Uccidere i figli mentre cercano il corpo della madre: i crimini di Israele raggiungono nuove vette

Due membri della famiglia al-Abash uccisi in un bombardamento israeliano su Nuseirat. (Foto: supplied)

By Abdallah Aljamal

Il Palestine Chronicle ha parlato con Az Al-Din al-Habash: ha perso diversi membri della sua famiglia in un bombardamento su Nuseirat.

Gli incessanti bombardamenti israeliani su Gaza, che ormai si protraggono da quasi sei mesi, hanno ucciso e ferito oltre 100.000 palestinesi, infliggendo un livello di distruzione senza precedenti nella Striscia assediata.

Almeno 7.000 persone risultano disperse, presumibilmente morte, sotto le macerie delle loro case in tutta la Striscia. La protezione civile di Gaza, infatti, ha dichiarato in più occasioni che migliaia di corpi sono ancora sotto le macerie degli edifici distrutti, a causa della mancanza di attrezzature adeguate al recupero dei resti.

Inoltre, le forze israeliane hanno sistematicamente colpito i civili, e anche la protezione civile mentre cercava di recuperare corpi feriti, e morti, sotto le macerie degli edifici crollati.

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Il 17 marzo un bombardamento israeliano ha provocato un massacro nel campo profughi di Al Nuseirat, nel centro di Gaza. Oltre 25 palestinesi sono stati uccisi, e decine sono rimasti feriti. Almeno 17 case residenziali sono state completamente o parzialmente distrutte.

Il Palestine Chronicle ha parlato con Az Al-Din al-Habash, che ha perso diversi membri della famiglia durante quella tragica notte.

“Abbiamo appreso che la casa della famiglia di mia zia ad Al Nuseirat era stata colpita da un bombardamento israeliano, quindi ci siamo precipitati lì, ma solo per trovare la casa completamente distrutta”, ha detto al-Habash al Palestine Chronicle.

“Siamo andati correndo, a piedi, con i miei cugini e altri parenti. Siamo stati tra i primi ad arrivare alla casa dove si era rifugiata la famiglia”. Quel che hanno visto è stato scioccante.

“L’edificio era stato completamente cancellato, c’erano solo pochi resti”, ha proseguito a raccontarci al-Habash. “Abbiamo cercato mia zia, i suoi figli e suo marito. Sapevamo che erano sotto le macerie, ma non se fossero vivi o morti”.

La situazione era complicata, sia l’ambulanza che la protezione civile non disponevano di attrezzature adeguate a rimuovere le macerie.

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Ricerca disperata

“Il mio giovane cugino, Muhammad, è sopravvissuto ai bombardamenti, ma era disperato. Ha trascorso due giorni cercando sua madre, suo padre e i suoi fratelli tra le rovine”, ha raccontato al-Habash, con profonda emozione.

“Non riusciva a smettere di piangere durante la ricerca. Continuava a chiamare sua madre, suo padre e i suoi fratelli, dicendoci che sentiva che erano ancora vivi”. Le ricerche sono proseguite, nonostante la totale distruzione e la mancanza di attrezzature, senza alcun risultato.

“Mio zio Issa, che era il proprietario dell’edificio, condivideva i sentimenti di Muhammad e ha tentato qualunque cosa per salvare sua sorella e la sua famiglia”.

“Ha fatto molte chiamate, e dopo due giorni è riuscito a trovare un bulldozer privato per rimuovere le macerie e completare la ricerca”.

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Onore negato

Il giorno successivo, Issa al-Habash ha raggiunto il posto con il proprietario del bulldozer. È riuscito anche ad acquistare del carburante, ad un prezzo molto alto, visto che a Gaza al momento è difficile reperirlo. Era davvero determinato a trovare la sua famiglia.

Quando Issa, l’autista, e Muhammad, l’unico sopravvissuto al bombardamento, sono arrivati sul posto, sono stati improvvisamente bombardati dagli aerei israeliani.

“Sono stati martirizzati mentre cercavano di recuperare i corpi dei loro amati familiari”, ci ha detto al-Habash.

“Abbiamo seppellito Issa e Muhammad, ma non mia zia e le altre vittime di questo crimine israeliano, perché i loro corpi sono ancora sotto le macerie”.

“L’occupazione ci ha privato della loro presenza nelle nostre vite, della possibilità di salutarli, e persino dell’onore di essere sepolti in un cimitero musulmano”, ha concluso al-Habash in lacrime.

 

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

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