Dissonanza cognitiva: la politica estera ambivalente degli Stati Uniti prolunga il genocidio a Gaza

Negli Usa continuano le proteste per chiedere il cessate il fuoco a Gaza. (Immagine: Palestine Chronicle)

By Ramzy Baroud

Quanti altri palestinesi devono morire prima che Biden ascolti il ​​coro del popolo che chiede: “Cessate il fuoco adesso”?

Quando la politica estera di un paese grande e importante come gli Stati Uniti, è governata da un caso di dissonanza cognitiva, accadono cose terribili.

Queste cose terribili stanno accadendo nella Striscia di Gaza, dove oltre 100.000 persone sono state uccise, ferite o disperse sotto le macerie, mentre una vera e propria carestia sta devastando la popolazione sfollata.

Dall’inizio dell’attacco, il 7 ottobre, gli Stati Uniti hanno gestito malissimo la situazione, anche se recenti rapporti indicano che Biden, nonostante la vecchiaia, ha ben compreso il significato degli eventi del 7 ottobre.

Secondo il sito web di notizie Axios, Biden ha avuto un incontro con il Procuratore Speciale, Robert Hur, l’8 ottobre a riguardo della “faccenda israeliana”, l’attacco di Hamas e l’aggressione contro Gaza, che “ha cambiato tutto”.

Con “cambiare tutto” ci si riferiva al fatto che il risultato di questi eventi “determinerà i prossimi sei, sette decenni”.

Biden non ha torto. Tutto quel che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il suo governo e il consiglio di guerra hanno fatto a Gaza, indica che questo sia uno dei tipici eventi che “cambiano il mondo”.

Netanyahu ha dimostrato la ferma volontà di compiere un genocidio, e di affamare milioni di palestinesi, perché ritiene ancora che la potenza di fuoco superiore dell’esercito israeliano sia in grado di riportare indietro l’orologio, e di stabilire la posizione militare, l’influenza geopolitica e globale di Israele.

Ha torto, e oltre cinque mesi di guerra e omicidi insensati, continuano a dimostrarlo. 

La scommessa politica americana in Medio Oriente, e le ripercussioni globali della politica estera autodistruttiva di Washington, hanno ancora meno senso.

Considerando il sostegno storico di Washington a Israele, il comportamento degli Stati Uniti nei primi giorni di attacco non è stato certo una sorpresa.

Gli Stati Uniti si sono mobilitati rapidamente a sostegno del gabinetto di guerra di Netanyahu, inviando portaerei nel Mediterraneo orientale, mostrandosi pronti a partecipare in un grave conflitto regionale.

I media hanno iniziato a parlare del coinvolgimento militare degli Stati Uniti, in particolare attraverso la Delta Force, anche se il Pentagono ha affermato che i 2.000 soldati americani non erano stati schierati per combattere a Gaza.

Anche se già era ovvio che gli Stati Uniti fossero un partner diretto nella guerra, i resoconti dei principali media statunitensi hanno fugato ogni dubbio. 

Il 6 marzo, il Washington Post ha riferito che “gli Stati Uniti hanno tranquillamente approvato e consegnato più di 100 distinte vendite militari a Israele dall’inizio della guerra contro Gaza”.

Con il passare del tempo, la politica estera statunitense riguardo Gaza è diventata ancor più sconcertante.

Sebbene nelle prime settimane della guerra, presto trasformata in genocidio, Biden avesse messo in dubbio le stime del bilancio delle vittime prodotte dal Ministero della Sanità di Gaza, in seguito il conteggio delle vittime non ha più sollevato alcun dubbio.

Il 29 febbraio, alla domanda sul numero di donne e bambini uccisi da Israele durante la guerra, il Segretario alla Difesa americano. Lloyd Austin ha risposto senza esitazione: “Sono oltre 25.000”.

I numeri sono in costante crescita, così come le spedizioni di armi statunitensi a Israele. 

“Continuiamo a sostenere Israele per le sue esigenze di autodifesa. E questo non cambierà”, ha dichiarato ad ABC News il 14 marzo John Kirby, Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti.

Questa affermazione merita una riflessione, poiché è arrivata dopo molte fughe di notizie, da parte dei media, riguardanti la frustrazione e la rabbia di Biden per il modo in cui Netanyahu sta gestendo l’attacco.

ABC News ha riferito all’inizio di febbraio che Biden ha “espresso frustrazione” per “l’incapacità della sua amministrazione di persuadere Israele a cambiare le tattiche militari a Gaza”. Netanyahu, secondo quanto riferito dal quotidiano, “ha infilato Biden in un inferno”.

Risulta coerente con altri rapporti, incluso uno di Politico, secondo il quale Biden ha privatamente definito il Primo Ministro israeliano un “f*ttuto cattivo ragazzo” per il comportamento nell’aggressione contro Gaza.

Tuttavia, Netanyahu rimane spavaldo: è apparso in un’intervista a Fox News l’11 marzo, parlando apertamente di “disaccordi”, non solo tra i loro governi, ma tra il Presidente degli Stati Uniti “e l’intero popolo israeliano”.

È assolutamente ovvio che, senza il continuo sostegno militare statunitense, e non solo, Israele non sarebbe stato in grado di sostenere la sua guerra contro i palestinesi per più di poche settimane, risparmiando così la vita di migliaia di persone.

Gli Stati Uniti hanno, inoltre, rappresentato l’avanguardia di Israele contro la stragrande maggioranza dei governi mondiali che, quotidianamente, chiedono un cessate il fuoco immediato e incondizionato nella Striscia. 

Se non fosse stato per i ripetuti veti statunitensi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, una risoluzione per il cessate il fuoco, sarebbe stata sicuramente approvata.

Nonostante questo sostegno incondizionato, gli Stati Uniti stanno lottando per evitare un conflitto regionale più ampio, che già minaccia la loro posizione politica in Medio Oriente.

Quindi adesso Biden vuole rinnovare la discussione, anche se senza impegno, per un’azione concreta riguardo la soluzione a due Stati e il futuro di Gaza.

Netanyahu è disinteressato poiché il suo più grande risultato politico, dal punto di vista del suo collegio elettorale di destra, è quello di aver completamente congelato qualsiasi discussione su un orizzonte politico in Palestina. 

Per Netanyahu, perdere la guerra significa il ritorno al vecchio quadro politico americano del cosiddetto “processo di pace”.

Il Primo Ministro israeliano sa anche che la fine della guerra significherebbe la fine della sua coalizione di governo, sostenuta principalmente da estremisti di destra come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich. 

Per raggiungere questi obiettivi egoistici, il leader israeliano è disposto a portare avanti una guerra chiaramente persa.

Sebbene Biden abbia completamente “perso la fiducia in Netanyahu”, secondo l’Associated Press, continua a sostenere Israele senza mettere apertamente in discussione gli esiti disastrosi della guerra, non solo sul popolo palestinese, ma anche sulla regione e sul mondo, compresa la propria nazione.

Gli americani, soprattutto quelli del Partito Democratico di Biden, devono continuare ad aumentare la pressione sulla loro amministrazione affinché risolva questa dissonanza cognitiva. 

A Biden non deve essere permesso di svolgere questo delicatissimo atto di equilibrio: lui sta chiedendo in privato la fine della guerra, mentre finanzia apertamente la macchina da guerra israeliana.

La maggioranza degli americani la pensa già in questo modo, ma Biden e il suo governo devono ancora leggere il messaggio. 

Quanti altri palestinesi devono morire affinché Biden ascolti il ​​coro del popolo che chiede: “Cessate il fuoco adesso”?

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

- Ramzy Baroud is a journalist and the Editor of The Palestine Chronicle. He is the author of six books. His latest book, co-edited with Ilan Pappé, is “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Dr. Baroud is a Non-resident Senior Research Fellow at the Center for Islam and Global Affairs (CIGA). His website is www.ramzybaroud.net

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