La catastrofe, in realtà, non è accaduta a causa di una guerra, ma per un progetto politico colonialista ben strutturato in ogni dettaglio.
La Nakba, che significa ‘catastrofe’ in arabo, è per definizione delle Nazioni Unite “Lo sfollamento di massa e l’espropriazione di terre palestinesi durante la guerra arabo israeliana del 1948”.
Il padre fondatore dell’ideologia sionista, Theodor Herzl, un ebreo ashkenazita ungherese che lavorava come giornalista, aveva avuto modo di seguire il caso Dreyfus come corrispondente da Parigi del giornale Neuse Freie Presse.
Questa faccenda lo aveva reso consapevole delle crescenti persecuzioni europee rivolte agli ebrei. Nel 1986 Herzl aveva pubblicato un manifesto dal titolo “Lo stato ebraico”, nel quale teorizzava la fondazione di uno stato aperto agli ebrei di tutto il mondo, nel quale poter vivere lontani dalle persecuzioni e in base al proprio credo.
Nell’anno seguente si era svolto a Basilea il primo congresso sionista della storia, dove erano state fondate le linee guida del movimento. Uganda e Argentina sembravano, al tempo, le ipotesi migliori per la nascita di questa colonia ebraica indipendente ed esclusiva.
Mentre l’Europa permetteva l’avanzare di questo movimento, senza mettere in atto alcuna manovra politica e legale per fermare le persecuzioni contro gli ebrei, in Palestina non soffiava il vento su terre vuote o primitive. In quel periodo la Palestina era un luogo vibrante di cultura, arte, musica, commerci non solo nella regione, ma erano anzi prosperi gli scambi con Francia, Spagna, Portogallo, Italia.
Il sistema scolastico palestinese era rinomato ed attirava studenti dall’Iran, dall’Iraq, Marocco, Libia, Siria, e gli spostamenti erano agevolati da un sistema ferroviario molto efficace e moderno.
Con la caduta dell’Impero Ottomano, al termine della Prima guerra mondiale, la Palestina era caduta sotto il mandato britannico, per decisione di una sorta di esordio delle Nazioni Unite chiamata Società delle Nazioni. Quattro anni prima c’era stato un accordo segreto, il famoso Sykes-Picot, con il quale Regno Unito e Francia, ipotizzando la fine degli ottomani, avevano stabilito come spartirsi una buona porzione della regione medio orientale. Da questo accordo, circa un anno dopo, con la Dichiarazione Balfour, il Regno Unito si era accordato con il movimento sionista assicurando loro la Palestina come terra promessa per la fondazione dello stato ebraico, con il completo appoggio degli Stati Uniti.
L’inizio della catastrofe
La Dichiarazione Balfour aveva sancito l’inizio della catastrofe: qualsiasi persona di religione ebraica, ovunque risiedesse, aveva il diritto di recarsi in Palestina, e registrarsi in ufficio britannico gestito, però, da funzionari sionisti che davano loro immediata cittadinanza e documenti.
A Gerusalemme, a questo punto, era stato convocato un Congresso con la massima urgenza, al quale avevano partecipato politici, esponenti dell’elite finanziaria, cariche religiose rilevanti di diverse fedi, e intellettuali provenienti da venticinque paesi diversi del mondo arabo. Le proposte avanzate non erano belligeranti, si ipotizzavano sanzioni, boicottaggio e trattative per fermare questa immigrazione dalle proporzioni spaventose, e di fatto illegale.
Nello stesso periodo, in Italia, nella città di Sanremo veniva indetto un altro congresso, il “Consiglio supremo di guerra”, al quale avevano partecipato Italia, Francia, Belgio, Regno Unito, Giappone, Grecia e vari esponenti sionisti. I migranti ebrei, nel frattempo, lamentavano di non trovarsi bene in Palestina poiché il clima e le abitudini alimentari erano troppo differenti da quelle dei loro paesi di provenienza, e pertanto erano cominciate le confische di case e terreni, in modo da incentivare il flusso migratorio, renderlo costante e più appetibile.
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Le milizie sioniste
Stanchi dei soprusi, i palestinesi avevano organizzato rivolte, che però venivano represse sia dal fronte britannico che dai coloni e miliziani sionisti. Tra le varie milizie, sanguinarie e ben armate, ne spiccava una in particolare, ancora oggi fonte di ispirazione per il Likud, un partito politico israeliano: era l’Irgun. I loro metodi operativi non differivano molto da quelli fascisti e nazisti in Europa, addirittura al tempo Vladimir Jabotinskij, un politico russo sionista, tra i fondatori e leader dell’Irgun, sosteneva apertamente il fascismo e il nazismo. Un fatto poi rinnegato, date le conseguenze.
Erano tutti figli della stessa ideologia nazionalista, borghese, capitalista, violenta e razzista. L’amministrazione britannica in Palestina, ormai incapace di controllare i saccheggi, le violenze e gli attentati delle milizie sioniste, inviava al proprio governo continue denunce nelle quali specificava nel dettaglio le condizioni di vita del popolo palestinese, chiedendo di fermare l’immigrazione degli ebrei e di ripristinare uno Stato palestinese.
Le persecuzioni naziste in Europa, invece, avevano causato un afflusso ancora maggiore di ebrei in Palestina, e l’aumento degli espropri di case e terreni con la forza. Ogni nazione, infatti, inclusi gli stati Uniti, rifiutava di accogliere i profughi ebrei scampati all’olocausto. Esasperati da una situazione ormai fuori controllo, schiacciati loro stessi da milizie sioniste troppo armate e sanguinarie, i funzionari britannici abbandonavano quindi la Palestina.
Era il 1948, l’anno della Nakba, la catastrofe.
La Nakba ieri e oggi
Quanto accaduto all’epoca è stato ampiamente documentato: espulsione forzata di interi villaggi, spesso bruciati, e nei quali venivano compiuti barbarici massacri contro civili disarmati, stupri, esecuzioni di massa.
Centinaia di migliaia di palestinesi erano stati costretti a fuggire, rifugiandosi in altre città, o nazioni, in campi profughi che sono diventati negli anni seguire città sovraffollate, povere, sotto sorveglianza e costanti attacchi. Anche Gaza aveva offerto rifugio a molti palestinesi, un riparo che avrebbe dovuto essere temporaneo e che è diventato poi una condizione di vita stabile per intere generazioni. Dalla Nakba del 1948 sono nati i campi profughi di Al-Shati, Jabaliya, Al-Nuseirat, Deir Al Balah, Khan Yunis, Al Maghazi, Al Bureij, nomi che a distanza di settantasei anni sono diventati noti al mondo in seguito al genocidio ancora in atto sulla Striscia di Gaza, dal sette ottobre.
In Palestina la Nakba è una triste ricorrenza, ma si parlava da tempo di “Al-Nakba Al-Mustamirra”, ovvero di una catastrofe costante che ha dilaniato le esistenze di tre generazioni.
La catastrofe, quindi, non è accaduta a causa di una singola guerra, ma per un progetto politico colonialista ben strutturato in ogni dettaglio.
Il sangue che scorre tra le strade e le terre della Palestina, dal 48 a oggi, è una volontà. È il risultato di accordi economici, politici, di intenzioni evidenti e ben documentate. Le immagini di oggi, che testimoniano l’esodo di migliaia di gazawi da un angolo all’altro della Striscia, ricorda le fotografie color seppia della prima Nakba.
Le fosse comuni del 1948, sopra le quali sono stati costruiti quartieri, parcheggi, giardini e centri commerciali israeliani, somigliano a quelle che vediamo a Gaza nel 2024, dove vengono gettati uomini nudi e con le mani legate dietro alla schiena, corpi morti di bambini e donne di ogni età.
La catastrofe non avrà fine finché a Israele sarà consentito di proporre progetti immobiliari per creare villette a schiera e giardinetti sopra le macerie e le vittime di Gaza, nella più totale impunità.
(The Palestine Chronicle)
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