By Ilan Pappé
Due mesi dopo l’elezione del nuovo governo di Israele, il quadro si fa sempre più chiaro e si possono iniziare a fornire spunti di riflessione meglio articolati in merito alla sua composizione, alle personalità che lo compongono e ai possibili risvolti futuri.
Non è un’esagerazione definire Benjamin Netanyahu come il meno estremista di questo governo, e questo la dice lunga sulla personalità e le idee politiche degli altri.
Ci sono tre grandi gruppi in questo governo, e non mi riferisco ai vari partiti politici, ma piuttosto a formazioni socio-politiche.
Sionizzazione degli Ebrei Ultraortodossi
Il primo gruppo è costituito dagli ebrei ultraortodossi, sia quelli europei che quelli arabi. Ciò che li caratterizza è il processo di sionizzazione che hanno subito dooi il 1948.
Da un ruolo marginale in politica, meramente focalizzato all’interesse delle loro comunità, sono ora arrivati ai vertici dello stato. Sono passati dalla moderazione e aderenza ai sacri precetti ebraici – che non consentono uno stato ebraico in Terra Santa – all’emulazione della destra laica israeliana: sostengono la colonizzazione in Cisgiordania, l’assedio della Striscia di Gaza, usano un linguaggio razzista nei confronti dei palestinesi e sostengono politiche dure e aggressive mentre cercano di impadronirsi dello spazio pubblico ed ebraicizzarlo, secondo la loro versione rigorosa dell’ebraismo.
L’unica eccezione è Neturei Karata, fedele al suo antisionismo di lunga data e solidale con i palestinesi.
Ebrei Religiosi Nazionalisti
Nel secondo gruppo ci sono gli ebrei religiosi nazionalisti, che vivono per lo più in insediamenti coloniali, su terra palestinese espropriata in Cisgiordania, e che hanno recentemente creato “scuole di formazione” per coloni nel cuore delle città miste arabo-ebraiche in territorio israeliano.
Sostengono le politiche criminali dell’esercito israelianoe e le azioni dei coloni armati che tormentano i palestinesi, sradicando i frutteti, sparando e rendendo loro la vita impossibile.
Il loro scopo è quello di dare all’esercito e ai coloni armati persino più libertà nelle pratiche oppressive condotte nella Cisgiordania occupata, nella speranza di cacciare sempre più palestinesi dalla loro terra. Questo gruppo è anche il nucleo fondamentale del comando dei servizi segreti israeliani ed è prevalente tra gli alti ufficiali dell’esercito.
I due gruppi fin qui citati condividono il desiderio di imporre politiche di apartheid sempre più rigide all’interno di Israele contro gli arabi del ‘48 e, allo stesso tempo, sono in testa a una crociata contro la comunità LGBT e chiedono una più severa politica di esclusione delle donne dallo spazio pubblico.
Condividono una visione messianica e credono di essere finalmente sul punto di realizzarla. Al centro di questa visione c’è l’ebraicizzazione dei luoghi sacri rimasti “ancora” oggi islamici o cristiani. Il sito più ambito è Al Haram Al-Sharif.
Il primo segnale di questa tendenza è stata la provocatoria visita del Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir nella Spianata. Il passo successivo avverrà durante la Pasqua ebraica, con un tentativo di invaderla completamente con fedeli e ministri ebraici. Azioni simili saranno intraprese a Nablus, Hebron e Betlemme. È difficile prevedere fino a che punto si spingeranno.
Emarginazione degli Ebrei Laici del Likud
Nel partito di governo, il Likud, ci sono anche rappresentanti del secondo gruppo. Ma la maggior parte dei membri del partito fa capo a un terzo gruppo socio-politico: gli ebrei laici che aderiscono comunque alle pratiche ebraiche tradizionali.
Si distinguono perché pongono il liberalismo economico e politico come pilastro della piattaforma politica del Likud. Netanyahu faceva parte di questo raggruppamento, ma ora sembra disposto a emarginarli nella distribuzione delle cariche di governo. Per evitare il processo che lo vede coinvolto e restare saldamente al potere, infatti, ha bisogno delle altre forze più che dei membr del suo stesso partito.
Il Progetto Sionista
I rappresentanti di tutti questi gruppi hanno un punto in comune: tutti, senza alcuna eccezione, ambiscono a un governo di estrema destra che vada a esautorare ciò che resta della farsa della democrazia israeliana.
La prima iniziativa in tal senso è già partita, con la riforma del sistema giudiziario, per evitare he possa, anche qualora ve ne fosse la volontà, difendere i diritti delle minoranze in generale o quello dei palestinesi, nello specifico.
Ad essere onesti, tutti i precedenti governi israeliani sono stati caratterizzati da questo totale disprezzo per i diritti civili e umani dei palestinesi. Adesso si va solo a costituzionalizzare tale tendenza e a renderla ancora più evidente, senza neanche provare a nascondere il reale obiettivo: ottenere quanto più territorio possibile della Palestina storica con il minor numero possibile di palestinesi.
Tuttavia, se questo disegno si materializzerà in futuro,Israele farà un balzo in avanti nella sua natura neo-sionista, con il compimento e la maturazione del progetto sionista originario: uno spietato progetto coloniale, costruito su apartheid, pulizia etnica, occupazione, colonizzazione e politiche di genocidio.
Un progetto che finora ha sempre ottenuto totale impunità dal mondo occidentale e tolleranza nel resto del mondo, seppure oggetto di opposizione da molti esponenti della società civile globale. Se finora tale disegno non è riuscito a trionfare è solo grazie alla resistenza e alla resilienza palestinese.
Fine della ‘Fantasia di Israele’
Questa nuova realtà fa emergere una serie di domande, che è importante porre, sebbene non abbiano ancora risposta.
I governi del mondo arabo e musulmano, che di recente hanno contribuito alla normalizzazione di questa farsa, si renderanno conto che non è troppo tardi per cambiare rotta?
Riusciranno i nuovi governi di sinistra, come quello eletto in Brasile, ad aprire la strada a un cambiamento dall’alto che rispecchi democraticamente le istanze che arrivano dal basso?
E le comunità ebraiche si sveglieranno finalmente dal sogno della “fantasia di Israele” per realizzare il reale pericolo che costituisce, non solo per i palestinesi ma anche per gli ebrei e l’ebraismo?
Sono domande a cui non è facile dare risposta. Ciò che possiamo formulare è, ancora una volta, un appello all’unità palestinese, per intensificare la lotta contro questo governo e l’ideologia che rappresenta. Tale unità diventerebbe un punto di riferimento per un potente fronte globale che già esiste, grazie al movimento BDS, ed è disposto a rafforzare ulteriormente le azioni di solidarietà, scuotendo i governi e la società civile, per riportare la Palestina al centro dell’attenzione globale.
La convivenza tra le tre anime del nuovo governo israeliano non è stata sempre facile; pertanto, c’è anche la possibilità di una caduta prematura dell’esecutivo, soprattutto vista l’incompetenza degli attuali politici, incapaci di gestire un sistema economico delicato come quello israeliano. Probabilmente, non saranno in grado di arrestare l’elevata inflazione, l’aumento dei prezzi e l’aumento della disoccupazione.
Tuttavia, anche se questo dovesse accadere, non esiste un quarto gruppo socio-politico alternativo che possa guidare Israele. Quindi, un nuovo governo dovrebbe necessariamente risultare da un’ulteriore combinazione delle stesse forze, senza un cambiamento reale nelle intenzioni e nelle politiche perseguite.
Dovremmo dunque considerare questa sfida come strutturale, non transitoria, e prepararci a una lunga lotta, basata su una solidarietà internazionale ancora più forte e su una più solida unità palestinese.
Questo governo estremista, e ciò che rappresenta, non resteranno per sempre; dovremmo fare tutto il possibile per fare in modo che le cose cambino, con un’alternativa migliore non solo per i palestinesi ma anche per gli ebrei e tutti gli altri residenti nella Palestina storica.
Leggi la versione originale in inglese qui.
Be the first to comment