By Ramzy Baroud
Inutile dire che Ben-Gvir, con le sue minacce di rovesciare il governo di Netanyahu, ha rappresentato la principale forza trainante del genocidio su Gaza.
Nel corso della storia, i partiti sionisti religiosi marginali hanno avuto un limitato successo nel raggiungere vittorie elettorali, che avrebbero consentito loro di partecipare in modo effettivo a processi decisionali politici del paese.
L’impressionante numero di 17 seggi, ottenuti dal partito religioso estremista israeliano Shas nelle elezioni del 1999, ha rappresentato un momento di svolta nella storia di questo genere di partiti, le cui radici ideologiche risalgono ad Avraham Itzhak Kook e a suo figlio Zvi Yehuda Hacohen.
Lo storico israeliano Ilan Pappé ha definito l’influenza ideologica dei Kook una “fusione di messianismo dogmatico e violenza”.
Nel corso degli anni, questi partiti religiosi hanno lottato su diversi fronti, risultando incapaci di unire i propri ranghi, e di fare appello alla società israeliana tradizionale, incapaci di trovare un equilibrio tra il discorso politico messianico e il linguaggio, senza mostrare il comportamento che gli alleati occidentali di Israele si aspettano.
Anche se gran parte del sostegno finanziario e politico agli estremisti israeliani proviene da Stati Uniti e, in misura minore, da altri paesi europei, Washington è stata molto chiara riguardo alla percezione pubblica degli estremisti religiosi israeliani.
Nel 2004, gli Stati Uniti bandirono il partito Kach, una manifestazione moderna dei Kook, e dei primi religiosi sionisti di Israele.
Il fondatore del gruppo, Meir Kahane, fu infatti assassinato nel novembre 1990, mentre un rabbino estremista – responsabile di molte violenze contro palestinesi innocenti per anni – stava tenendo l’ennesimo discorso pieno di odio a Manhattan.
La morte di Kahane fu solo l’inizio di un’ondata di violenza, perpetrata dai suoi seguaci: primo tra tutti un medico americano, Baruch Goldstein, che uccise a colpi di arma da fuoco, il 25 febbraio 1994, dozzine di fedeli musulmani palestinesi nella Moschea Ibrahimi di Hebron.
Il numero di palestinesi uccisi dai soldati israeliani, mentre protestavano contro il massacro, è stato quasi pari a quelli uccisi da Goldstein all’inizio della giornata. Una rappresentazione tragica, ma perfetta, del rapporto tra lo stato israeliano e i coloni violenti, che operano come parte di un più ampio contesto dell’agenda statale.
Quel massacro ha rappresentato uno spartiacque nella storia del sionismo religioso. Invece di essere un’opportunità per marginalizzare la loro crescente influenza, da parte di altri sionisti apparentemente più liberali, sono invece cresciuti in potere e, in definitiva, nell’ influenza politica dello stato israeliano.
Lo stesso Goldstein divenne un eroe, e la sua tomba, nell’insediamento illegale più estremista di Israele in Cisgiordania – Kiryat Arba – è un santuario, un luogo di pellegrinaggio per migliaia di israeliani.
E’ molto significativo che il santuario di Goldstein sia stato costruito di fronte al Memorial Park di Meir Kahane, poiché indica chiare connessioni ideologiche tra questi individui, gruppi e finanziatori.
Negli ultimi anni, tuttavia, il ruolo tradizionale svolto dai sionisti religiosi di Israele è cambiato, portando all’elezione di Itamar Ben-Gvir alla Knesset israeliana nel 2021 e, infine, al suo ruolo di Ministro della Sicurezza Nazionale del Paese nel dicembre 2022.
Ben-Gvir è un seguace di Kahane.
“Mi sembra che, in fin dei conti, la figura di Rabbi Kahane riguardasse l’amore. Amore per Israele, senza compromessi”, ha dichiarato nel novembre 2022.
Ma, a differenza di Kahane, a Ben-Gvir non bastava il ruolo dei sionisti religiosi come movimento per gli insediamenti, come artefici delle incursioni quasi quotidiane di Al-Aqsa, e come operatori di attacchi occasionali contro i palestinesi. Lui voleva essere al centro del potere politico israeliano.
Se Ben-Gvir abbia raggiunto il suo status per diretto risultato di un successo popolare del sionismo religioso, o perché le circostanze politiche dello stesso Israele sono cambiate in suo favore, apre un dibattito interessante.
La verità, tuttavia, potrebbe essere nel mezzo. Il fallimento storico della cosiddetta sinistra politica israeliana – vale a dire il Partito Laburista – ha, negli ultimi anni, dato impulso ad un fenomeno sconosciuto: il centro politico.
Nel frattempo, il partito di destra tradizionale israeliano, il Likud, si è indebolito, in parte perché non è riuscito a fare appello al crescente e giovane elettorato del sionismo religioso, e anche per causa di una serie di scissioni avvenute dopo la fine del partito di Ariel Sharon, e della fondazione di Kadima nel 2005, un partito ormai sciolto da tempo.
Per poter sopravvivere, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ridefinito il suo partito, nella versione più estremista di tutti i tempi, e ha quindi iniziato ad attrarre sionisti religiosi, nella speranza di poter colmare le lacune create dalle lotte interne al Likud.
Così facendo, Netanyahu ha concesso ai sionisti religiosi l’opportunità di una vita.
In seguito all’operazione Al-Aqsa del 7 ottobre, e nei primi giorni del genocidio israeliano su Gaza, Ben-Gvir ha lanciato la sua Guardia Nazionale, un gruppo che aveva già provato a formare prima della guerra, ma senza riuscirci.
Grazie a Ben-Gvir, Israele ormai, secondo le parole del leader dell’opposizione Yair, è diventato un paese con una “milizia privata”.
Il 19 marzo, Ben-Gvir ha annunciato che erano stati consegnati ai suoi sostenitori 100.000 permessi di porto d’armi. Quindi gli Stati Uniti hanno iniziato a imporre “sanzioni” ad alcuni individui, affiliati al movimento estremista dei coloni: un piccolo buffetto considerato l’enorme danno che è già stato fatto, e la grande violenza che probabilmente seguirà in futuro, per mesi e anni.
A differenza di Netanyahu, Ben-Gvir non desidera semplicemente raggiungere una posizione specifica nel governo. Gli estremisti religiosi israeliani vogliono un cambiamento fondamentale, e irreversibile, della politica israeliana.
La spinta, relativamente recente, a cambiare il rapporto tra potere giudiziario ed esecutivo del governo, è stata importante per gli estremisti, quanto per lo stesso Netanyahu. Quest’ultimo, però, ha sostenuto tale iniziativa solo per proteggersi dalle sue responsabilità legali, mentre i sostenitori di Ben-Gvir hanno una motivazione diversa: vogliono dominare il governo e l’esercito, in totale impunità e senza supervisione.
I sionisti religiosi di Israele stanno giocando una partita sul lungo termine, che non è legata a una particolare elezione, a un individuo oppure a una coalizione di governo. Stanno ridefinendo lo Stato, e la sua ideologia. E stanno vincendo.
Inutile dire che Ben-Gvir, con le sue minacce di rovesciare il governo di coalizione di Netanyahu, ha rappresentato la principale forza trainante del genocidio su Gaza.
Se Meir Kahane fosse ancora vivo, sarebbe molto orgoglioso dei suoi seguaci. L’ideologia di quel rabbino estremista, un tempo emarginato e detestato, è ormai divenuta la spina dorsale della politica israeliana.
Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui.
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