“Voglio solo che mio figlio viva” – La tragedia di Mohammed Zayed, Gaza.

(Photo: via Eye on Palestine)

By Abdallah Aljamal

Israele ha intensificato gli attacchi contro la regione centrale della Striscia di Gaza, da domenica. Il primo obiettivo è stato il campo profughi di Maghazi, dove è avvenuto un massacro ha che ucciso oltre 70 palestinesi, e causato centinaia di feriti.

Poi il bombardamento israeliano si è espanso fino ai campi profughi di Bureij e Nuseirat, sempre nel centro di Gaza.

Quest’ultimo campo profughi è stato attaccato con ferocia dall’inizio della guerra. Migliaia le vittime, tra morti e feriti.

Negli ultimi giorni, dopo un breve periodo di minore intensità, le bombe hanno di nuovo provocato la morte di intere famiglie, mentre si stringevano nelle loro case, nei rifugi delle Nazioni Unite o addirittura per strada, dove in molti sono costretti a vivere e dormire.

Questa è la testimonianza di Mohammed Zayed:

‘Avevo paura di sollevare la coperta’

“Ero seduto con mio padre, mia madre, le mie due sorelle e i miei figli Hussein e Mus’ab. Avevamo appena finito di recitare la preghiera del pomeriggio. Ci siamo seduti, stavamo parlando di questa guerra e di quando finirà.

“Mio figlio, il più piccolo, Mu’ath, stava giocando fuori casa. All’improvviso un missile, una massiccia esplosione ci ha colpito. Mi sono svegliato ferito, in ospedale.

“Ero tutto fasciato. La prima cosa che ho detto è stata: “Che cosa è successo alla mia famiglia?”. Il medico mi ha risposto: “Se riesci a camminare, dovresti venire nella stanza dedicata ai martiri, e vedere se riesci a riconoscerli”. Il mio peggior incubo si era avverato.

“La prima che ho riconosciuto è stata mia madre, poi mio padre. Il missile israeliano lo aveva diviso in due metà. Poi ho riconosciuto mia sorella, era una studentessa delle superiori.

“Avevo il terrore di sollevare la coperta dal quarto martire. Mi sono fatto coraggio e l’ho tolta. Era mio figlio Mus’ab. Era in quinta elementare. Il mio tesoro preferito. Era così vicino a me, l’ho sempre tenuto vicino. Un missile israeliano me lo ha portato via per sempre.

“Oltre ai quattro morti, mia moglie è rimasta ferita. Mio figlio Mu’ath sta bene perché era a diversi metri di distanza da casa. L’ho trovato mentre singhiozzava, chiedendo di sua madre e suo padre.

“Poi ho trovato mio fratello Shadi, era fuori casa al momento dell’esplosione, ma non sono riuscito a trovare mio figlio Hussein. L’ho cercato ovunque all’ospedale Al-Awda di Nuseirat.

“Quindi ho chiesto agli operatori dell’ambulanza di portarmi in un altro ospedale, per cercare gli altri membri della famiglia. Mi hanno portato all’ospedale dei martiri di Al-Aqsa, e lì ho trovato mio figlio Hussein. È rimasto ferito, le sue condizioni sono critiche. Le schegge lo hanno colpito alla testa e all’addome. È ancora lì, nel reparto di terapia intensiva, tra la vita e la morte.

“Mio padre lavorava all’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. È stato nell’UNRWA per molti anni. Mia madre era una donna gentile, amata da tutti. Tutti loro erano brave persone.

“L’occupazione ci ha privato di tutto quel che ci sta a cuore. Quando finirà questo massacro? Quando finiranno i crimini israeliani? Tutti i miei pensieri, in questo momento, sono concentrati su mio figlio Hussein. Voglio che viva. Voglio che questa guerra finisca definitivamente”.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*