figli, Tyem, 4 anni, e Ayla, 3 anni, ed è fuggita. Purtroppo, anche Al-Nuseirat, non è una zona sicura.

Alla vigilia dell’ultimo massacro, la famiglia aveva appena interrotto il digiuno del Ramadan quando l’attacco aereo israeliano ha colpito la casa.

“Sono andata in bagno per eseguire le abluzioni e prepararmi alle preghiere della sera e al Taraweeh, a casa”, racconta Angham al Palestine Chronicle.

“I miei figli stavano giocando nella stanza adiacente quando l’occupazione ha bombardato la casa. L’odore di fumo, esplosivo e polvere ha immediatamente riempito l’aria”.

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“Sono corsa fuori dal bagno, in quel momento è iniziata la mezz’ora più terribile della mia vita”, prosegue Angham.

“Ero terrorizzata. Non riuscivo a vedere nulla a causa della polvere e del fuoco, e non riuscivo a localizzare i miei figli. Era buio, esclusa la luce proveniente dal fuoco acceso dei bombardamenti. Ho iniziato a piangere e urlare, chiamando i loro nomi, ma non rispondevano”.

Dov’è mio Figlio?

“Finalmente ho sentito la voce della mia piccola Ayla e sono riuscita a localizzarla”, ci ha detto Angham.

“Aveva ferite su tutto il corpo, ma per fortuna era ancora viva e le ferite non erano gravi. Ero sollevata, anche se lei piangeva e tremava di paura. Il rumore dei razzi, i muri che crollano, il crollo di gran parte della casa. Tutto è stato estremamente terrificante”, ha detto.

La paura è diventata ancora più intensa quando si è resa conto che Tyem non rispondeva alle sue chiamate disperate.

“Le lacrime mi scorrevano lungo il viso. Volevo mio figlio Tyem. Il mio bambino, con il suo bel faccino, che ha avuto paura in ogni momento di questa guerra. Il mio Tyem era sotto le macerie e non riuscivo a trovarlo”, racconta la donna mentre le lacrime le rigano ancora il viso.

“Tyem è il mio primogenito, la prima gioia della mia vita. È mio figlio, il mio amico, il mio amore, è tutto per me”.

“Ho iniziato a scavare con le mani, disperatamente, nello stesso punto in cui ho trovato mia figlia Ayla. Sentivo solo le macerie dei muri, e infine la mia mano ha toccato il piede di Tyem”.

Aylan, 3 anni, stava giocando con suo fratello quando un attacco israeliano ha colpito la sua casa. (Foto: supplied)

“Il piede sporgeva dalle macerie, ma c’era un buio pesto. Ho iniziato a parlargli, ma non rispondeva. Uno dei muri della moschea adiacente gli era caduto addosso, schiacciando il suo piccolo corpo sotto le macerie”.

“Non c’erano strumenti adeguati a sollevare le macerie dal corpo di Tyem, quindi ho continuato a scavare con le mani. Ho tolto le pietre frantumate, una ad una, ho scavato la sabbia, nera a causa dell’esplosivo. Le mie lacrime si sono mescolate alla sabbia, perché non riuscivo a smettere di piangere mentre cercavo di salvare il mio Tyem. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che dovevo far uscire mio figlio da là sotto”.

“Ho continuato a scavare e scavare, per almeno mezz’ora. Avevo le mani coperte di sangue, ma alla fine sono riuscita a estrarre Tyem da sotto quel muro”, racconta con voce tremante”.

“L’abbiamo portato d’urgenza all’ospedale Al-Awda. I vicini mi hanno aiutato a tirarlo fuori, e a trasportarlo in ospedale”.

“Tyem ha ferite, ustioni e fratture su tutto il corpo, ma è vivo e attualmente è in cura in ospedale”.

Le altre ferite

Sfortunatamente, però, ci sono ferite che non sono visibili e che richiedono più tempo per guarire.

“Durante il primo mese di guerra, l’occupazione israeliana ha bombardato la casa della famiglia di mio marito, nel campo profughi di Al-Bureij, dove vivevamo”, ricorda Angham.

“La casa è stata completamente distrutta, e ci siamo trasferiti a casa dalla mia famiglia nel campo profughi di Nuseirat. Mio marito lavora da remoto per un’azienda fuori Gaza e ormai rischia di perdere il lavoro a causa della continua interruzione di corrente a Gaza”, spiega.

“I miei figli sono stati bombardati direttamente due volte durante questo massacro, e hanno bisogno di un trattamento psicologico che li aiuti a superare i traumi vissuti finora”.

“Spero che la guerra finisca immediatamente, che mio marito non perda il lavoro, che sia possible ricostruire urgentemente la nostra casa, e che i miei figli non vengano colpiti dai missili dell’occupazione per la terza volta”, ci confessa al-Madoun, con un filo di voce.

“Chiediamo a tutte le persone libere del mondo di intervenire subito e di lavorare per fermare il genocidio contro il popolo di Gaza” conclude.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

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