Basta complicità: è tempo di tradurre le parole in azioni a Gaza

(Image: Palestine Chronicle)

By Ramzy Baroud

È giunto il momento di trasformare le parole in azioni, migliaia di bambini vengono uccisi e la loro unica colpa è di essere nati palestinesi.

Lasciato libero, Israele non concederà mai la libertà ai palestinesi.

In passato, alcuni, per ignoranza o meno, sostenevano che la pace in Palestina poteva essere raggiunta solo attraverso “negoziati”.

Un mantra ripetuto anche dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, quando si preoccupava di sostenere con le chiacchiere un “processo di pace” e altre fantasie partorite dagli Stati Uniti. Parlava della sua disponibilità a condurre negoziazioni incondizionate, pur sostenendo costantemente che Israele non ha alcun partner per la pace.

Tutto questo era, ovviamente, un “discorso ambiguo”. Quel che Netanyahu, e altri israeliani, infatti, sostenevano è che Israele dovrebbe essere libero da qualsiasi impegno nei confronti del diritto internazionale, e dalle pressioni internazionali. Peggio ancora, dichiarando che Israele non ha alcun partner di pace palestinese, il governo israeliano ha sostanzialmente annullato ipotetici e “negoziazioni incondizionate” ancor prima che avessero luogo.

Per anni – anzi, per decenni – a Israele è stato permesso di promulgare sciocchezze, con il sostegno totale e incondizionato di Washington, e degli altri alleati occidentali.

Israele riceve miliardi di dollari di aiuti dagli Stati Uniti e dall’Occidente, è cresciuto fino a diventare un fiorente centro tecnologico, e uno dei maggiori esportatori di armi al mondo, perciò Tel Aviv semplicemente non ha mai avuto motivo di porre fine all’occupazione, o di smantellare le politiche di apartheid razzista in Palestina.

Ma le cose devono cambiare adesso. L’attacco genocida israeliano contro Gaza dovrebbe alterare completamente la nostra comprensione, non solo riguardo la tragica realtà in corso in Palestina, ma anche riguardo le incomprensioni del passato. Dovrebbe essere chiaro che Israele non ha mai avuto alcuna intenzione di raggiungere una pace giusta, di porre fine al colonialismo in Palestina, vuole espandere gli insediamenti illegali senza garantire ai palestinesi un briciolo di diritti.

Israele ha sempre pianificato di compiere un genocidio contro i palestinesi.

Israele aveva già commesso terribili crimini di guerra contro i palestinesi, durante la Nakba del 1947-48, e in tutte le guerre successive. Ogni crimine, grande o piccolo, è sempre stato accompagnato da una campagna di pulizia etnica. Oltre 800.000 palestinesi hanno subito pulizia etnica quando Israele è stato fondato sulle rovine della Palestina storica, 76 anni fa. Altri 300.000 hanno subito pulizia etnica durante la Naksa, la guerra e “battuta d’arresto” del 1967.

Nel corso degli anni, i principali media occidentali hanno fatto del loro meglio per nascondere completamente i crimini israeliani, o per minimizzarne l’impatto, o per incolparne completamente qualcun altro. Il processo di protezione di Israele è rimasto in atto fino ad oggi, anche mentre decine di migliaia di palestinesi sono stati uccisi dal 7 ottobre, mentre la maggior parte di Gaza, compresi ospedali, scuole, moschee, chiese, case civili e rifugi, sono ormai stati rasi al suolo.

Considerando tutto questo, chiunque ancora parli di “negoziati incondizionati” – soprattutto quelli condotti sotto Washington – lo fa, francamente, solo per aiutare Israele a sfuggire ad ogni responsabilità legale e politica internazionale.

Fortunatamente, il mondo si sta rendendo conto di questa realtà e, si spera, il risveglio maturerà prima o poi, dato che i massacri israeliani a Gaza continuano a mietere centinaia di vite innocenti ogni singolo giorno.

La consapevolezza collettiva che Israele debba essere fermato attraverso misure internazionali, è accompagnata anche da una consapevolezza, altrettanto oggettiva, che gli Stati Uniti non possano essere un onesto mediatore di pace. Non lo sono mai stati.

Per considerare il ruolo rovinoso degli Stati Uniti in questo cosiddetto ‘conflitto’, basterebbe interrogarsi su questo fatto: mentre tutti i paesi che hanno partecipato con un parere legale e politico alle udienze pubbliche della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dal 19 al 26 febbraio, formulando la propria posizione basandosi sul diritto internazionale, gli Stati Uniti sono rimasti in silenzio.

“La Corte non dovrebbe ritenere che Israele sia legalmente obbligato a ritirarsi immediatamente e incondizionatamente dal territorio occupato”, ha affermato, in modo imbarazzante, in data 21 febbraio il consulente legale ad interim del Dipartimento di Stato americano, Richard Visek.

A 76 anni dalla Nakba, e dopo 57 anni di occupazione militare, la posizione giuridica degli Stati Uniti resta fermamente impegnata a difendere l’illegalità della condotta di Israele, in tutta la Palestina.

Confrontate la loro posizione con quella completa, coraggiosa e giuridicamente fondata di quasi tutti i paesi del mondo, in particolare degli oltre 50 paesi che hanno chiesto di parlare apertamente alle udienze dell’ICJ.

La Cina, le cui parole e azioni sembrano molto più coerenti con il diritto internazionale rispetto a molte nazioni occidentali, soprattutto adesso, è andata oltre. 

“Nel perseguire il diritto all’autodeterminazione, l’uso della forza da parte del popolo palestinese per resistere all’oppressione straniera, e completare la creazione di uno stato indipendente è un diritto inalienabile, ben fondato nel diritto internazionale”, ha dichiarato il rappresentante cinese Ma Xinmin alla Corte Internazionale di Giustizia lo scorso 22 febbraio. 

A differenza della solita, vacua posizione di personaggi come il Ministro degli Esteri britannico, David Cameron, sulla necessità di avviare un “processo irreversibile” verso la creazione di uno stato palestinese indipendente, la posizione cinese è probabilmente l’esposizione più completa e realistica.

Ha collegato l’autodeterminazione alla lotta di liberazione, alla sovranità, ai diritti inalienabili delle persone, che sono coerenti con le leggi e le norme internazionali. Sono proprio questi principi che hanno portato alla liberazione di numerosi paesi del Sud del mondo. 

Considerando che Israele non ha alcuna intenzione di liberare i palestinesi dalla morsa dell’apartheid e dell’occupazione militare, il popolo palestinese non ha mai avuto altra scelta che resistere.

La domanda è: la comunità internazionale continuerà a sfidare la posizione degli Stati Uniti solo a parole, o formulerà un nuovo approccio per l’occupazione israeliana della Palestina, ponendo fine ad essa con ogni mezzo necessario?

Nella sua dichiarazione alla Corte Internazionale di Giustizia del 19 febbraio, l’avvocato britannico Philippe Sands, ha presentato una tabella di marcia per la comunità internazionale, atta a costringere Israele a porre fine all’occupazione: “Il diritto all’autodeterminazione richiede che i gli stati membri delle Nazioni Unite pongano fine immediata all’occupazione israeliana. Nessun aiuto. Nessuna assistenza. Nessuna complicità. Nessun contributo ad azioni coercitive. Niente soldi. Niente armi. Nessun commercio. Niente.”

È giunto il momento di trasformare le parole in azioni, migliaia di bambini vengono uccisi e la loro unica colpa è di essere nati palestinesi.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

- Ramzy Baroud is a journalist and the Editor of The Palestine Chronicle. He is the author of six books. His latest book, co-edited with Ilan Pappé, is “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Dr. Baroud is a Non-resident Senior Research Fellow at the Center for Islam and Global Affairs (CIGA). His website is www.ramzybaroud.net

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