Russia amica o nemica? La dichiarazione sull’ambasciata a Gerusalemme ovest desta preoccupazioni

Il Presidente russo Vladimir Putin (D) con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. (Photo: Kremlin, via Wikimedia Commons, file)

By Ramzy Baroud

Mosca non può essere data per scontata come alleata dei palestinesi, e che il completo riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte della Russia non è del tutto fuori discussione.

L’inizio della guerra tra Russia e Ucraina ha determinato anche una Guerra Fredda globale. Israele, come forte alleato degli Stati Uniti e per la massiccia presenza di ebrei russi, ucraini ed europei dell’Est nei suoi confini, si è ritrovato al centro di questo conflitto globale.

All’inizio della guerra, Israele era governato da una bizzarra coalizione, che riuniva partiti politici di destra, centro e sinistra. Questi partiti erano consapevoli della rilevanza, da un punto di vista elettorale, degli ebrei russi, arrivati in Israele dopo il crollo dell’ex Unione Sovietica tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Questo nutrito corpo elettorale, in rapida crescita, assume nella grande maggioranza dei casi posizioni anti-Mosca, come dimostrano i sondaggi d’opinione.

Questi dati, uniti alla lealtà di Israele verso Washington, hanno complicato non poco la posizione israeliana. Da una parte, Tel Aviv ha votato a favore di una Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel marzo 2022 che condannava la Russia. In risposta, Mosca aveva espresso il suo “rammarico” nei confronti di Israele. Inoltre, Tel Aviv ha aperto le sue porte agli ucraini e anche agli ebrei russi che volevano fuggire dalle zone di guerra.

D’altro canto, l’allora Primo Ministro israeliano Naftali Bennett aveva tentato di svolgere il ruolo di mediatore, incontrando il Presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky. Inoltre, Israele è stato più volte considerato un possibile luogo d’incontro per futuri negoziati, e questo gli aveva conferito uno status speciale come pacificatore, anche se si trattava solo di una copertura mediatica.

Le azioni di Tel Aviv non erano sfociate in nulla di concreto. Anzi, nel tempo, ci sono stati anche screzi diplomatici su ciò che Israele considera la venerazione dell’Ucraina nei confronti dei collaboratori nazisti.

Un altro episodio imbarazzante è seguito alle dichiarazioni di Bennett, secondo cui Zelenskyj avrebbe ricercato garanzie dal Premier israeliano per escludere che Putin ucciderlo. L’Ucraina ha sempre negato che questo sia effettivamente avvenuto.

Eppure, mentre Bennett cercava di inserire Israele nel conflitto come importante potenza globale, Yair Lapid, allora Ministro degli Esteri israeliano, condannava apertamente la Russia.

La posizione israeliana era la conseguenza dell’eterogenea composizione politico-demografica del Paese. Probabilmente, si trattava anche di uno stratagemma politico, per cui Bennett tentava di rassicurare Mosca, mentre il suo alleato Lapid cercava di rassicurare Washington.

Nonostante i rimproveri occasionali rivolti a Israele da parte di Stati Uniti e Russia, il linguaggio utilizzato da entrambe le parti era difficilmente paragonabile alle minacce lanciate contro altri Paesi che si rifiutavano di seguire la loro linea.

Infatti, il più duro degli avvertimenti di Mosca a Israele è arrivato a febbraio, quando la portavoce del Ministero degli Esteri Maria Zakharova ha dichiarato alla stampa che “tutti i Paesi che forniscono armi all’Ucraina devono essere coscienti che considereremo queste armi come obiettivi legittimi per le Forze Armate russe”.

In quell’occasione, si è pensato che il riferimento fosse a Israele, poiché faceva la dichiarazione di Zakharova faeva seguito a un’intervista della CNN con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Nell’intervista, Netanyahu aveva ffermato che il suo Paese stava “considerando” l’invio di “altri tipi di aiuti”, oltre all’assistenza umanitaria, all’Ucraina. Nella stessa intervista, Netanyahu aveva definito “complesse” le relazioni di Tel Aviv con Mosca a causa dei loro interessi contrastanti in Siria e dei forti legami di Mosca con Teheran, acerrimo nemico di Israele nella regione.

A differenza dei due precedenti primi ministri, Bennett e Lapid, Netanyahu desiderava mantenere un certo grado di neutralità nella guerra tra Russia e Ucraina e nella conseguente Guerra Fredda globale. Che Netanyahu fosse sincero o meno, sembra che Mosca sia molto più a suo agio con la nuova posizione di Tel Aviv rispetto a quella del governi precedente.

Si pensi, ad esempio, al luglio 2022, quando il Ministero della Giustizia russo aveva lanciato una battaglia legale contro l’Agenzia Ebraica per Israele, la cui missione, iniziata un secolo fa, è stata quella di facilitare l’immigrazione ebraica verso la Palestina e, successivamente, verso Israele.

La mossa russa era chiaramente di natura politica, intesa a inviare un forte messaggio a Israele: la Russia voleva far sapere di avere molti strumenti a sua disposizione, nel caso in cui Tel Aviv avesse virato troppo in direzione ucraina. Israele ha risposto bombardando la Siria ancora più frequentemente che in passato, volendo comunicare a Mosca di avere, anch’esso, delle frecce al proprio arco.

La verità è che la battaglia legale contro l’Agenzia Ebraica ha sollevato serie preoccupazioni in Israele, dimostrando la serietà delle intenzioni russe nel contrastare la politica e i programmi contrastanti di Tel Aviv.

Tuttavia, la spaccatura tra Russia e Israele non ha ancora avuto alcun impatto positivo diretto sui palestinesi. E questo ha delle motivazioni.

La prima è che storicamente, le relazioni con Israele da parte della Russia, e in precedenza dell’Unione Sovietica, si sono sempre fondate esclusivamente sulle priorità politiche di Mosca.

La seconda è che, negli ultimi decenni, il punto di vista sulla politica estera della Russia è stato in gran parte legato alla posizione collettiva araba nei confronti di Tel Aviv. Questo è dimostrato, ad esempio, dalla rottura dei legami tra Mosca e Tel Aviv durante la guerra arabo-israeliana del 1967 e dalla ripresa delle relazioni durante i colloqui di pace arabi-israeliani-palestinesi del 1991. L’attuale assenza di una posizione araba unitaria riguardo alla Palestina rende meno urgente una spinta più decisa da parte di Mosca contro l’occupazione israeliana.

Infine, la dirigenza palestinese non è riuscita a muoversi negli spazi geopolitici che si sono aperti dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, rendendosi quindi in gran parte irrilevante per i calcoli politici di Mosca.

Infatti, non appena Israele ha iniziato ad adottare una posizione più coerente e meno aggressiva nei confronti della guerra, Tel Aviv ha iniziato a raccogliere i suoi frutti.

A luglio, il Ministro degli Esteri Eli Cohen ha celebrato il “successo diplomatico” del suo Paese a seguito della decisione russa di aprire uffici consolari a Gerusalemme Ovest. Questo sorprendente annuncio è stato accompagnato dall’uso, da parte di alcuni media finanziati dal governo russo, del termine “Gerusalemme Ovest”, invece di Tel Aviv, per riferirsi alla capitale di Israele.

Si potrebbe sostenere che la posizione russa sulla Palestina rimane forte e che le concessioni della Russia a Israele sono probabilmente temporanee, semplicemente rese necessarie dalla guerra. Di fatto, potrebbe essere così, soprattutto se teniamo presente il forte elettorato filo-arabo al Cremlino e alla Duma.

È anche possibile, anzi innegabile, che la politica estera della Russia nei confronti di Israele e della Palestina sia interamente motivata dalle priorità russe.

Ciò significa che Mosca non può essere data per scontata come alleata dei palestinesi, e che il completo riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte della Russia non è del tutto fuori discussione.

Leggi l’originale inglese qui.

- Ramzy Baroud is a journalist and the Editor of The Palestine Chronicle. He is the author of six books. His latest book, co-edited with Ilan Pappé, is “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Dr. Baroud is a Non-resident Senior Research Fellow at the Center for Islam and Global Affairs (CIGA). His website is www.ramzybaroud.net

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