Un’analisi strategica: Perché la Resistenza di Gaza ha sventato gli obiettivi militari di Israele

Several Resistance operations took place in Gaza despite massive destruction. (Design: Palestine Chronicle)

By Redazione Palestine Chronicle

L’autore individua tre fattori interni fondamentali e un elemento esterno come centrali nella capacità della Resistenza di restare indomita.

In un articolo pubblicato sul sito arabo dell’emittente libanese Al Mayadeen, lo scrittore Ahmad Abdul Rahman sostiene che la straordinaria fermezza del popolo palestinese e della Resistenza a Gaza, insieme ai notevoli risultati conseguiti durante il genocidio nonostante le immense perdite, potrebbero segnare “l’inizio del crollo di questa entità selvaggia”, riferendosi a Israele.

Abdul Rahman osserva che le leggi convenzionali della guerra moderna prevedono solitamente la vittoria della parte militarmente più forte, quella dotata di tecnologia superiore, maggiori capacità e sostegno internazionale, con una percentuale di successo superiore al 95%. 

Tuttavia, afferma che la guerra contro Gaza ha infranto questa previsione, poiché la Resistenza, “modesta e meno dotata”, non solo è sopravvissuta alla guerra “ingiusta e insensata” lanciata da Israele, ma è anche riuscita a “frustrare la maggior parte degli obiettivi dichiarati del nemico”, arrivando persino a “umiliare” l’esercito israeliano pesantemente armato in numerose occasioni.

‘Siamo morti mille volte’: Detenuti palestinesi liberati raccontano le orribili torture

L’autore individua dunque tre fattori interni essenziali e un elemento esterno come chiave della capacità della Resistenza di rimanere intatta, nonostante una campagna genocida condotta in condizioni “schiaccianti, dure e senza precedenti”.

Forza ideologica e dottrinale

Secondo Abdul Rahman, la principale ragione del fallimento israeliano risiede nella dottrina di combattimento incrollabile delle fazioni della Resistenza palestinese. Questa dottrina, definita “salda, chiara e immutabile”, plasma profondamente la visione della Resistenza sul conflitto.

Un solo nemico: la dottrina designa in modo inequivocabile l’entità sionista come il nemico unico, principale e centrale del popolo palestinese.

Nessun compromesso: essa stabilisce che non può esserci dialogo o negoziazione con Israele, una potenza occupante che pratica aggressione da oltre 77 anni, “se non attraverso la forza delle armi”. Ogni via alternativa è considerata un “tradimento del popolo e della causa”.

Questa convinzione profondamente radicata, afferma l’autore, ha fornito ai combattenti una “forza, una resilienza e una vitalità uniche”, rendendoli impossibili da sconfiggere. È stato proprio questo spirito che ha permesso loro di attaccare posizioni israeliane fortemente fortificate con “armi minime, modeste e fatiscenti” e di affrontare i carri armati con “ordigni esplosivi grezzi, di fabbricazione locale”.

Resilienza strutturale e capacità di adattamento

Ahmad Abdul Rahman sottolinea inoltre la “struttura organizzativa solida e robusta” della Resistenza come fattore cruciale. Questo sistema ha consentito alle fazioni di gestire e superare le gravi conseguenze dei bombardamenti israeliani, in particolare gli assassinii mirati dei leader di alto rango.

Struttura gerarchica: le fazioni mantengono una “struttura organizzativa gerarchica e sequenziale”, che garantisce un efficace comando e controllo dai più alti uffici politici fino ai combattenti sul terreno.

Sostituzione rapida: nonostante l’impatto morale e materiale delle perdite di leadership, la Resistenza è riuscita a “compensarle rapidamente” “promuovendo nuove generazioni di quadri e dirigenti” già preparati per tali necessità operative. Ciò ha assicurato la continuità delle operazioni e la stabilità complessiva della struttura di fronte alla macchina bellica israeliana.

Il sabotaggio dei piani israeliani

Un terzo fattore indispensabile è stata la “base popolare onorevole e duratura” a Gaza. Questa base ha fornito alla Resistenza l’ambiente e il sostegno necessari per combattere e sopravvivere.

Uno sfollamento frustrante: la fermezza della popolazione sotto il fuoco ha contribuito a “mandare a monte molti dei piani del nemico”, in particolare quelli legati ai pericolosissimi progetti di sfollamento forzato.

Unità sociale: Abdul Rahman sottolinea che, durante l’aggressione genocida, le precedenti differenze partitiche e fazionali tra la popolazione “sono svanite”, sostituite da una “unità nazionale e sociale senza precedenti”, dimostrando che il popolo palestinese “si unisce nei momenti di crisi”.

Il genocidio palestinese: Non ci sono vie di mezzo, o sei favorevole o sei contrario

Il ruolo degli alleati regionali

Infine, lo scrittore riconosce l’importanza del sostegno esterno. Il “sostegno proveniente dagli alleati regionali della Resistenza”, in particolare “i fronti di supporto aperti in Libano e Yemen”, ha avuto un “grande impatto” sulla battaglia. 

Questa azione regionale ha impedito a Israele di isolare Gaza e di concentrare tutta la sua potenza militare esclusivamente sull’enclave.

Nelle sue conclusioni, Ahmad Abdul Rahman ribadisce che l’entità dell’insuccesso israeliano e delle perdite subite — le peggiori, secondo lui, dalla fondazione di Israele — condurranno inevitabilmente alla “disintegrazione e alla caduta” di questa entità, realizzando così l’obiettivo finale della sua “irreversibile scomparsa dalla regione.”

(The Palestine Chronicle)

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*