‘Ridevano mentre sanguinavo’ – Il Palestine Chronicle incontra l’uomo ferito e legato a un veicolo militare israeliano

Mujahid Al-Abadi è stato ferito e legato a un veicolo militare a Jenin. (Foto: supplied)

By Fayha Shalash

“La temperatura del metallo era molto alta, e i miei vestiti erano strappati per le torture e le percosse, quindi tutta la mia schiena ha ustioni profonde e abrasioni sulla pelle”. 

Mujahid Al-Abadi ha 24 anni. È un ambulante e vende ortaggi.

Il 22 giugno, i soldati israeliani hanno invaso la città di Jenin, a nord della Cisgiordania, e l’adiacente campo profughi, hanno sparato e ferito Al-Abadi, e poi lo hanno legato al cofano di un loro veicolo militare. 

Il video è stato condiviso sui social media, rivelando al mondo le scioccanti pratiche di abusi perpetrate contro i palestinesi da parte dell’esercito israeliano.

Il Palestine Chronicle ha parlato con Al-Abadi, ancora in cura in ospedale, a causa delle gravi complicazioni di salute.

Al-Abadi ritiene di essere sopravvissuto per miracolo ai sanguinosi abusi ai quali è stato sottoposto, per mano dell’esercito israeliano. “Sentivo che stavo morendo mentre ero ancora vivo, ero certo che non avrei più rivisto la mia famiglia”, racconta. 

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Colpito e poi picchiato 

Era una giornata normale, ci ha detto Al-Abadi. Aveva trascorso la notte a casa di suo zio, nel quartiere di Jabriyat, sabato scorso. 

Ma a Jenin nulla è normale.

Quando si è diffusa la notizia di una grande incursione israeliana nella città, Al-Abadi ha deciso di restare nella casa di suo zio, e di non tornare a casa sua nel campo, perché sapeva che i soldati di occupazione solitamente sparano a chiunque incontrino per strada.

All’improvviso, i veicoli militari hanno circondato diverse case del quartiere, inclusa quella di suo zio. Quando i soldati hanno invitato tutti quelli che si trovavano nell’abitazione ad uscire nel cortile, hanno sparato direttamente ad Al-Abadi, ferendolo alla gamba e al braccio.

È rimasto steso a terra, sanguinante per mezz’ora, mentre i soldati impedivano all’ambulanza di raggiungerlo. 

Quindi i soldati hanno iniziato a picchiarlo, colpendo le zone delle ferite. L’emorragia è peggiorata.

“Mi hanno colpito più forte dove c’erano i proiettili. Urlavo di dolore, mentre loro ridevano. Più urlavo, più mi colpivano” prosegue. 

“Poi quattro soldati mi hanno preso in braccio e hanno cominciato a dondolarmi in aria, e a offendermi con i peggiori insulti”.

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“Lasciami in pace” 

Al-Abadi è stato colpito ripetutamente agli arti, preso a pugni al petto e alla testa. Oltre alle ferite, ha riportato diverse fratture.

I soldati israeliani non hanno nemmeno controllato i suoi documenti per determinare la sua identità, spiega al Palestine Chronicle. 

Continuava a urlare: “Non ho fatto niente! Lasciatemi in pace!” Ma non l’hanno fatto. 

Mentre gemeva di dolore, i soldati lo hanno sollevato e gettato a terra. Poi lo hanno raccolto, buttato sul cofano del veicolo militare e legato ad esso. 

I soldati hanno quindi portato il ferito attraverso le strade del quartiere.

“La temperatura del metallo era molto alta, e i miei vestiti erano strappati per le torture e le percosse, quindi tutta la mia schiena ha ustioni profonde e abrasioni sulla pelle” spiega Al-Abadi.  

Ancora in stato di shock, ha raccontato che i soldati “hanno continuato a girare per più di 20 minuti”.

Solo alla fine della tortura, i soldati hanno controllato la sua carta d’identità, e gli hanno detto che non era sulla lista dei “palestinesi ricercati”.

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“Inzuppato del mio sangue”

Nonostante avessero dichiarato che non era soggetto ad arresto, i soldati israeliani hanno continuato a picchiarlo e insultarlo mentre era ancora legato al veicolo militare.

“Mi hanno gettato a terra, ero inzuppato di sangue e non riuscivo a muovermi. Solo allora hanno permesso che l’ambulanza mi portasse via. Ero in condizioni miserabili e ancora soffro per le ferite e le ustioni”.

Al-Abadi non è in grado di muovere le dita delle mani e dei piedi, il che suggerisce un possibile danno ai nervi, secondo i medici.  

I dottori gli hanno installato una placca sul braccio, nel tentativo di riparare l’osso fratturato dal proiettile esplosivo.

Suo fratello, Amjad, ha riferito al Palestine Chronicle che non riesce a dormire la notte a causa del dolore e delle ustioni sulla schiena non ancora guarite.

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Nessuna giustizia 

Secondo il fratello dovrà sottoporsi a diversi interventi chirurgici. Nessuno sa quando verrà dimesso dall’ospedale e potrà tornare a lavorare nel suo banco di verdure a Jenin.

Amjad trascorre molto tempo in ospedale con suo fratello, e piange disperato nel timore che il fratello possa non riprendersi del tutto.

“Ciò che ha causato il danno più grave sono stati gli abusi subiti in seguito all’infortunio, e il fatto che all’ambulanza sia stato impedito di avvicinarsi a lui per quasi un’ora”, sottolinea Amjad.

La famiglia non intende sporgere denuncia contro i soldati israeliani, sanno fin troppo bene che i tribunali israeliani non garantiscono giustizia ai palestinesi, e non importa quanto orribili siano i crimini dei soldati.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

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