Da Gaza al Congo: i palestinesi vittime della storia dei sionisti

(Image: Palestine Chronicle)

By Ramzy Baroud

Non solo Israele è colpevole di uno sterminio di massa , ma il resto del mondo occidentale continua a svolgere il solito ruolo, durante una tragedia storica.

Migliaia di chilometri separano l’Uganda e il Congo dalla Striscia di Gaza, eppure questi due luoghi sono collegati alla Palestina, anche se le analisi geopolitiche di oggi non lo sanno spiegare.

Il 3 gennaio è stato reso noto che il Governo israeliano di estrema destra, capitanato da Benjamin Netanyahu, sta discutendo proposte per espellere milioni di palestinesi nei paesi africani, in cambio di un prezzo da concordare.

L’espulsione di milioni di civili da Gaza è entrata nel pensiero dominante in Israele, dal 7 ottobre. 

Il fatto che questa discussione sia attiva da più di tre mesi, dimostra che le proposte israeliane non sono la reazione a un momento storico specifico, come l’operazione Al-Aqsa Flood.

Attraverso un rapido sguardo ai documenti storici israeliani, si evidenzia che l’espulsione di massa dei palestinesi, da loro definita “Trasferimento”, era, e ancora rimane, una delle principali strategie israeliane per risolvere il cosiddetto “problema demografico” di Israele.

Prima che i combattenti delle Brigate Al-Qassam, e altri movimenti palestinesi,  prendessero d’assalto la recinzione che separa la Striscia assediata da Israele, i politici israeliani stavano da tempo, e frequentemente, discutendo di come ridurre la popolazione palestinese, al fine di mantenere una maggioranza ebraica in Palestina.

L’idea non era vagliata solo da estremisti, ma anche da personaggi come l’ex Ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman, che già nel 2014 aveva suggerito una proposta per “un piano di scambio popolazione”.

Intellettuali e storici, apparentemente liberali, hanno sostenuto l’idea, sia in linea di principio che nella pratica.

In un’intervista con il quotidiano Haaretz del gennaio 2004, uno storico israeliano di spicco, Benny Morris, aveva espresso rammarico riguardo la mancata completa espulsione di tutti i palestinesi, da parte di David Ben Gurion, durante la Nakba del 48, il catastrofico evento di pulizia etnica che aveva portato alla creazione dello Stato di Israele, sopra i resti di città e villaggi palestinesi.

L’idea del “Trasferimento” non è nata sul momento, lo prova il fatto che fossero già pronti dei piani globali immediatamente dopo il 7 ottobre. 

Tra questi figura un documento pubblicato dal gabinetto strategico “Misgav Institute for National Security & Strategia sionista” il 17 ottobre, e un rapporto pubblicato tre giorni dopo dal quotidiano Calcalist, che accennava a un documento con la proposta della suddetta strategia.

Egitto, Giordania, e altri paesi arabi, hanno immediatamente, e apertamente, dichiarato il loro totale rifiuto all’espulsione dei palestinesi, e anche questo indica la seria validità di quelle proposte israeliane.

“Il nostro problema è trovare paesi che siano disposti ad assorbire gli abitanti di Gaza, e ci stiamo lavorando”, ha dichiarato Netanyahu il 2 gennaio.

Sono seguiti altri commenti del genere, inclusa una dichiarazione del Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, il quale ha affermato: “Ciò che bisogna fare nella Striscia di Gaza, è incoraggiare l’emigrazione”.

Da allora il discorso ufficiale israeliano ha coniato il termine “migrazione volontaria”. Eppure, non c’è nulla di volontario nella fame di 2,3 milioni di palestinesi, che continuano a subire un genocidio mentre vengono spinti con violenza sistematica verso l’area di confine tra Gaza e l’Egitto.

Nella causa legale portata alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), il governo del Sud Africa ha incluso la pulizia etnica pianificata di Gaza da parte di Tel Aviv, uno dei punti principali elencati da Pretoria nell’ accusa contro Israele.

Per colpa della mancanza di entusiasmo da parte dei paesi occidentali filo-israeliani, i diplomatici israeliani stanno cercando nel globo governi disposti ad accettare i palestinesi, sottoposti a pulizia etnica.

Immaginiamo questo comportamento da parte di un qualsiasi altro paese al mondo; un paese che uccide civili in massa, e che va in giro alla ricerca di altri stati disposti a prendere i sopravvissuti espulsi, in cambio di denaro.

Israele non si è soltanto fatto beffe del diritto internazionale, ma ha stabilito nuovi standard di comportamento spregevole, superando qualsiasi stato, ovunque nel pianeta, e in qualsiasi momento della storia, antica o moderna.

Eppure, il mondo continua a guardare, a sostenere come gli Stati Uniti, a protestare gentilmente o con veemenza, ma senza intraprendere una singola azione significativa che possa fermare il bagno di sangue a Gaza. Senza bloccare le ipotesi dei terrificanti scenari che potrebbero aprirsi.

Molte persone, però, potrebbero non essere a conoscenza del fatto che il movimento sionista, l’istituzione ideologica che ha creato Israele, aveva provato a formare lo “stato ebraico “in Africa, prima di scegliere la Palestina.

Era lo “Schema Uganda” del 1903, proposto da Theodor Hertzl, fondatore del sionismo, al Sesto Congresso Sionista, che si basava su una proposta del segretario coloniale britannico Joseph Chamberlain.

Il piano era fallito, ma i sionisti avevano continuato a cercare altrove, stabilendosi infine in Palestina.

Confrontando il linguaggio genocida dei leader israeliani di oggi, studiando i loro riferimenti razzisti verso i palestinesi, si individua un’importante sovrapposizione tra le loro percezioni collettive, e le percezioni europee riguardo le comunità ebraiche, da secoli.

L’improvviso interesse sionista per il Congo come potenziale “patria” per i palestinesi, dimostra che il movimento sionista continua a vivere all’ombra della propria storia, proiettando il razzismo praticato contro gli ebrei nei confronti di  palestinesi innocenti.

Il 5 gennaio, il Ministro del Patrimonio, Amihai Eliyahu, ha dichiarato che gli israeliani “devono trovare soluzioni per il popolo di Gaza che siano più dolorose della morte”. 

Non serve sforzarsi troppo per trovare riferimenti storici a un linguaggio simile, usato dai nazisti tedeschi nella rappresentazione degli ebrei, durante la prima metà del XX secolo.

La storia si ripete, ma lo fa in modo strano e crudele.

Si dice che il mondo abbia imparato dalle uccisioni di massa delle guerre precedenti, incluso l’olocausto e altre atrocità accadute durante la Seconda Guerra Mondiale. 

Purtroppo, non sembra che le lezioni siano state apprese. 

Non solo Israele è colpevole di uno sterminio di massa, ma il resto del mondo occidentale continua a svolgere il solito ruolo, durante una tragedia storica.

Tutti esultano o protestano educatamente, senza fare nulla di concreto.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

- Ramzy Baroud is a journalist and the Editor of The Palestine Chronicle. He is the author of six books. His latest book, co-edited with Ilan Pappé, is “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Dr. Baroud is a Non-resident Senior Research Fellow at the Center for Islam and Global Affairs (CIGA). His website is www.ramzybaroud.net

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