Chi ha il controllo? –Netanyahu ha spaccato Israele

(Image: Palestine Chronicle)

By Ramzy Baroud & Romana Rubeo

Il 7 ottobre ha complicato la scena politica di Israele, in modi che nemmeno l’abile Netanyahu sa come gestire.

Chi governa Israele? Non è facile trovare una risposta.

Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu non governa Israele. Sembra più un manager, ma non molto capace.

Netanyahu, soprannominato Bibi sia dai fan che dai detrattori, è stato anche definito “il Re di Israele”. Nel corso di oltre 16 anni, Netanyahu si è guadagnato il titolo di Primo Ministro israeliano più longevo.

Gli equilibrismi di Bibi

L’unica spiegazione razionale della longevità di Netanyahu, in una delle scene politiche più conflittuali della terra, e in un paese che si definisce democratico, è semplice: lui piace alla maggioranza delle persone. Purtroppo, non in questo periodo. 

La maggior parte delle coalizioni di Netanyahu, che gli hanno permesso di governare anno dopo anno, un’elezione dopo l’altra, sono state assemblate in base alla sua capacità di svolgere equilibrismi politici, senza precedenti nella storia dei governi israeliani.

Raramente Netanyahu ha governato con una maggioranza assoluta del suo partito, il Likud. 

Per formare il governo, il leader israeliano ha ritenuto necessario creare coalizioni, che hanno fatto sempre più affidamento su ideologie di destra, e infine di estrema destra, come quelle di Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich.

Benefici di estrema destra

La coalizione di Netanyahu, formata nel dicembre 2022, è andata avanti, senza grossi intoppi se paragonata ad altre coalizioni intrinsecamente instabili, fino all’operazione “Al-Aqsa Flood” del 7 ottobre, e alla successiva guerra.

Per dieci mesi il Ministro della Sicurezza Nazionale Ben-Gvir, e il Ministro delle Finanze Smotrich, hanno avuto piena libertà di devastare ogni comunità palestinese nei territori occupati, inclusa Al-Quds (Gerusalemme), e di perseguitare i cittadini arabi in Israele. 

Sebbene la loro retorica, politica e violenza abbiano sollevato la Resistenza Palestinese, e molte critiche a livello regionale e internazionale, nulla di tutto questo ha avuto rilevanza per Netanyahu. 

Il leader si è impegnato per rimanere al potere ad ogni costo, in modo da poter evitare, o almeno ritardare, le responsabilità legali per diversi casi di corruzione in corso, che coinvolgono anche la sua famiglia.

“Diluvio” politico

Ma il 7 ottobre ha complicato la scena politica di Israele, in modi che nemmeno l’abile Netanyahu sa come gestire.

Oltre alla coalizione governativa, formata da ministri di estrema destra, che chiede lo sterminio o l’espulsione di tutti i palestinesi, Netanyahu ora deve rispondere ad un’altra coalizione, il Consiglio di Guerra.

Questo consiglio di emergenza è stato formato immediatamente dopo l’inizio dell’attacco contro Gaza, e comprende personaggi del calibro di Benny Gantz, un nemico giurato di Netanyahu, il cui ruolo nel Consiglio sembra principalmente mirato al controllo delle ambizioni belliche di Bibi.

Trovare l’equilibrio tra due governi era già abbastanza difficile, ma Netanyahu ora deve anche bilanciare la crescente frustrazione dell’esercito, causata dalle pesanti perdite e dalla mancanza di pianificazione, e la rabbia che si riversa nelle strade israeliane, ormai confuse, vendicative e divise.

Forse, Israele avrebbe potuto salvarsi dalla collera e dalla politica egocentrica di Netanyahu, se Washington avesse avuto un governo forte. 

L’amministrazione Biden, invece, si è offerta, dal primo giorno di guerra, per svolgere il ruolo di lacchè, fornendo a Israele tutto ciò di cui aveva bisogno, senza troppe domande.  

Dopo 95 giorni, Israele rimane diviso, ignaro di ciò che vuole realmente, non è disposto ad accettare la sconfitta, ed è incapace di andare avanti, o in qualsiasi altra direzione.

“Non un’altra stella”

“Non siamo un’altra stella sulla bandiera americana”, ha detto Ben-Gvir il 3 gennaio.

Ben-Gvir non ha coniato questa espressione.

Viene ripetuta ogni volta che i politici israeliani decidono di comunicare a Washington che Tel Aviv non segue i diktat americani.

In realtà, gli americani non hanno dettato nulla. 

Hanno dato, ancora, a Israele miliardi di dollari per salvare l’economia, hanno fornito a Israele le munizioni necessarie per portare avanti il ​​genocidio, ma hanno semplicemente chiesto, sottovoce, a Israele di ridurre, almeno un po’, le vittime civili palestinesi.

Per Ben-Gvir, le generose donazioni americane sono benvenute. Non è accolto con favore, invece, un semplice suggerimento: Israele deve fissare obiettivi realistici per la sua guerra, e non può procedere alla pulizia etnica dei palestinesi di Gaza.

In questa atmosfera di caos, in totale assenza di una leadership seria e decisa, Israele sembra agire tra campi politici sconnessi, che combattono tra loro nel momento in cui i loro stessi militari stanno portando avanti una battaglia persa a Gaza, senza obiettivi precisi.

Lunedì un funzionario statunitense, in anonimato, ha rilasciato per “Politico”, dichiarazioni sulla situazione israeliana.

“Chi guida?”

“Non è sempre chiaro chi guida il treno in Israele”, ha detto.

“Ci sono stati momenti in cui Netanyahu lo ha lasciato intendere, ma è stato addirittura esplicito nel dirci: “Ho le mani legate, ho questa coalizione. Non sono io. È una coalizione. Non sono io. Sono gli imperativi politici che devo affrontare”.

Eppure, gli “imperativi politici” di Netanyahu sono una sua creazione.

Come non bastasse, a peggiorare le cose per Tel Aviv, ci ha pensato il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden che ha ribadito, più volte: “Sono un sionista, non devi essere ebreo per essere sionista”.

La dichiarazione di Biden ha ben poco a che fare con l’ideologia sionista, o con il fatto che si debba o meno essere ebrei per essere sionisti. 

È, in un certo senso, come un assegno in bianco per Netanyahu.  Può fare ciò che vuole, senza temere responsabilità o pressioni.

Sulla stessa linea, dichiarazioni come quella del Segretario di Stato americano Antony Blinken del 12 ottobre, che sarebbe arrivato in Israele “non solo come segretario di Stato degli Stati Uniti, ma anche come ebreo”, hanno peggiorato ulteriormente la situazione. 

È ormai evidente che gli interessi americani e israeliani sono perfettamente allineati, e che non saranno sollevati dubbi sulle motivazioni o azioni israeliane.

Blinken è tornato in Israele lunedì. Prima del suo arrivo a Tel Aviv, ha parlato con giornalisti dell’Arabia Saudita, annunciando le priorità della politica estera americana: sicurezza per Israele, e uno Stato per i palestinesi.

Il problema degli americani è che le loro priorità non godono più di alcuna fiducia, accettazione o rispetto di nessun partito nella regione, e certamente nemmeno dallo stesso Israele.

Washington svilupperà mai una politica capace di far rispettare le sue priorità, oppure l’era della leadership americana in Medio Oriente è finita per sempre? 

Le prove sul campo suggeriscono che quest’ultima ipotesi sia la più plausibile.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

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