Non possiamo arrenderci, mai. Saranno le persone, e non il potere, a salvare i bambini di Gaza

Gaza reels under new massacres carried out by the Israeli army. (Photo: Yousef Abo Said, via Eye on Palestine)

By Paul Salvatori

Ho ricevuto un messaggio questa settimana dal mio amico Yasser. Si trova nel sud di Gaza, a Rafah per la precisione, dove vive con la sua famiglia.

Ho già scritto di lui, e anche all’epoca era successo qualcosa di terribile a sua figlia Yara. Le forze israeliane le avevano sparato più volte da una nave.

L’avevano punita perché era una bambina palestinese, che voleva soltanto godersi una giornata di sole in spiaggia.

Come molti altri palestinesi, Yasser ha chiesto giustizia per Yara. Non ha ottenuto nulla. 

Le organizzazioni per i diritti umani hanno fatto tutto il possibile, ma Israele è troppo potente.

Alla fine, Yasser è stato informato che, nonostante le prove confermassero che Israele aveva deliberatamente aperto il fuoco su Yara, non aveva nessuna possibilità di vincere in tribunale, nemmeno riguardo il pagamento degli interventi chirurgici di cui Yara ha, ancora oggi, bisogno.

Quando penso a quanti proiettili hanno attraversato il corpo di Yara, sono stupito, e ovviamente grato, che sia ancora viva. E se ci penso troppo, comincio a sentirmi impotente. 

Se non si può fare nulla per perseguire i colpevoli del crimine contro Yara, come posso pensare di aiutarla?

La sensazione è aumentata in modo esponenziale quando ho ricevuto un altro messaggio da Yasser. 

Mi racconta di come Yara sia stata di nuovo ferita mentre lui, e la sua famiglia, stavano cercando di sfuggire ai bombardamenti israeliani vicino alla loro casa.

Yara è caduta. Una delle sue dita è rimasta squarciata. Yasser mi ha mandato le foto di lei fasciata, con le lacrime agli occhi, mentre fissa in modo ossessivo la telecamera.

“Questa bambina ha sofferto troppo”, ho pensato. “Quale morale permette a una persona, non ancora adulta, di sopportare la brutalità israeliana?”

Per me, questo è sufficiente per dubitare dell’esistenza di Dio, visto che mi è stato insegnato, crescendo nelle scuole cattoliche, che Dio “è solo amore” e “potente”. 

Una tale entità impedirebbe la sofferenza di Yara e di innumerevoli bambini palestinesi che ogni giorno sperimentano il male.

Mentre scrivo ricordo i miei ex insegnanti. 

Direbbero che Dio non interviene negli affari umani, per non impedire alle persone di agire come vogliono.

E che questo, purtroppo, include atti orribili derivanti dalle scelte delle persone, riflesso del libero arbitrio che Dio ha dato a tutti.

In passato queste spiegazioni teologiche avrebbero potuto persuadermi. 

Ma pensando a Yara adesso e, forse meno ingenuo di un tempo, li percepisco ragionamenti piuttosto zoppicanti: se Dio fosse buono e potente avrebbe dovuto creare meccanismi per regolare il comportamento umano, incluso impedire di premere il grilletto agli israeliani che hanno quasi ucciso Yara.

Le spiegazioni, se devo essere totalmente sincero, mi fanno sentire impotente, qualunque sia il loro valore di verità. 

Nessuna spiegazione può alleviare le sofferenze di Yara e degli altri bambini di Gaza, sotto costante bombardamento israeliano.

Però, non mi fa sentire impotente pensare ai bambini stessi. Mi motivano. La loro sofferenza proprio perché terribile e inutile, mi fa venire voglia di fare qualcosa. 

Nessun bambino, sia palestinese che non palestinese, dovrebbe mai sopportarla.

Hanno, invece, diritto al nostro amore, cura, protezione.

I diritti, generalmente, non sono negoziabili. Sono dovuti a ogni bambino come una garanzia, ed è sancito nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia.

Quando tale garanzia non viene realizzata, noi deludiamo i bambini. 

Lo stiamo vedendo a Gaza proprio ora, dove centinaia di migliaia di bambini, i più vulnerabili, vengono sistematicamente privati ​​delle necessità basilari a cui hanno diritto come cibo, acqua, assistenza sanitaria, e così via.

Il blocco israeliano in corso è responsabile, ma noi, come comunità internazionale, permettiamo che continui almeno finché non interverremo (ad esempio facendo pressione su Israele attraverso ulteriori sanzioni governative) per porre fine al blocco stesso.

Fino ad allora, un bambino a Gaza che sta ancora imparando a gattonare, si troverà ad affrontare il rischio imminente di morire di fame.

“La funzione della fede”, scrive il pensatore spirituale e monaco americano Thomas Merton, “non è quella di ridurre il mistero a chiarezza razionale, ma di integrare insieme l’ignoto e il conosciuto in un tutto, nel quale impariamo a trascendere i nostri limiti”.

Per quanto le mie convinzioni spirituali o religiose siano scosse dagli eventi in corso a Gaza, in particolare dai gravi danni arrecati ai bambini, traggo forza dall’osservazione di Merton.

Non posso predire il futuro con certezza, specialmente della Palestina, dove Israele continua a prendere a pugni un popolo indifeso, in totale impunità e con miliardi di dollari in sostegno militare da parte degli Stati Uniti.

Ma, come sottolinea Merton, attraverso la fede posso impegnarmi in contemporanea con l’incertezza (lo “sconosciuto”) e ciò di cui sono sicuro (il “conosciuto”), il che significa che posso agire, finché sono vivo, per ciò che è buono.

Nel caso della cara Yara significa coinvolgermi nella ampia lotta internazionale, al di là della mia mera fisicità, il “limite” identificato da Merton, contro il massacro di Israele verso i bambini palestinesi.

Proprio come te, posso farlo attraverso manifestazioni, firmando petizioni, scrivendo lettere, interrompendo riunioni che sostengono la violenza israeliana contro i palestinesi, amplificando messaggi filopalestinesi online.

Con queste attività possiamo attirare l’attenzione sui crimini israeliani, e su come Israele terrorizza i bambini palestinesi in vari modi: dal ferirli e ucciderli, al rapirli durante i raid e confinarli in “detenzione amministrativa”. 

Qualunque sia l’esito, non è totalmente nelle nostre mani.

Dato che la maggior parte di noi possiede un senso di giusto e sbagliato o, più semplicemente, una coscienza, siamo inclini a rispondere allo stesso modo, esercitando ulteriori sforzi per proteggere i bambini palestinesi da Israele.

Non dobbiamo arrenderci, mai. Saranno le persone, non il potere, a salvare i bambini di Gaza.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

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