By Reza Behnam
Fin dal principio, Israele ha cercato di rimuovere la popolazione nativa e costruire uno stato di coloni sul territorio palestinese. I suoi leader hanno utilizzato le organizzazioni e le potenze occidentali per realizzare i loro obiettivi coloniali.
Il dottor Martin Luther King, Jr. ha pronunciato il suo “Quanto tempo ci vorrà? Non molto” nel discorso del 25 marzo 1965, in seguito alle marce per il diritto di voto da Selma a Montgomery, in Alabama.
Si era rivolto a migliaia di persone radunate sui gradini del Campidoglio dello Stato dell’Alabama, dicendo loro che i giorni della brutalità dei bianchi stavano tramontando. Sebbene pronunciate 59 anni fa, le parole del dottor King parlano all’anima dei palestinesi, e dei loro sostenitori in tutto il mondo, che oggi intravedono i giorni finali della brutalità israeliana:
“So che oggi mi chiedi: ‘Quanto tempo ci vorrà?
non tarderà, la verità schiacciata a terra risorgerà.
Quanto? Non molto, nessuna bugia può vivere per sempre.
Quanto? Tra poco raccoglierai ciò che hai seminato.
Quanto? Non molto, perché è lungo l’arco dell’universo morale,
ma si piega verso la giustizia”.
Le parole del dottor King hanno assunto un ulteriore significato quando Israele ha iniziato la campagna di genocidio contro la Striscia di Gaza, in seguito all’attacco del 7 ottobre. Per oltre 75 anni, Israele ha mentito sulla sua nascita, e sui suoi obiettivi in Palestina. L’insurrezione ha messo fine alla menzogna. La comunità globale ha potuto vedere in modo chiaro cosa è realmente il progetto coloniale di Israele; un progetto portato avanti in modo incrementale dal 1947 ad oggi.
La storia è importante per capire il presente. Perciò ho deciso di esaminare come le organizzazioni internazionali abbiano deluso i palestinesi, e come abbiano legittimato il progetto coloniale di insediamento israeliano in Palestina. La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) nel caso di genocidio contro Israele, si è rivelata un utile punto di partenza per esaminare questo fallimento storico.
I fallimenti della comunità e delle istituzioni internazionali sono iniziati molto prima della sentenza del 26 gennaio.
L’11 gennaio la Repubblica del Sud Africa ha presentato il caso davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, accusando Israele di aver violato la Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio del 1948 con l’attacco contro Gaza. La Corte ha stabilito che il caso del Sud Africa è fondato, e che Israele sembra intenzionato a commettere un genocidio a Gaza. Sulla base delle prove, la Corte ha deciso di emettere un verdetto finale.
Una serie di misure provvisorie di emergenza, e a Israele è stato ordinato di “adottarle tutte” per evitare atti di genocidio, e consentire l’ingresso di maggiori aiuti umanitari. La decisione, tuttavia, non impone esplicitamente a Israele di cessare gli attacchi militari o di revocare l’assedio su Gaza. Israele ha quindi continuato i suoi attacchi.
Nella ben documentata petizione di 84 pagine presentata alla Corte, il Sudafrica ha esposto pubblicamente gli orribili crimini di Israele contro i palestinesi.
Tutti gli Stati firmatari della Convenzione sul Genocidio hanno l’obbligo, vincolante, di astenersi dalla complicità nel genocidio e di adottare misure concrete per prevenirlo. Se gli Stati Uniti, principale protettore di Israele, continua a fornire aiuti finanziari e militari, lo fa sapendo di favorire un genocidio.
Israele ha utilizzato il linguaggio tortuoso della Corte per proseguire i suoi atti barbari. Secondo Euro-Med Human Rights Monitor, l’esercito israeliano ha ucciso 373 palestinesi, di cui 345 civili, e ne ha feriti altri 643, solo due giorni dopo la sentenza della Corte.
Per i palestinesi, l’ICJ è un altro esempio di organismo mondiale che li ha delusi. Hanno poche ragioni per fidarsi delle organizzazioni internazionali, dal momento che sono state le potenze e le istituzioni occidentali a cercare di cancellare la loro identità e nazione dalle pagine della storia.
Le istituzioni create per stabilire la pace, la sicurezza e l’armonia, come la Società delle Nazioni dopo la Prima Guerra Mondiale, e le Nazioni Unite dopo la Seconda Guerra Mondiale, hanno fatto ben poco per promuovere la causa della Palestina e del suo popolo.
Le potenze alleate vittoriose diedero vita alla Società delle Nazioni nel 1920. Essa concesse alla Gran Bretagna un mandato per la Palestina (autorità coloniale) nel 1922. Sebbene il mandato richiedesse che le terre affidate fossero sviluppate a beneficio della popolazione nativa, in realtà gli inglesi avevano già promesso la Palestina ai sionisti europei nel 1917. Quella promessa fu scritta in una lettera, con parole ambigue, dal Ministro degli Esteri britannico, James A. Balfour, oggi nota come Dichiarazione Balfour.
Prima della pubblicazione, la lettera Balfour era stata presentata, e approvata, dal Presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, e all’inizio del 1918 fu pubblicamente approvata dai governi di Francia e Italia. Come possiamo chiaramente vedere oggi, è stato uno dei più grandi errori nella storia imperialista alleata.
I palestinesi non se la sono cavata meglio nel 1945 sotto il successore della Lega, le Nazioni Unite. Una delle prime imprese fu quella di avviare la legittimazione di un’entità straniera europea in Palestina.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel settembre 1947, istituì un Comitato Speciale sulla Palestina (UNSCOP) per trovare soluzioni al “problema”, dopo che la Gran Bretagna aveva annunciato la decisione di abrogare il proprio mandato. Il Comitato propose che la Palestina fosse divisa in due stati indipendenti, ma economicamente collegati, uno arabo e uno ebraico, con Al-Quds (Gerusalemme) amministrata dalle Nazioni Unite.
Va sottolineato che nel Comitato non era incluso alcun rappresentante arabo; un’esclusione che chiaramente favoriva la minoranza ebraica.
Sebbene i palestinesi costituissero due terzi della popolazione, e possedessero la maggior parte della terra (nel 1947-48 gli ebrei possedevano solo il 6% della terra), sorprendentemente, l’UNSCOP raccomandò che il 56% del territorio totale fosse assegnato allo Stato ebraico, e solo il 42% allo Stato palestinese.
Lo Stato ebraico avrebbe inoltre avuto accesso esclusivo alle risorse idriche cruciali del Mar di Galilea, e del Mar Rosso, importante dal punto di vista economico (circa due terzi della costa palestinese), mentre lo Stato palestinese sarebbe rimasto privato di porti marittimi e terreni agricoli.
Alla fine, il 29 novembre 1947, dopo intense pressioni da parte di Washington e delle lobby sioniste, l’Assemblea Generale adottò la Risoluzione 181, raccomandando la spartizione della Palestina, legittimando ulteriormente il colonialismo di insediamento sionista.
Va sottolineato che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite non aveva l’autorità di spartire la Palestina. Secondo la Carta delle Nazioni Unite del 1945, solo il Consiglio di Sicurezza ha il potere di approvare risoluzioni giuridicamente vincolanti. La risoluzione 181 non è mai stata approvata dal Consiglio. Pertanto, la creazione dello Stato di Israele è illegale.
Poco dopo l’auto proclamazione di Israele come Stato, il 14 maggio 1948, gli eserciti di Libano, Siria, Iraq ed Egitto gli dichiararono guerra.
Alla fine della guerra, nel 1949, Israele si era espanso fino a includere il 78% della Palestina storica, compresa la maggior parte di Al-Quds. Il restante 22% ricadeva sotto l’amministrazione dell’Egitto (Striscia di Gaza) e della Giordania (Cisgiordania).
Le Nazioni Unite ammisero Israele come membro l’11 maggio 1949, legittimando in questo modo la conquista del 78% della Palestina attraverso la guerra.
Nel dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la risoluzione 194, che stabiliva il diritto al ritorno per tutti i palestinesi, la restituzione delle proprietà e un risarcimento, cosa che Israele ha da sempre ignorato. Ancora oggi, Tel Aviv nega ai palestinesi il diritto di tornare alle loro case. Secondo Amnesty International, dal 1948, più di 5 milioni di rifugiati palestinesi sono stati sfollati in tutto il Medio Oriente.
Anche gli omicidi del personale delle Nazioni Unite sono rimasti impuniti. Israele, ad esempio, non è mai stato processato per l’assassinio, avvenuto il 17 settembre 1948, del diplomatico svedese e mediatore delle Nazioni Unite per la Palestina, il conte Folke Bernadotte. Bernadotte è stato assassinato a Gerusalemme dai terroristi sionisti Lehi (Stern Gang). Yitzhak Shamir, l’ottavo Primo Ministro israeliano, fu uno dei leader della banda Stern, che pianificò e approvò l’omicidio.
Recentemente, Israele non ha dovuto affrontare alcuna conseguenza per i 152 membri del personale dell’UNRWA che uccisi a Gaza (al 15 gennaio) dalle bombe israeliane. Secondo il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, si tratta della più grande perdita di vite umane nella storia dell’organizzazione.
Le Nazioni Unite continuarono il loro attacco all’identità nazionale palestinese, quando adottarono la Risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza il 22 novembre 1967.
Alla fine della guerra arabo-israeliana (dal 5 al 10 giugno 1967), Israele controllava ciò che restava della Palestina: Gerusalemme Est, Cisgiordania e Striscia di Gaza. Presero anche le alture del Golan in Siria, e la penisola del Sinai in Egitto.
La soluzione delle Nazioni Unite per realizzare una “pace giusta e duratura in Medio Oriente” è stata quella di adottare la risoluzione 242, redatta dal Regno Unito. Per realizzare la pace, si richiedeva l’applicazione dei seguenti principi: 1) ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati nel conflitto; 2) riconoscimento della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di ogni Stato nell’area; 3) soluzione del problema dei rifugiati.
Se avessero accettato la risoluzione, i partiti arabi avrebbero dato il riconoscimento ufficiale allo Stato ebraico, e alla sua conquista della maggior parte della Palestina nel 1948.
I palestinesi non avevano alcun posto al tavolo quando le Nazioni Unite hanno discusso e adottato la risoluzione. Anche se chiedeva il riconoscimento di Israele da parte dei vicini – cosa che gli Stati Uniti e Israele volevano – non c’era alcuna spinta per la creazione di uno Stato palestinese o il riconoscimento del loro diritto all’autodeterminazione. Quando menzionati, i palestinesi venivano identificati semplicemente come un “problema di rifugiati”.
Dopo l’occupazione da parte di Israele di ulteriore territorio palestinese nel 1967, la comunità internazionale non è riuscita a sostenere l’attuazione delle risoluzioni SC 242 e 338 (ribadendo la 242), che chiedevano il ritiro di Israele dai territori occupati. Non è stato fatto nulla a favore dei palestinesi. La risoluzione è semplicemente diventata una tabella di marcia, una foglia di fico per i cosiddetti tentativi di pacificazione di Washington.
Le Nazioni Unite hanno avuto un ruolo determinante nel creare Israele e sostenerlo. Il Capitolo V, Articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite afferma che “I membri delle Nazioni Unite si impegnano ad accettare e ad eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformità con la presente Carta”. A Israele è stata data piena libertà, principalmente grazie al patrocinio americano e alla copertura diplomatica, di operare al di fuori delle convenzioni internazionali.
Fin dal principio, Israele ha cercato di rimuovere la popolazione nativa e costruire uno stato di coloni sul territorio palestinese. I suoi leader hanno utilizzato le organizzazioni internazionali, e le potenze occidentali che le hanno create, per realizzare i loro obiettivi colonialisti. Raggiunti i loro obiettivi, i leader israeliani non hanno trovato alcun motivo per obbedire a regole di organismi internazionali che li hanno così volentieri assistiti e supportati.
Israele sta lentamente perdendo la battaglia politica per la Palestina nella comunità globale, mentre attua pubblicamente progetti genocidi. Il futuro della giustizia globale è diventato intrinsecamente legato alla Palestina. La domanda è se Israele – l’ultima delle colonie di coloni – potrà continuare a perseguire le politiche di apartheid e comportarsi come uno stato canaglia.
Le organizzazioni e le istituzioni internazionali hanno il potente strumento dell’isolamento, e una serie di sanzioni che si potrebbero imporre a Israele per porre fine a un progetto imperialista crudele e destabilizzante. Se non ora, quando?
Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui.
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