By Redazione Palestine Chronicle
Tutto è cambiato dal 7 ottobre, quando Israele ha lanciato un attacco genocida contro la Striscia di Gaza, in risposta all’operazione Al-Aqsa della Resistenza.
“Lavoro nell’ambito della salute mentale, ma non ero preparato ad affrontare questo sentimento di disperazione di massa, congelato qui, senza una via d’uscita”, ha scritto giovedì Bahzad Al-Akhras, un medico e psichiatra di Gaza, sul quotidiano britannico The Guardian.
Al-Akras ora vive in una tenda nel campo profughi di Rafah, nel sud di Gaza, e ha descritto le sue abitudini quotidiane prima del massacro.
“Prima dell’attacco su Gaza, le mie giornate seguivano una certa routine. Andavo a lavorare in clinica, facevo visita ai miei amici e trascorrevo del tempo con la mia famiglia. Vivevo una vita normale”.
Tutto è cambiato dal 7 ottobre, da quando Israele ha lanciato un attacco genocida contro la Striscia di Gaza, in risposta all’operazione Al-Aqsa della Resistenza.
“Adesso io e la mia famiglia siamo rifugiati a Rafah, l’esercito israeliano ci ha ordinato di lasciare la nostra casa a Khan Younis. Viviamo nelle peggiori condizioni che si possano immaginare. Trascorriamo le nostre giornate aspettando. Aspettiamo in fila per prendere due o tre litri di acqua potabile, o cibo oppure farina per cucinare il pane sul fuoco, da mesi siamo senza elettricità”.
“Negli ultimi giorni, quando abbiamo saputo che Israele stava preparando un’invasione di terra a Rafah, eravamo già consapevoli che non esiste un altro posto dove andare. Israele dice che evacuerà i civili, ma come possiamo crederci? Sembra che non ci sia alcun piano, e abbiamo già visto più volte quello che sono capaci di fare. Tutti noi, 1.4 milioni di persone, aspettiamo il peggio”.
Al-Akhras ha raccontato di aver fatto carriera lavorando nell’ambito della salute mentale e dei traumi collettivi, “ma non poteva comunque prepararmi al profondo senso di disperazione che si è diffuso nella nostra comunità, che permea tutto”.
“Quando un essere umano si trova ad affrontare un pericolo o una minaccia per la sopravvivenza, risponde in tre modi: lotta, fuga o paralisi. Non possiamo combattere, non possiamo scappare, quindi siamo un popolo congelato, paralizzato, molti di noi ormai da quattro mesi.
“Questa non è una guerra. È un bagno di sangue senza fine, il mondo osserva lo svolgimento di un genocidio e non viene intrapresa alcuna azione per fermarlo. Nulla di quel che ci accade è giustificabile, nessun essere umano dovrebbe sperimentare questo tipo di sofferenza”.
Il medico palestinese ha concluso invocando l’intervento internazionale. “La comunità internazionale deve continuare a esercitare pressioni, e chiedere con urgenza un cessate il fuoco permanente. È l’unica possibilità per sopravvivere a tutto questo”.
Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, 28.775 palestinesi sono stati uccisi e 68.552 feriti, nel genocidio in corso a Gaza dal 7 ottobre.
Almeno 7.000 persone risultano disperse, presumibilmente morte, sotto le macerie delle loro case in diverse aree della Striscia.
Organizzazioni palestinesi, e internazionali, affermano che la maggior parte delle persone uccise e ferite sono donne e bambini.
L’aggressione israeliana ha, inoltre, provocato lo sfollamento forzato di quasi due milioni di persone in tutta la Striscia di Gaza, la stragrande maggioranza degli sfollati sono stati costretti a rifugiarsi nella città meridionale di Rafah, vicino al confine con l’Egitto, causando il più grande esodo di massa dalla Nakba del 1948.
Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui.
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