“Il giorno più duro”– La Resistenza contrasta la “terza fase” israeliana prima che cominci.

Israeli army spokesperson Daniel Hagari. (Photo: via Al-Jazeera Arabic)

By Redazione Palestine Chronicle

Qualunque esercito, per passare da una fase all’altra del combattimento, deve aver completato i compiti militari precedenti. Ma Israele ha raggiunto gli obiettivi per poter passare alla fase successiva?

La terza fase è alle porte, hanno comunicato più volte i funzionari israeliani, riferendosi alla prossima fase  dell’attacco genocida contro Gaza.

Le citazioni riguardo la terza fase arrivavano da fonti anonime, israeliane e americane, e sono state ampiamente riportate dai principali media americani.

Nonostante la riluttanza, e l’insistenza sul proseguire l’aggressione contro Gaza senza sosta, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, alla fine si è unito al coro.

Netanyahu non lo ha detto apertamente, ma il suo portavoce militare, Daniel Hagari, ha riferito lunedì 

“La guerra ha cambiato fase. La transizione avverrà senza cerimonie”.

Quale sarebbe la terza fase?

Sulla base delle dichiarazioni ufficiali e semi-ufficiali israeliane, la terza fase vedrebbe una grande riduzione delle operazioni militari all’interno della Striscia.

L’esercito israeliano si dovrebbe concentrare sulle cosiddette “operazioni chirurgiche”, raid militari selettivi che prenderebbero di mira le roccaforti di Hamas, ad esempio in aree come Deir Al-Balah, nel centro di Gaza, e Khan Yunis, nel sud.

Gli americani hanno un’interpretazione diversa di questa terza fase, perché vorrebbero veder tornare indietro i palestinesi sfollati dalle case nel nord di Gaza. Sono stati gli americani a ripetere l’espressione “operazioni chirurgiche”, ormai adottata anche dagli israeliani.

La “terza fase” è un modo per indicare la sconfitta?

Parlare di terza fase implica che la prima e la seconda fase si siano concluse con successo: la prima era lo smantellamento della Resistenza nel nord di Gaza, la seconda l’avanzamento militare e la distruzione di Hamas, nel centro e nel sud. 

Sebbene gli israeliani insistano nel dire che questi obiettivi sono stati interamente, o parzialmente, raggiunti, le prove sul campo indicano il contrario.

Lunedì, il giorno stesso in cui Hagari ha spiegato ai giornalisti il significato di “terza fase”, le Brigate Al-Qassam e le Brigate Al-Quds hanno ostacolato ogni possibilità di successo della nuova fase.

Al-Qassam ha ucciso, per ammissione dell’esercito israeliano, nove ufficiali israeliani, e causato molti altri feriti, mentre in contemporanea lanciava, dal sud, razzi verso Tel Aviv . 

E’ stato descritto da Israeli Channel 12 come il “giorno più duro” per l’esercito israeliano dall’inizio dell’attacco.

La seconda fase

Le Brigate Al-Quds hanno lanciato razzi sulla regione intorno a Gaza, in particolare su Sderot, e dal nord di Gaza, che avrebbe dovuto essere presumibilmente “ripulito” nella prima fase.

Appare evidente che Israele non sia riuscito a raggiungere nessuno degli obiettivi più volte dichiarati, come distruggere Hamas, smantellare la Resistenza, rioccupare e prendere il controllo di Gaza.

Parlare di una terza fase, quando nessuno degli obiettivi di cui sopra è stato raggiunto, è un segno del totale fallimento israeliano.

La prossima mossa

La “terza fase” potrebbe essere un tentativo israeliano di porre fine all’attacco, lentamente, e senza una dichiarazione ufficiale.

A Netanyahu non rimane che questa soluzione per mantenere un elemento di emergenza nella società israeliana, che gli consenta di prolungare la permanenza al timone della politica.

La Resistenza Palestinese, tuttavia, ha dimostrato che la decisione di proseguire o porre fine alla guerra, non è interamente nelle mani di Netanyahu.

Se Israele continua a combattere con questa capacità, sicuramente dovrà affrontare un duro destino, quello vissuto da migliaia dei suoi soldati dal 7 ottobre.

Se si ritirasse nelle cosiddette zone cuscinetto, farebbe il gioco della Resistenza, che eccelle nelle tecniche di combattimento definite “fidahi”, ovvero guerriglia.

Se Israele si ritirasse completamente, potrebbe farlo sia sulla base di un accordo di tregua, che gli consentirebbe di recuperare i suoi prigionieri militari, sia senza alcun accordo. 

In ogni caso, i giorni di Netanyahu al potere sono ormai contati.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

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