
By Romana Rubeo
Centinaia di migliaia di persone hanno marciato in tutta Italia il 22 settembre, bloccando autostrade e porti in una delle più grandi mobilitazioni degli ultimi decenni, segnalando il ritorno di una voce collettiva contro la guerra e il commercio di armi con Israele.
Il 22 settembre l’Italia ha assistito a una delle più grandi mobilitazioni della sua storia recente. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in quasi 80 città per chiedere il cessate il fuoco a Gaza e denunciare la collaborazione politica, militare ed economica dell’Italia con Israele. La giornata è coincisa con uno sciopero generale di 24 ore indetto dal sindacato di base USB insieme a Cub, Adl e Sgb.
Lo sciopero ha interessato sia il settore pubblico che quello privato, provocando pesanti disagi nei trasporti e nelle attività portuali. I manifestanti hanno chiesto il cessate il fuoco a Gaza, la fine della collaborazione dell’Italia con Israele e lo stop alla politica di riarmo che sta ridisegnando l’agenda europea.
Da Roma a Napoli, da Bologna a Palermo, le autostrade sono state bloccate, i porti occupati e le università invase dagli studenti che gridavano “Palestina Libera”.
Ciò che ha contraddistinto questa giornata non sono stati soltanto i numeri imponenti, ma anche i gesti e le voci che l’hanno segnata: dagli automobilisti che hanno suonato il clacson in solidarietà con gli studenti che bloccavano le strade, al vigile del fuoco di Roma che ha alzato in pugno una kefiah per ricordare alla folla che “la nostra responsabilità è salvare—anche i bambini di Gaza”.
Questi momenti sono stati l’apice di una tradizione che, pur rimasta a lungo silente, ha radici profonde nella vita politica e civile italiana.
Durante delle manifestazioni per la Palestina a Roma alcuni automobilisti, fermi nel traffico a causa del corteo, hanno salutato i manifestanti applaudendo e suonando i clacson in sostegno allo sciopero per Gaza.#roma #gaza #palestine pic.twitter.com/tXKo1DU7f9
— Repubblica (@repubblica) September 22, 2025
Dall’equidistanza all’allineamento
Per decenni l’Italia è stata conosciuta per la sua forte tradizione di solidarietà con la Palestina—mobilitazioni studentesche, campagne sindacali e manifestazioni di massa che hanno reso la causa palestinese parte integrante della coscienza politica del Paese.
Questa cultura della solidarietà non si limitava ai soli attivisti. Trovava eco nel dibattito pubblico, nelle università e in ampi settori del movimento dei lavoratori, che regolarmente ponevano la questione palestinese al centro della propria agenda internazionalista.
Durante gli anni della Prima Repubblica (1948–1992), la politica estera italiana veniva spesso descritta come di “equidistanza” in Medio Oriente. Pur mantenendo ufficialmente rapporti equilibrati con Israele e con il mondo arabo, l’Italia mostrava frequentemente simpatia per i palestinesi, sia sostenendo le risoluzioni ONU sui loro diritti, sia aprendo spazi politici all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che aveva una presenza riconosciuta a Roma. Le iniziative di solidarietà fiorirono in quegli anni, conferendo all’Italia un ruolo distintivo nell’Europa occidentale.
Questo equilibrio ha iniziato a sgretolarsi con l’avvento della Seconda Repubblica, nei primi anni ’90. La classe politica ha abbandonato progressivamente la postura precedente per allinearsi più strettamente con Israele e gli Stati Uniti. La causa palestinese, un tempo centrale nell’immaginario politico e civico italiano, è stata progressivamente marginalizzata. Oggi l’Italia è passata dal ruolo di mediatrice a quello di fornitrice: è il terzo esportatore di armi verso Israele, e dunque direttamente complice della macchina di guerra che sta devastando Gaza.
Naples railway blocked as protesters stormed the tracks during a national strike, turning the station into a rallying point against the Gaza genocide. 🇵🇸✊ pic.twitter.com/NFEQ3aTVVu
— SilencedSirs◼️ (@SilentlySirs) September 22, 2025
Un coro di solidarietà
A Roma, oltre 50.000 persone hanno riempito le strade, con il corteo che si è riversato sulla tangenziale est. Quello che avrebbe potuto essere un normale scontro tra manifestanti e automobilisti si è trasformato in un momento di sfida collettiva.
Invece della frustrazione, gli automobilisti hanno risposto con il sostegno. Clacson suonati a ritmo, pugni alzati dai finestrini e cori di “Palestina libera” hanno risuonato lungo le corsie bloccate. Manifestanti e cittadini, spesso separati dall’indifferenza o dal disagio, si sono trovati uniti in un’unica richiesta: libertà per Gaza e fine del genocidio.
Scene simili si sono ripetute a Bologna e a Pisa, dove studenti e lavoratori hanno paralizzato il traffico, e a Genova, Livorno e Marghera, dove i manifestanti hanno bloccato i porti—simboli vitali dell’economia italiana.
Un altro momento significativo è arrivato più tardi a Roma, quando un vigile del fuoco è salito sul palco alzando in pugno una kefiah. Le sue parole hanno colpito al cuore la manifestazione, quando ha spiegato che è loro responsabilità anche soccorrere e salvare i bambini di Gaza”, ha detto.
“I vigili del fuoco non sono eroi. Siamo lavoratori come gli altri,” ha dichiarato, chiamando tutti alla protesta contro politiche che strangolano la popolazione e i servizi, come la corsa al riarmo.
Mobilitazione nazionale
In tutto il Paese, decine di migliaia di persone hanno riempito le piazze di Napoli, Palermo, Padova, Trieste e altre città. A Napoli i manifestanti hanno occupato i binari della stazione centrale, bruciando poi le fotografie della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del suo omologo israeliano Benjamin Netanyahu, prima di dirigersi verso il porto.
L’ex sindaco Luigi de Magistris ha descritto l’evento come “una marcia di umanità napoletana per Gaza”.
A Milano, alcune centinaia di persone hanno fatto irruzione nella stazione centrale, scontrandosi con la polizia nell’episodio più violento della giornata.
Il governo ha colto l’occasione per lanciare un attacco politico. Meloni ha condannato gli scontri come “violenze e distruzioni che nulla hanno a che vedere con la solidarietà.” Tuttavia, quegli episodi non hanno oscurato il quadro generale: la stragrande maggioranza delle manifestazioni è stata pacifica, con cortei composti da studenti, lavoratori e famiglie.
Una voce collettiva
Per anni, i grandi partiti politici italiani e le principali confederazioni sindacali hanno evitato di affrontare direttamente la questione di Gaza. Il 22 settembre ha segnato una svolta. Nonostante l’assenza di adesioni ufficiali da parte dei partiti e dei sindacati maggiori, la mobilitazione ha raccolto una partecipazione raramente vista nella storia recente del Paese.
Autostrade e porti sono stati bloccati, università occupate e piazze riempite da decine di migliaia di persone. Più che una semplice dimostrazione di solidarietà, è stato il ritorno di una voce collettiva che da tempo mancava nelle strade italiane.
E mentre il governo condannava le proteste, il messaggio è apparso chiaro: un numero crescente di italiani non è più disposto ad accettare il ruolo del proprio Paese come fornitore di armi a Israele, né la sua complicità nel genocidio israeliano a Gaza.
(The Palestine Chronicle)

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