“Mio fratello minore Mohammed sentiva che sarebbe morto da martire. Si sentiva inseguito dai missili dell’occupazione. Infatti, è stato ucciso in un centro di distribuzione”.
Il targeting sistematico dei centri di distribuzione è una nuova tattica, utilizzata abitualmente dall’esercito israeliano, insieme ai cosiddetti “massacri della farina”, per intensificare ulteriormente l’assedio affamando la popolazione della Striscia.
Giovedì mattina, le forze israeliane hanno bombardato un edificio gestito dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso ai Rifugiati Palestinesi (UNRWA), che funziona come centro di distribuzione. L’attacco ha ucciso almeno cinque persone, e ne ha ferite molte altre.
Lo stesso giorno, l’esercito israeliano ha colpito un altro centro di distribuzione, appartenente al Ministero palestinese per lo Sviluppo Sociale, situato nel campo profughi di Al Nuseirat, nella Striscia di Gaza centrale. Il Palestine Chronicle ha parlato con i parenti di quattro vittime dei bombardamenti israeliani.
l Palestine Chronicle ha parlato con tre donne, i cui mariti sono stati uccisi nei bombardamenti israeliani. Ci hanno raccontato le loro sfide quotidiane, le paure e le crescenti responsabilità che devono affrontare.#giornatainternazionaledelladonna https://t.co/u9eOBC2Nc4 pic.twitter.com/CS5lSutwAU
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Sentire la morte
“Mio fratello Mohammed, 15 anni, è andato a ritirare un pacchetto di pannolini per mio cugino, al centro di distribuzione di Nuseirat”, racconta Muath al-Hour al Palestine Chronicle.
“Mentre aspettava il suo turno per prendere i pannolini, l’occupazione ha bombardato il centro e mio fratello Mohammed è stato ucciso sul colpo”.
Come molte altre persone nella Striscia di Gaza, la famiglia di Mohammed è stata sfollata più di una volta, durante l’aggressione in corso.
“Siamo stati sfollati dalla nostra casa di Al Nuseirat tre mesi fa, e abbiamo vissuto in una tenda a Rafah, nel sud, per circa un mese. Ma quando le forze israeliane si sono ritirate, e ci siamo resi conto che i bombardamenti erano ovunque, abbiamo deciso di tornare a casa”, prosegue Al-Hour.
“Un giorno la nostra casa è stata presa d’assalto dai proiettili dell’artiglieria di occupazione e, per grazia di Dio, siamo riusciti a sopravvivere”.
“Mio fratello minore, Mohammed, sentiva che sarebbe morto da martire. Si sentiva inseguito dai missili dell’occupazione. E infatti è stato ucciso, in un centro di distribuzione”, conclude al-Hour, con la voce spezzata.
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Le persone a me più care
I bombardamenti israeliani non hanno risparmiato nemmeno gli operatori sociali e i volontari, che cercano senza sosta di aiutare la popolazione civile in questa catastrofica situazione umanitaria a Gaza.
“Sono un assistente sociale presso il Ministero dello Sviluppo Sociale, che si dedica alla cura dei poveri nella Striscia di Gaza”, spiega Mohammed al-Dashat al Palestine Chronicle.
Il fratello di Al-Dashat, Osama, 42 anni, lavorava presso il centro di formazione professionale di Khan Yunis, affiliato al Ministero. All’inizio dell’attacco è stato assegnato al centro di distribuzione nel campo di Al Nuseirat.
Il fratello minore Raed, 29 anni, ha deciso di andare con lui a fare volontariato al centro, insieme al nipote di 21 anni, Amir.
“Ogni giorno vediamo migliaia di sfollati alla ricerca di cibo per i loro figli, e noi distribuiamo le provviste che riceviamo, comunque molto limitate”.
“Giovedì mattina mi sono recato al quartier generale del Ministero, nella città di Deir al-Balah, per partecipare a una riunione di emergenza sulla distribuzione degli aiuti. Ero ancora lì quando abbiamo ricevuto la notizia dell’attentato a Nuseirat”, continua Al-Dashat.
“Ho lasciato la riunione e sono andato lì immediatamente. La distanza tra Deir Al-Balah e Nuseirat è di circa cinque chilometri. Lungo la strada, non riuscivo a smettere di pensare ai miei fratelli e a mio nipote, ero sopraffatto dalla paura”,racconta.
“Non riuscivo a smettere di piangere, sapevo già che i bombardamenti mi avevano portato via le persone a me più care”.
“Quando sono arrivato sul posto ho visto le tracce del bombardamento, c’era sangue sparso ovunque. I pacchi di aiuti, che avrebbero dovuto essere distribuiti, erano mescolati al sangue dei martiri”.
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“Ho chiesto dei miei fratelli e di mio nipote, mi hanno detto che erano feriti e che erano stati trasferiti all’ospedale Al-Awda. Mi sono precipitato correndo all’ospedale, che dista circa 700 metri, ma quando sono entrato sono rimasto scioccato: ho visto i corpi morti dei miei fratelli e di mio nipote”.
Al-Dashat ci ha spiegato che dopo i bombardamenti non c’è più alcun posto dove poter ricevere aiuti a Al Nuseirat. Ha chiesto un’indagine su questo crimine atroce.
“Più di 200.000 sfollati hanno perso l’unico centro di distribuzione della zona. L’occupazione sta attuando una guerra di fame, parallela ai bombardamenti, e deve essere fermata”.
Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui.
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