Il genocidio in corso a Gaza non ha causato soltanto un numero impressionante di vittime, tra morti e feriti. Le storie dei sopravvissuti raccontano traumi e ferite simili alla morte.
Prima dell’alba del 22 ottobre, all’inizio del sanguinario attacco israeliano, Yasmine riceve una telefonata: la casa della sua famiglia, a Deir Al-Balah, è stata colpita dai bombardamenti aerei. Yasmine si precipita sul posto, ma trova soltanto macerie che bruciano, fumo e polvere.
“Continuavo a chiamare mia madre, i miei fratelli e sorelle, urlavo ‘sono qui, sono qui’, e intanto pensavo ai loro corpi che stavano bruciando, schiacciati sotto il peso del cemento e dei detriti” racconta Yasmine.
Quando lei, e i soccorritori, iniziano a scavare con le mani tra le macerie, il primo corpo che riescono ad estrarre è quello di uno dei suoi cinque fratelli. Stringe tra le braccia la figlia Melissa, un anno e mezzo, che ha la scheggia di un missile conficcata nella schiena. La bambina non è cosciente, ma i soccorritori capiscono che è ancora via. Yasmine la porta immediatamente in ospedale.
I dottori hanno poche speranze, e preparano la zia al peggio. Dopo due giorni, Yasmine lascia sola la nipotina per andare a recuperare i brandelli di tutta la sua famiglia, e dargli degna sepoltura. Nell’attacco sono morte 74 persone, Melissa non ha più nessuno al mondo.
“Lontana da loro”
Il 26 novembre Melissa viene inserita nelle liste di evacuazione urgente per l’Egitto, e l’unica persona che può accompagnarla è Yasmine. Lei è la sola parente di sesso femminile rimasta in vita: “Sono andata via lasciando i miei figli e mio marito sotto le bombe, ma se non lo avessi fatto, Melissa sarebbe morta. Non immaginavo di restare lontana da loro per sempre,” continua a raccontare Yasmine, in lacrime.
Le condizioni di Melissa sono complesse, anche in Egitto i medici non sanno come procedere, quindi il 10 febbraio zia e nipote vengono trasportate in Qatar. Melissa ha subito vari interventi, tuttavia i dottori temono che non potrà mai recuperare l’uso delle gambe.
Da cinque mesi Yasmine è reclusa in ospedale, per prendersi cura della nipote, e la sua disperazione è cresciuta insieme all’intensificarsi dell’aggressione israeliana contro la Striscia.
Il suo pensiero, e il suo cuore, sono sempre rivolti a Gaza e ai suoi sei figli, che non può abbracciare da un tempo infinito. Yasmine si è rivolta a funzionari del governo, a media internazionali, e la sua storia è apparsa sui notiziari di RSI (Radiotelevisione svizzera), News Channel Egitto e in un articolo di Al Jazeera English. Purtroppo, però, la situazione non è cambiata.
‘Ho perso tutto’
Ciononostante, la situazione è rimasta immutata. I figli e il marito sono ancora bloccati a Deir Al-Balah, i governi rifiutano il ricongiungimento familiare poiché l’unico familiare rimasto in vita, che possa accompagnare i bambini all’estero, è il marito di Yasmine e i governi non permettono l’evacuazione degli uomini.
“Voglio lanciare una raccolta fondi, sembra non resti nessun’altra possibilità. Ma noi non abbiamo parenti in Egitto, e non so chi potrebbe registrare i loro nomi, anche se riuscissimo a raggiungere la somma necessaria”, prosegue Yasmine, disperata.
“Ho parlato con vari funzionari governativi qui in Qatar. Li ho implorati di farmi tornare a Gaza dai miei bambini, se proprio non è possibile farli arrivare qui. Mi hanno alzato la voce, dicono che non è facile uscire, né tantomeno entrare nel paese”.
“Ho perso tutto, tutti. Non ho più niente e nessuno, tranne i miei figli e mio marito, grazie a Dio. I miei bambini hanno bisogno di me, come io ho bisogno di loro. Non voglio e non posso perderli, in nome di Dio per favore aiutatemi”, conclude Yasmine disperata.
Nel frattempo, Melissa ha compiuto due anni, e sorride mentre trascina le gambe sul pavimento dell’ospedale, facendo forza sulle sue piccole braccia. Nonostante gli interventi, le cure e la fisioterapia, gli esperti ritengono che quasi di certo non potrà tornare a camminare.
Il genocidio, ancora in corso a Gaza, non ha causato soltanto un numero impressionante di vittime, tra morti e feriti. Le storie dei sopravvissuti raccontano traumi e ferite simili alla morte.
(The Palestine Chronicle)
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