Svelare l’Arcano – Ilan Pappé in Memoria di Aaron Bushnell

Aaron Bushnell si è dato fuoco davanti all'ambasciata israeliana a Washington, DC, per protestare contro la guerra genocida di Israele. (Immagine: Palestine Chronicle, tramite social media)

By Ilan Pappé

Sogno il giorno in cui, in una Palestina liberata, esisterà una strada per commemorare questi giovani uomini e donne coraggiosi. Hanno insegnato al mondo che quanto che sta accadendo in Palestina è un’ingiustizia, e che non può essere oltremodo tollerata.

Il sacrificio dell’aviatore senior Aaron Bushnell, per il bene di Gaza e della Palestina, è già diventato notizia vecchia, troppo in fretta.

Aaron era uno specialista in operazioni di difesa informatica dell’aeronautica americana, ed è morto a 25 anni per le ferite riportate dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana di Washington.

L’esercito e la polizia degli Stati Uniti hanno espresso la loro solidarietà alla famiglia, ma non è stata fatta menzione sui retroscena e sulla causa per la quale Aaron ha scelto di morire.

Nella migliore descrizione, l’incidente è stato definito un “evento tragico”. Il Pentagono ha spiegato che la protesta di Aaron è stata attuata contro la guerra su Gaza, ma ignorando il suo messaggio principale: un’accusa esplicita agli Stati Uniti, complici del genocidio.

Spero che la maggior parte di noi non si accontenterà della loro risposta ufficiale. Se dovesse accadere, significherebbe che non rispettiamo la coraggiosa protesta di questo giovane e, in tal caso, il suo sacrificio sarà stato vano.

Aaron Bushnell ha indossato la sua uniforme militare e ha trasmesso in diretta il suo atto di sacrificio su Internet, non a caso.  Come “membro in servizio attivo”, ha scritto, “non sarò più complice del genocidio”.

Palestina libera

Questo è stato il messaggio principale prima di bagnarsi con un liquido limpido e darsi fuoco, gridando “Palestina libera”. Nel suo messaggio precedente all’azione, Aaron aveva scritto:

 “Sto per intraprendere un atto di protesta estremo, ma rispetto a quello che le persone vivono in Palestina, per mano dei loro colonizzatori, non lo è affatto”.

Scrivo questo articolo con trepidazione, non voglio sembri un incoraggiamento ad arrivare a questo atto così estremo, ma trovo difficile non ammirare il coraggio di Aaron, che è stato anche riconosciuto dal movimento di Resistenza a Gaza.  

La Resistenza ha elogiato il pilota americano affermando:

“Ha immortalato il suo nome come difensore dei valori umani e della difficile situazione del popolo palestinese, oppresso dall’amministrazione americana e dalle sue politiche ingiuste”.

Un messaggio importante

Il messaggio di Aaron è semplice, e molto chiaro: gli Stati Uniti sono complici del primo genocidio televisivo dei tempi moderni. E se presti servizio nell’amministrazione, o nell’esercito americano, allora sei complice anche tu.

Il luogo fisico in cui la complicità si traduce in collaborazione effettiva è l’ambasciata israeliana a Washington, ed è per questo che Aaron ha deciso di protestare lì davanti. Ci sono altre parti del messaggio di Aaron che devono essere ricordate da molti di noi.

Aaron ha domandato se le persone perbene avrebbero dovuto tacere durante la schiavitù in America, o durante l’apartheid in Sud Africa, ha chiesto quante persone, ovunque nel mondo e nel corso della storia, hanno sacrificato la propria vita nella lotta per la giustizia.

Aaron non è riuscito a fermare la complicità americana nel genocidio, ma sperava di non passare inosservato. Non è solo il messaggio di abnegazione di Aaron ad essere così importante. La sua stessa persona è altrettanto cruciale.

Tutti quelli che lo conoscevano, lo ricordano per “la sua gentilezza, dolcezza, premurosità”. Un amico ha detto ai giornalisti che era “il ragazzino più gentile, gentile e simpatico dell’aeronautica” e “uno dei compagni con più alti principi”.

Il giorno prima dell’auto-immolazione, ha inviato un testamento all’amico, ha affidato il suo gatto a un vicino e ha detto che il suo frigorifero era pieno per il divertimento degli amici.

Abbiamo bisogno di te

È importante sapere chi fosse Aaron, poiché si tende a descrivere i giovani come lui come pazzi, fanatici. La verità è che Aaron era una persona sana, che si sentiva impotente nel far parte di un’istituzione complice della sofferenza dei palestinesi.

Era una persona sensibile, che ha sacrificato la sua vita, nella speranza di mandare un messaggio.

Chiediamo alle persone di non adottare queste misure estreme. Abbiamo bisogno di loro nelle strade, nelle proteste. Abbiamo bisogno che lascino posizioni e lavori per dimostrare umanità di fronte a un genocidio che viene trasmesso in televisione ogni ora, ancora in corso.

Aaron era pronto ad affrontare le sfide future della vita. Stava conseguendo una laurea in ingegneria del software presso la Western Governors University.  In precedenza, si era impegnato in corsi relativi allo sviluppo di software, presso la Southern New Hampshire University, e informatica presso il Global Campus dell’Università del Maryland, secondo le informazioni sul suo profilo LinkedIn.

I media mainstream negli Stati Uniti si chiedono come mai un giovane che amava il Signore degli Anelli e il karaoke, sia arrivato a un gesto così estremo. Lo hanno definito un mistero.

La risposta per loro non è la Palestina, ma un gruppo religioso, una setta a cui apparteneva da bambino, e che presumibilmente maltrattava i suoi membri. La spiegazione fornita dai media statunitensi è che quando si lascia un gruppo di questo tipo, è difficile uscirne interiormente del tutto. Forse è vero, ma tuttavia non spiega l’atto di sacrificio di Aaron.

Non lo ha fatto perché era un’anima perduta.

Al contrario, il fatto di aver subito un’ingiustizia, lo ha spinto, come nelle parole dei suoi amici più cari, a cercare di “difendere coloro dei quali non importa a nessuno o che non possono difendersi”.

E’ questo il motivo che lo ha portato ad essere un attivista sociale per giuste cause.

Aaron non è solo

I media mainstream negli Stati Uniti rifiutano di accettare la percezione di Aaron, come di molti altri giovani americani, riguardo l’ingiustizia in Palestina, uguale a quella vissuta dagli schiavi in ​​America, o dalle vittime dell’imperialismo americano in Vietnam.

Sempre più giovani americani si rendono conto che la politica americana è una delle ragioni principali della continua sofferenza dei palestinesi. Molti altri ne stanno venendo a conoscenza adesso.

Aaron non era un osservatore superficiale.

Si sentiva a disagio a prestare servizio nell’esercito, e in seguito all’uccisione di George Floyd, aveva iniziato a fare ricerche sulla storia della violenza inflitta dagli Stati Uniti, sia a livello nazionale, contro i propri cittadini, sia nel mondo, contro altri popoli.

La sua ricerca interiore lo ha portato a considerare di lasciare l’esercito. Il suo sogno di fare carriera era associato al bisogno di guadagnare sufficiente denaro per aiutare le giuste cause, nelle quali credeva.

Non dobbiamo dimenticare Aaron.

Non conosciamo il nome e l’identità della donna coraggiosa che si è data fuoco davanti al consolato israeliano ad Atlanta, lo scorso dicembre. Ma, anche in quel caso, sul posto è stata ritrovata una bandiera palestinese.

Aaron ci ricorda Norman Morrison, che fece lo stesso gesto davanti agli uffici di Robert McNamara, l’anziano politico americano responsabile della devastazione del Vietnam, a metà degli anni ’60. E ce ne sono stati altri negli Stati Uniti, come Wyne Alan Bruce, che si è dato fuoco nell’aprile 2022 a Washington, in occasione della Giornata della Terra, come forma di protesta contro l’inazione internazionale di fronte alle catastrofi ambientali, compreso il cambiamento climatico.

E fuori dagli Stati Uniti, tutti ricordiamo Thich Quang Duc, il monaco buddista che si diede fuoco nel 1963, per protestare contro la persecuzione filoamericana dei monaci buddisti nel Vietnam del Sud.

E ricordiamo anche Mohamed Bouaziz, il commerciante tunisino che, con il suo atto di sacrificio, scatenò quella che divenne nota come Primavera Araba.

Indagando a fondo, sono rimasto molto sorpreso nell’apprendere che quasi nessuno nell’esercito americano ha espresso preoccupazione, tantomeno critiche, riguardo al coinvolgimento americano nel genocidio israeliano contro Gaza.

Si può comprendere quanto debba essersi sentito solo Aaron.

Vorrei che tutti avessimo potuto parlare con Aaron per dirgli che la sua esperienza avrebbe potuto essere utile nella causa in cui crediamo. Il minimo che possiamo fare è ricordarlo.

Sogno il giorno in cui, in una Palestina liberata, esisterà una strada per commemorare questi giovani uomini e donne coraggiosi. Hanno insegnato al mondo che quanto che sta accadendo in Palestina è un’ingiustizia, e che non può essere oltremodo tollerata.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

- Ilan Pappé è docente presso at the University of Exeter ed ex docente di scienze politiche presso l'Università di Haifa. Tra i suoi volumi figurano La Pulizia Etnica della Palestina, Storia della Palestina Moderna e 10 Miti su Israele. Pappé è considerato uno dei 'nuovi storici' israeliani che, dopo la pubblicazione di documenti britannici e israeliani nei primi anni '80, hanno contribuito a riscrivere la storia della creazione di Israele nel 1948. Ha contribuito questo articolo al Palestine Chronicle.

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