La partita di beneficenza ‘Children of Gaza’ – Il calcio come stumento di lotta e resistenza.

Bandiere della Palestina durante la finale di Champions League (Foto: Calcio e Rivoluzione)

By Calcio e Rivoluzione

Queste partite sono un’ulteriore prova del sostegno, nell’ambiente del calcio, alla causa palestinese, e di come lo sport possa e debba diventare strumento per costruire e seminare umanità, solidarietà e pace.

Per chi come noi segue il calcio, si emoziona per la vittoria della squadra del cuore, si dispera per un’annata storta, ma comunque prova ad evidenziare risvolti politici e sociali di quel che rimane lo sport più popolare al mondo, il primo giugno è stata una data che rappresenta molto più del Real Madrid che alza al cielo, per la quindicesima volta, la coppa dalle grandi orecchie.

Quella del primo giugno è stata una giornata consacrata interamente allo sport, o meglio al calcio, declinato nella sua accezione più popolare e sociale. Quella che ha reso negli anni il “football” uno straordinario strumento di solidarietà, elemento imprescindibile nella costruzione di solidarietà internazionale.

Inizia nel primo pomeriggio, sugli spalti dell’Hive Stadium, nord-ovest di Londra, per poi proseguire su un campo in Bahrain, con grattacieli avveniristici a fare da cornice, e conclusa nuovamente a Londra, fuori e dentro il Wembley Stadium.

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Londra

Sono le ore 16 in Italia, quando sul terreno di gioco che abitualmente ospita le partite casalinghe del Barnet, squadra che milita in National League, quinta divisione del calcio inglese, scendono in campo l’”El Ghazi XI Squad” e la “Nujum XI Squad”, due selezioni composte da diversi ex calciatori tra i quali: l’ex Liverpool Emile Heskey, l’ex Arsenal e City Bacary Sagna, l’ex Chelsea Khalid Boulahrouz , ed altri che, invece, sono ancora in attività, come Halil Dervisoglu del Galatasaray, Adama Traore del Fulham o Donny Van De Beek dello United. 

A capitanare le due squadre sono rispettivamente Anwar El Ghazi, licenziato nel novembre scorso dal Mainz per aver espresso la propria solidarietà al popolo palestinese, e Sam Morsy, calciatore e capitano dell’Ipswich Town, con cui ha recentemente conquistato la promozione in Premier League.

Sta per andare in scena la partita di beneficenza “Children of Gaza”, organizzata da Nujum Sports in collaborazione proprio con l’ex calciatore del Mainz,del Feyenoord, Ajax e PSV. Lo scopo della partita è raccogliere fondi per i bambini palestinesi, le cui vite sono state stravolte dalla brutalità e dalla violenza israeliana che va avanti ininterrottamente da otto mesi. Una sfida unica nel suo genere.

Mai prima d’ora, nel Regno Unito, si era organizzata una partita di beneficenza che coinvolgesse calciatori ed ex calciatori per raccogliere fondi in favore del popolo palestinese.

Gli atleti, mentre raggiungono il cerchio di centrocampo, non sono accompagnati, come di consueto, da ragazzini e ragazzine, ma stringono tra le mani una maglietta della Palestina per ricordare oltre 17.000 bambini uccisi da Israele negli ultimi 8 mesi.

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Una partita che, alla fine, termina 4 a 1 per la squadra di El Ghazi, che metterà a segno due gol ed un assist. “Mi sento molto orgoglioso, di quel che abbiamo fatto. Ero molto grato ed emozionato ancor prima del calcio d’inizio, perché sapevo che stavamo facendo tutto questo per i bambini di Gaza. Nessun bambino al mondo merita quello che sta accadendo. Anch’io ne ho uno piccolo. E come genitore, lo capisci ancora di più”.

Queste le parole nel dopo partita del calciatore simbolo della giornata, che sottolinea come per lui sia stato importante aver utilizzato la sua notorietà per sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo in Palestina.

Manama

Sono le 17:45 in Italia quando all’Ahli Club Stadium di Mahooz, sobborgo di Manama, scendono in campo le rappresentative nazionali femminili del Bahrain, e quella della Palestina, per la prima di due amichevoli che vedrà le due compagini sfidarsi.

Una partita che riveste un’importanza che va ben oltre il semplice dato sportivo anche se, non è da sottovalutare: la Palestina ha vinto 1 a 0 grazie alla rete, a dieci minuti dal termine, di Ahlam Nasr, calciatrice del club svedese del Rosengård.

La nazionale palestinese, del resto, era reduce dalla vittoriosa trasferta di Dublino, prima in assoluto in Europa per la selezione femminile, dove è stata letteralmente travolta dall’affetto e dalla solidarietà del popolo d’Irlanda. Una partita che aveva una evidente natura sociale e politica, attorno alla quale proseguire per costruire un senso di appartenenza verso la madre di tutte le questioni.

Come straordinariamente dichiarato dalla video giornalista Wizard Bisan se questa volta Gaza dovesse cadere, avranno vinto i più violenti, i più barbari. Se questa volta Gaza sarà sterminata, il mondo sarà inevitabilmente finito.

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Ed ecco come una semplice partita amichevole diviene strumento di rivendicazione politica; uno strumento tramite il quale poter manifestare la propria vicinanza e solidarietà ad un’intera nazione. 

In un momento storico come questo, quando sulla scrivania dei dirigenti della FIFA giace la richiesta, avanzata dalla Federazione Calcistica Palestinese, di escludere la squadra isareliana da ogni competizione, per i crimini contro l’umanità dei quali Israele si sta macchiando.

Il calcio diventa strumento di solidarietà, e rivendicazione politica della propria esistenza. Qualcosa che le atlete palestinesi, nonostante siano tutte giovanissime, hanno ben chiaro, come dimostrano le parole di Nadine Mohammad affidate ai social:

“In un momento molto difficile per il mio Paese, di terrore e paura, ho avuto l’onore di poter dare voce al mio Paese. Tutto ci è stato tolto, ma la nostra esistenza, quella non potrà mai esserci rubata. Siamo qui, siamo vivi e continueremo a fare in modo di non essere dimenticati. Se non veniamo ascoltati, faremo sentire la nostra voce attraverso il calcio. Ogni passo che abbiamo fatto era per la Palestina. Abbiamo trasformato ogni lacrima in gocce di sudore, abbiamo combattuto per la Palestina”.

Nuovamente Londra

È tardo pomeriggio in Italia quando decine di migliaia di persone cominciano a radunarsi fuori dallo stadio di Wembley, teatro della finalissima di Champions League.

Tra di loro c’è chi, seppur nella legittima euforia generale, dettata da un momento emozionante, non dimentica quello che sta accadendo a centinaia di migliaia di chilometri di distanza, e decide di farsi immortalare con la bandiera della Palestina. Una foto che subito comincia a fare il giro dei social, diventando iconica.

Ma non è l’unica bandiera della Palestina presente a Wembley. C’è anche chi, appena varcato l’ingresso dello stadio, e saliti i gradini per raggiungere gli spalti, ne fissa un’altra alle ringhiere per poterla mostrare al mondo intero, e almeno idealmente mostrare che il calcio, nella sua componente più genuina ed essenziale, non volta la faccia e nemmeno presta il fianco alla violenza sionista.

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Mentre chi dirige il calcio mondiale si rifiuta di riconoscere e denunciare il genocidio in corso, continuando a spalleggiare Israele, come dimostrato dall’ultima dichiarazione social di Infantino, presidente della FIFA, il quale si è congratulato con la nazionale maschile israeliana per la qualificazione ai Giochi Olimpici a Parigi, queste partite dimostrano come le componenti più importanti dello sport – tifoserie in primis – sappiano esattamente da che parte stare, cosa significa manifestare concretamente solidarietà e unirsi di fronte all’ingiustizia. 

Queste partite sono un’ulteriore prova del sostegno, nell’ambiente del calcio, alla causa palestinese, e di come lo sport possa e debba diventare strumento per costruire e seminare umanità, solidarietà e pace.

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