Propaganda e falsificazione della realtà: L’arte di Guttuso strumentalizzata ad una mostra pro Israele

L'arte di Guttuso è stata strumentalizzata in una mostra pro Israele a Roma. (Image: PC, via Wikimedia Commons)

By Antonietta Chiodo

In questi giorni nella città di Roma, presso il museo Ebraico, vi è una mostra intitolata ‘Artisti italiani per Israele’.

Il notiziario SkyTg24, nella mattina di sabato 29 aprile 2023, comunica con incredibile e sinceramente sconvolgente serenità l’ iniziativa, creata per commemorare l’anno 1948 e la nascita dello stato d’Israele, con tanto di stacchetto video tratto da immagini di repertorio in cui la bandiera sionista viene issata sotto un cielo limpido e sereno.

Sfugge probabilmente ai giornalisti artefici di questa comunicazione, che il momento in cui venne issata la bandiera israeliana rappresenta una delle storie più violente e sanguinose dell’ apartheid dei giorni nostri che prese il nome di Nakba, dove vennero massacrati uomini, donne e bambini palestinesi senza alcuna pietà.

Torniamo però al punto focale di questa falsa ed ambigua comunicazione a cui i centri culturali pro Israele si rifanno attraverso i media, utilizzando nomi di artisti straordinari come quello di Renato Guttuso.

Le dichiarazioni dei rappresentanti di questa mostra e le numerose testate giornalistiche che la riportano lascerebbero supporre all’ascoltatore che il maestro Guttuso dipinse queste opere per onorare lo stato di Israele, nonostante non vi sia alcuna lettera o altro scritto in grado di provare questo.

Teniamo a rammentare, anzi, un evento che coinvolse appunto Renato Guttuso nella sua vicinanza al popolo palestinese e che mai, in vita, scelse di esporre la sua figura pubblicamente accanto a quella del popolo sionista.

Un articolo pubblicato dall’Ansa tempo addietro chiarisce senza alcuna ombra di dubbio il sostegno dell’artista alla causa palestinese negli anni che precedettero la sua morte, essendo lui anche un forte sostenitore della lotta partigiana e della resistenza.

Nella primavera del 1978, presso l’Università Araba di Beirut in Libano, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP)  fu promotrice di una mostra straordinaria. Duecento furono le opere d’arte donate da quasi trenta artisti in prima persona e rappresentanti dei ministeri culturali di diverse realtà.

Jamil Shammout e Michel Najjar dipingono lo striscione di una mostra internazionale di opere donate all’OLP (Courtesy of Claude Lazar)

Tra gli artisti esposti vi furono nomi noti come: Joan Miró (Spagna), Antoni Tàpies (Spagna), Joan Rabascall (Spagna), Julio Le Parc (Argentina), Renato Guttuso (Italia), Carlos Cruz-Diez (Venezuela) , Roberto Matta (Cile), Aref al-Rayess (Libano), Dia al-Azzawi (Iraq), George al-Bahgoury (Egitto), Ziad Dalloul (Siria), Mohamed Melehi (Marocco), Ernest Pignon-Ernest (Francia) , Gérard Fromanger (Francia), il Collectif Malassis (Francia).

Purtroppo nel 1982, dopo che la mostra ebbe la fortuna di girare il mondo per diversi anni arrivando sino alla città di Barcellona, l’esercito israeliano distrusse l’intera documentazione attraverso un bombardamento proprio sulla città di Beirut.

Grazie alle persone che parteciparono a questo straordinario evento si riuscì a creare nuovamente un piccolo archivio fatto di fotografie e interviste con cui lo scrittore Achille Mbembe anni dopo diede vita ad un libro:

“Quindi si può dire che il libro sulla Postcolonia. Studi sulla storia della società e della cultura, si occupa della memoria solo in quanto quest’ultima è una questione, prima di tutto, di responsabilità verso se stessi e verso un’eredità. Direi che la memoria è soprattutto una questione di responsabilità rispetto a qualcosa di cui spesso non si è autori. Inoltre credo che si diventi veramente un essere umano solo nella misura in cui si è capaci di rispondere a ciò di cui non si è artefici diretti, e alla persona con cui non si ha, apparentemente, nulla in comune. Non c’è, davvero, memoria se non nel corpo dei comandi e delle richieste che il passato non solo ci trasmette ma ci chiede anche di contemplare. Suppongo che il passato ci obblighi a rispondere in modo responsabile. Quindi non c’è memoria se non nell’assegnazione di tale responsabilità.”

Vi è un altro esempio che porta l’artista Renato Guttuso accanto al popolo palestinese, ancora in un breve articolo dell’intellettuale Gabriella Papini impegnata nel raccontare la storia dell’arte attraverso mostre promosse dal ministero della cultura, descrive l’affresco “Fuga in Egitto” dipinto nel 1983 sul muro esterno della terza cappella del sacro Monte di Varese:

“…Invece della stella cometa una colomba, candido simbolo della pace, guida questa famiglia di profughi. Il paesaggio spoglio di vegetazione e assolato con qualche irruzione di palme, ricorda la Palestina ma forse anche la calura siciliana, con i suoi colori roventi e smaglianti. La meta è vicina o c’è ancora tanto da peregrinare? Il racconto evangelico – ricordava Guttuso – si ripete ai nostri giorni.”

Impiegare opere d’arte di pittori non più in vita per una pura e semplice esaltazione del sionismo rappresenta una procedura altamente scorretta. Dovremmo chiederci su quali basi vengano create mostre su artisti a cui non è più concesso il diritto di replica e soprattutto perché nessun critico d’arte o alcun intellettuale scelga di contestare queste false informazioni.

- Nata a Roma nel 1976, Antonietta Chiodo cresciuta a Milano tra il mondo dell’arte e della pubblicità, da sempre impegnata nella lotta per i diritti umani e alla lotta contro la pedofilia. Madre di tre meravigliosi figli, è una fotografa, reporter ed impegnata nel direttivo del Piemonte per la liberazione di Julian Assange. Ha contribuito questo articolo al Palestine Chronicle Italia.  

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