Il Palestine Chronicle ha parlato con i residenti della Striscia di Gaza, tra cui tre bambini, vittime del più orribile genocidio da 200 giorni.
A 200 giorni dall’inizio dell’aggressione genocida di Israele, oltre 34.000 palestinesi sono stati uccisi e più di 75.000 feriti. Inoltre, circa 11.000 risultano dispersi, intrappolati sotto le macerie delle loro case.
Migliaia di palestinesi, tra cui giovani, bambini, donne e anziani, sono attualmente scomparsi, si ritiene che molti siano stati catturati dalle forze di occupazione israeliane durante l’invasione di Gaza.
Il Palestine Chronicle ha parlato con i residenti della Striscia, tra cui tre bambini, vittime del più orribile genocidio da 200 giorni.
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Il più mortale
“Avevo solo otto anni durante la prima Nakba palestinese”, racconta Hajj Abdul Rahman Yassin, 83 anni, al Palestine Chronicle.
“Ho vissuto tutti gli eventi: la Nakba, la guerra del 1967, la guerra del 1973, la Prima Intifada nel 1987, la Seconda Intifada nel 2000 e molte altre grandi guerre, ma questa è la più mortale che il popolo palestinese abbia mai vissuto”.
“Ho perso mio nipote, mio figlio maggiore e la sua famiglia. Io e mia moglie siamo vecchi e malati, ci mancano farmaci e cure, e abbiamo dovuto sopportare il dolore di essere sfollati dalle nostre case”, prosegue Yassin.
“Non avrei immaginato di stare lontano da casa per così tanto tempo. La mia unica speranza è tornare a casa mia, e morire lì, essere sepolto dai miei figli e nipoti a Gaza, dove vivo da 75 anni”.
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“Resteremo a Gaza”
Nonostante gli orrori della guerra, molti palestinesi sono determinati a restare a Gaza. È il caso di Abu Mohammed Qarmen.
“L’occupazione ha bombardato la mia casa e mio fratello è stato martirizzato. Avevo già sopportato il dolore per la perdita di mio figlio Mahmoud, durante la guerra del 2014. Ma rimarremo nella nostra terra, non ce ne andremo”, confida Qarmen al Palestine Chronicle.
“Ho vissuto la guerra della Naksa nel 1967, quando l’occupazione occupò Gaza, il Sinai, le alture del Golan e il Libano meridionale, ma questa guerra è sicuramente la più dura”.
“La guerra della Naksa è durata solo sei giorni, ora l’occupazione israeliana ci fa guerra da 200 giorni, uccidendo, ferendo e sfollando centinaia di migliaia di palestinesi, portando dolore in ogni casa”.
Non c’è famiglia a Gaza che sia stata risparmiata dal dolore per la perdita di un figlio, di un caro amico, di un parente stretto.
Abu Yazan al-Saedi ha appena perso i suoi amici e vicini: “Nel 198º giorno di guerra, le forze di occupazione hanno bombardato la casa dei nostri vicini, la famiglia Nuwairi, e tutti quelli che si trovavano nell’edificio sono stati martirizzati”.
“Non c’è casa nella Striscia di Gaza che non sia stata sottoposta a bombardamenti. Tutti a Gaza ormai sono tristi, afflitti da un dolore immenso. Abbiamo perso molte persone care, e amici”, continua al-Saedi.
“Ogni giorno viene rivelato un nuovo massacro, commesso dall’occupazione. Questa entità criminale deve essere processata, e costretta a fermare il genocidio che ha porta avanti da 200 giorni”.
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Guerra ai bambini
I bambini di Gaza sono quelli che “soffrono per primi e di più”, secondo l’UNICEF che definisce Gaza “il posto più pericoloso al mondo per un bambino”.
Il Palestine Chronicle ha parlato con tre bambini, ci hanno raccontato come le loro vite siano cambiate durante questi 200 giorni di genocidio.
“Sono fuggito con la mia famiglia dal campo di Bureij, nel centro di Gaza, e ora viviamo in una scuola dell’UNRWA nel campo profughi di Nuseirat”, racconta Rahaf Hamdan, 12 anni, al Palestine Chronicle.
“La mia vita prima della guerra era bella, piena di gioia. Ma la guerra ha cambiato tutto. Spero che possa finire, perché ormai tutto quel che proviamo è paura e terrore, non c’è più divertimento”.
“Ogni notte sogno che la guerra finisca. Abbiamo paura del boato dei razzi e dei bombardamenti. Mi mancano i miei amici, e mi manca la scuola”.
Ghazal Awad, 11 anni, è stato sfollato insieme alla sua famiglia dalla città di Beit Hanoun, nel nord della Striscia.
“La mia vita, prima della guerra, era molto bella. Uscivamo sempre, vivevamo a casa nostra, andavamo nei parchi. Adesso le nostre vite sono diventate difficili. Non possiamo cucinare, e viviamo in un rifugio. Dormiamo nell’aula di una scuola dell’UNRWA”,spiega.
“Vorrei che la guerra finisse, che la mia anima potesse riposare, e vorrei tornare a casa nostra. Ho perso metà dei miei amici, sono diventati martiri durante questa guerra. Ho paura dei missili, degli aerei F16 e ho molta paura dei bombardamenti. L’occupazione ha bombardato la mia casa, e ora ho paura di tutto”.
Rahaf Al-Hawajri, 12 anni, è stato sfollato dal villaggio di Juhar Al-Deek, nel centro della Striscia di Gaza.
“La mia vita prima della guerra era dolce. Giocavo con i miei amici, andavo a scuola tutti i giorni. Ma ora non siamo contenti di vivere nelle scuole per sfollati. Il posto non è pulito, e non abbiamo i nostri bagni. Dormiamo per terra. Non siamo felici”, racconta con le lacrime agli occhi.
“Mi mancano i miei amici, la mia scuola, i miei vicini, i miei parenti. Giocavamo prima della guerra. Ora non possiamo giocare, a causa dei bombardamenti dell’occupazione. Abbiamo paura che l’esercito invaderà il campo di Nuseirat, dove viviamo adesso”.
“Vorrei che la guerra finisse, e tornare alle nostre case. Vivrei anche in una tenda, ma vicino a casa mia”.
Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui.
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