Persi in mare: l’incredibile esperienza di un uomo palestinese e di altri 60.000

Asaad Baker parla con il The Palestine Chronicle. (Photo: WANN, Supplied)

By Mahmoud Mushtaha

L’incubo di quanto vissuto da Asaad Baker nel tentativo di emigrare continua a perseguitarlo anche dopo l’orribile viaggio che ha dovuto affrontare.

Asaad Baker, 44 anni, ha sempre dovuto lottare per vivere nella Gaza posta sotto assedio, a causa delle grosse difficoltà economiche e dell’assenza di opportunità lavorative. Per anni ha cercato invano lavoro, dopo essere stato costretto a interrompere l’attività di sarto a causa di un invalidante mal di schiena.

A partire dal 2006, Israele ha posto sotto un soffocante assedio la Striscia di Gaza, assedio che ha aggravato il già alto tasso di disoccupazione. Secondo il Ministro del lavoro di Gaza, nel 2022 il tasso di disoccupazione nella Striscia ha raggiunto il 47%, addirittura il 74% tra i giovani.

In questa dura realtà, Asaad, disoccupato e stufo delle sue misere condizioni di vita, chiede aiuto a un trafficante del luogo, Abed Al-Naser, per abbandonare il Paese.

L’idea di ricorrere all’emigrazione illegale viene inizialmente a Deib, il figlio ventunenne di Asaad. Sia lui che il padre desiderano migliorare la situazione economica della propria famiglia. Deib riferisce: «Lavoro in un chiosco di caffè. Guadagno 20 shekel al giorno (circa 5,50 dollari), che non bastano né per le spese di casa né per acquistare una licenza commerciale. Quindi ho detto a mio padre di voler emigrare, ma lui non era d’accordo». Asaad decide quindi che è più prudente che a emigrare sia lui stesso invece di suo figlio. «Emigrare è come giocare d’azzardo. Può andare bene o male, ma nella maggioranza dei casi va male e io non volevo che mio figlio corresse tale rischio. Per me emigrare rappresentava una speranza, nonostante tutti i pericoli. Stavo solo cercando un barlume di speranza».

Per essere portato in Italia su un barcone, al padre vengono chiesti 7.000 dollari. I primi 3.000 da versare a Gaza e il resto all’arrivo in Italia.

Asaad decide di contrarre il debito, nella speranza di ripagarlo una volta trovato lavoro in Italia. Dice: «Sono emigrato per avere accesso al mondo esterno, dato che siamo sotto assedio e, a causa dell’oppressione, nessuno riesce a sentire la voce nostra e dei nostri figli».

Il viaggio della speranza

Il 27 febbraio 2022 Asaad lascia Gaza in cerca di una vita migliore per i suoi sei figli, così da garantire loro una fonte stabile di reddito. Va in Egitto e Libia, nella speranza di raggiungere infine l’Italia sano e salvo. Con lui vi sono anche il fratello Mahmoud e il nipote Mohammad.

Dopo una prima settimana in Egitto, entra illegalmente in Libia, dove rimane altri 9 mesi, dopodiché, nonostante la promessa del trafficante di procurargli una barca affidabile per l’Italia entro 10 giorni, Asaad deve attendere altri 4 mesi, in preda alla confusione e allo sconforto. «Dovevo spostarmi continuamente da un posto all’altro, dato che ero un rifugiato clandestino», riferisce. Vive in condizioni difficili, costretto a spostarsi da un garage all’altro, laddove si aspettava invece di risiedere in una casa sicura, come promesso dal trafficante.

Quando parte per il primo viaggio, nel maggio 2022, sul barcone, che ha una capienza massima di 15 persone, ne sono invece stipate 58.

L’imbarcazione ha due motori, a stento funzionanti. Infatti, dopo i primi 20 minuti di navigazione, uno dei due smette di funzionare, costringendo la barca ad andare ancora più piano. Dopo altri 100 chilometri, si ferma anche il secondo, e l’imbarcazione resta alla deriva in mezzo al Mediterraneo.

«Mi ritrovai nell’oscurità, intorno a me un’unica distesa di acqua nera. I soli rumori che sentivo erano le persone che respiravano e il mare che ruggiva… Che ne sarà di me, della mia famiglia e dei miei figli?»

I migranti restano così, fermi in mare, per ben cinque ore, in attesa di aiuti. Cinque ore piene di paura e apprensione. La tensione spinge alcuni di loro addirittura a saltare dalla barca e provare a nuotare senza una direzione precisa. Asaad cerca anche di riparare i motori, invano.

«Aspettammo in mare cinque ore finché non arrivò la guardia costiera libica che ci arrestò tutti», racconta Asaad, che viene sbattuto in prigione per 12 giorni. «Nel carcere la guardia costiera libica ci trattava bene; infatti fecero una registrazione con le nostre voci che mandarono alle nostre famiglie per rassicurarle».

Il rapimento

Il governo libico prova a rimandare indietro gli immigrati palestinesi, ma un trafficante riesce a far uscire dal carcere Asaad e un certo numero di altre persone, che successivamente però vengono rapiti da un gruppo criminale.

In un primo momento, il trafficante li sistema in un garage, con la promessa di un nuovo viaggio verso l’Italia, rendendoli invece facile preda di trafficanti e altre bande criminali.

«Sono rimasto sequestrato per dieci giorni, con gli occhi bendati, in un luogo non adatto agli esseri umani, sudicio e puzzolente; da mangiare c’era solo un pezzo di pane al giorno, il minimo indispensabile per sopravvivere. In breve tempo le mie condizioni fisiche e psicologiche peggiorarono; non sapevo neanche dove mi trovassi e chi mi avesse rapito.»

Asaad trascorre quei giorni quasi sempre in completo isolamento, senza contatti né con la famiglia né con nessun altro all’esterno della prigione. I rapitori sottraggono loro tutti gli effetti personali e i telefoni e si accordano con la famiglia di Asaad, tramite il trafficante, per la sua liberazione in cambio di mille dollari.

La famiglia paga il riscatto e Asaad viene rilasciato. Dopo il rilascio, Asaad però deve attendere un altro mese e mezzo prima di imbarcarsi per un secondo tentativo di raggiungere l’Italia. Anche stavolta, il trafficante promette a lui e ad altri 14 Palestinesi un viaggio sicuro fino alla fine.

Stato confusionale

Le condizioni in cui Asaad vive in Libia sono estremamente dure, essendo un clandestino; si sposta da un posto all’altro ed è oggetto di altre estorsioni da parte del trafficante.

«A causa del mio status di clandestino, ero sempre in movimento, per paura di essere preso dalla polizia o da membri di bande criminali», racconta Asaad.

Benché il rischio di morire sia ancora alto, Asaad è costretto a continuare il suo percorso migratorio, convinto di non avere altra scelta.

Mentre il trafficante prepara il secondo tentativo, Asaad torna a sperare che questo viaggio possa migliorare la sua situazione e quella di tutta la sua famiglia una volta giunto in Italia.

Continua: «Il 2 ottobre 2022, insieme ad altri 14 uomini provenienti da Gaza, sono stato rinchiuso in un magazzino buio, in attesa del ritorno del trafficante. Il secondo giorno, al risveglio, ho scoperto con terrore che eravamo rimasti lì solo io e altri due, mentre gli altri erano partiti».

Dopo la partenza del trafficante, Asaad è in uno stato di totale confusione: non solo ha perso il contatto con lui, ma non può comunicare con nessuno, compresi i giovani che prima erano con lui.

Il ritorno a Gaza

Asaad fugge dal magazzino e si reca all’Ambasciata palestinese in Libia, dove riferisce degli altri 11 uomini mancanti. Per una settimana non ha alcuna notizia di questi ultimi, né di suo fratello e suo nipote.

«Ho lasciato la Libia senza neanche passare più dall’Ambasciata palestinese. Avevo lasciato Gaza nella speranza di migliorare le nostre condizioni di vita, e invece ero finito dalla padella alla brace».

«Dopo 9 mesi di sofferenza, sono tornato a Gaza. Quando ho rivisto la mia famiglia, ho provato un misto di tristezza e di gioia.»

La gioia trova ragione nel fatto di avere passato momenti in Libia nei quali ha creduto di non rivedere mai più la sua famiglia. Ma al contempo Asaad ha il cuore spezzato, per essere tornato da solo, senza suo fratello e suo nipote.

«Non pensavo che il viaggio sarebbe stato così», dice. «Il trafficante mi aveva detto che saremmo andati in Italia su due imbarcazioni sicure e affidabili, la realtà è stata completamente differente. Inizialmente, prima di partire da Gaza, ci eravamo accordati per una tariffa di 7.000 dollari, ma alla fine ne ho pagati più di 10.000 e in Italia non ci sono mai arrivato. Eppure ho dovuto pagare lo stesso i trafficanti. Ora la mia famiglia è piena di debiti a causa mia.»

Persi in mare

Secondo il Council on International Relations – Palestina, oltre 60.000 giovani sono emigrati da Gaza. Decine di loro sono morti durante il loro viaggio verso la libertà e molti altri sono tuttora dispersi.

L’Euro-Med Human Rights Monitor riferisce inoltre che, dal 2014, sono morte o scomparse 378 persone nel tentativo di emigrare da Gaza.

Oggi la famiglia di Asaad attende ancora il ritorno dei suoi due figli, Mohammad e Mahmoud. Al momento, nessuna organizzazione né istituzione ha aiutato la famiglia a scoprire cosa ne è stato di questi uomini scomparsi.

(Traduzione di Renato Tretola. Leggi l’originale inglese qui)

– Mahmoud Mushtaha è un giornalista e traduttore freelance che vive a Gaza. Il collettivo palestinese We Are Not Numbers ha contribuito questo articolo al The Palestine Chronicle.

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