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By Jeremy Salt
Ora, con il genocidio in corso a Gaza dal 2023, Israele è vicino alla realizzazione definitiva del sogno sionista: “Tutta la Palestina solo per noi”, come credono Netanyahu e i suoi ministri ancora più apertamente fascisti e razzisti.
Cos’è Israele? La domanda non è così banale come potrebbe sembrare. Sulla mappa esiste uno stato chiamato Israele, ma è uno stato che non ha mai definito i suoi confini internazionali, se non quelli con Egitto e Giordania.
Al di là della mappa, cosa può Israele legittimamente rivendicare come proprio? Esaminando la storia nel dettaglio, la risposta è: molto poco.
I territori occupati nel 1967 – Gerusalemme Est, la Cisgiordania e le Alture del Golan siriane – possono essere esclusi immediatamente. Il 19 luglio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) ha stabilito definitivamente che la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati nel 1967 (la Cisgiordania e Gerusalemme Est) è illegale e che, in quanto membro delle Nazioni Unite vincolato dalla Carta dell’ONU e dalle sue regole, Israele è obbligato a ritirarsi.
A ciò si è aggiunta la dichiarazione del presidente della Corte, Nawaf Salam, secondo cui tutti gli Stati membri dell’ONU dovrebbero adottare “misure concrete ed efficaci” contro le violazioni israeliane del diritto internazionale. Queste misure implicherebbero non solo proteste diplomatiche, ma anche la sospensione di “qualsiasi aiuto finanziario, economico, militare o tecnologico incondizionato allo Stato di Israele” e la punizione delle violazioni “dove appropriato e in conformità ai trattati pertinenti”.
La sentenza della Corte si basa sui regolamenti dell’Aia del 1907 sulla condotta della guerra e sulla Quarta Convenzione di Ginevra del 1949. Entrambi stabiliscono che l’occupazione di un territorio conquistato deve essere temporanea e che non può esservi sovranità su di esso. Questo principio è stato violato dal governo israeliano nel 1980, quando, con la “Legge su Gerusalemme”, ha dichiarato la città “unificata” come capitale di Israele.
I regolamenti dell’Aia e la Quarta Convenzione di Ginevra vietano anche il trasferimento di popolazione civile nei territori occupati, cosa che Israele ha fatto sistematicamente dal 1967. Le stesse convenzioni si applicano anche alla parte delle Alture del Golan occupata da Israele nel 1967, sottoposta alla legislazione e all’amministrazione israeliana il 14 dicembre 1981 e oggi ampiamente colonizzata da israeliani.
Il 17 dicembre 1981, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con la risoluzione 497, ha dichiarato che la legge israeliana sulle Alture del Golan era “nulla, priva di validità e senza effetti giuridici”. Ignorando questa e molte altre risoluzioni dell’ONU, Israele ha approfittato del crollo del governo siriano alla fine del 2024 per occupare l’intera regione delle Alture del Golan e altre porzioni di territorio siriano. Complessivamente, Israele occupa ora più di 400 chilometri quadrati della Siria.
Bisogna ricordare che il 1967 non fu una “guerra preventiva”, come Israele ha sempre sostenuto, ma una guerra di aggressione calcolata, con l’espansione territoriale come obiettivo principale a lungo termine.
Robert Wright, presidente della Commissione delle Nazioni Unite sui crimini di guerra nel 1945, descrisse la guerra di aggressione come “non solo un crimine internazionale, ma il crimine internazionale supremo”, una frase ripresa anche dal Tribunale di Norimberga.
Quindi, la Cisgiordania, Gerusalemme Est, le Alture del Golan e il resto della Siria occupata devono essere separati da ciò che Israele “è” secondo il diritto internazionale e le sentenze dell’ONU/ICJ. Ma per rispondere completamente alla domanda, bisogna esaminare anche lo status di Gerusalemme Ovest.
Non esiste una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia su questo punto, solo l’assunzione generale, nel collettivo occidentale, che Gerusalemme Ovest faccia parte di Israele. Tuttavia, l’incertezza dei governi è evidente nel fatto che solo una mezza dozzina di Paesi ha trasferito la propria ambasciata a Gerusalemme Ovest, preferendo restare a Tel Aviv.
Secondo il piano di partizione del 1947 (non vincolante), tutta Gerusalemme doveva essere un corpus separatum sotto supervisione internazionale. Israele ha sfruttato questo piano per dare un’apparenza di legittimità alla creazione di uno Stato ebraico, per poi violarlo completamente.
Il 1948 fu la prima guerra di aggressione israeliana, volta a conquistare l’intera Palestina e a espellere la popolazione autoctona. L’intervento internazionale impedì che questi obiettivi fossero pienamente raggiunti, ma le intenzioni erano chiare: senza l’espulsione dei palestinesi, uno Stato ebraico non sarebbe stato possibile.
David Ben-Gurion, primo ministro israeliano, era molto chiaro su questo punto. Nel 1948 parlò dell’espulsione degli “arabi” affinché “il nostro popolo possa sostituirli”. “La guerra ci darà la terra”, disse. “I concetti di ‘nostro’ e ‘non nostro’ sono validi solo in tempo di pace e perdono significato in guerra”.
Israele conquistò quindi quanto più possibile, calpestando la risoluzione 181 dell’ONU sul piano di partizione. Il comandante della Palmach, Yigal Allon, si rammaricò del fatto che “considerazioni politiche sbagliate” avessero impedito all’esercito israeliano di conquistare tutta la Palestina.
La validità del piano di partizione stesso è più che discutibile. Fu approvato solo dopo forti pressioni degli Stati Uniti su delegazioni vulnerabili. Un documento del Dipartimento di Stato del gennaio 1948 dichiarava che “senza la leadership degli Stati Uniti e le pressioni esercitate durante la discussione dell’ONU sulla questione, non sarebbe stata ottenuta la maggioranza necessaria dei due terzi nell’Assemblea Generale”.
Oltre alla discutibile legalità del piano, esso non prevedeva né autorizzava il “trasferimento” forzato dei palestinesi né l’”esproprio” delle loro proprietà, che costituivano quasi tutta la terra palestinese.
Israele non si limitò a occupare il territorio assegnatogli dal piano di partizione, ma ne prese un ulteriore 24%. Non vi era alcuna giustificazione legale per questa appropriazione violenta e opportunistica della terra e delle risorse di un altro popolo.
Alla luce di tutto questo, come rispondere alla domanda: cos’è Israele? Non molto, in termini di legittimità. Solo il 5-6% del territorio acquistato dalle agenzie di colonizzazione sioniste prima del 1947 può essere considerato realmente “israeliano”. Il resto è stato rubato.
L’espulsione forzata dei palestinesi nel 1948 rientrava perfettamente nella definizione di genocidio secondo la Convenzione sul genocidio del dicembre 1948. E mentre la convenzione veniva approvata, il genocidio veniva commesso in Palestina, con il tacito consenso delle potenze occidentali.
Ora, con il genocidio in corso a Gaza dal 2023, Israele è vicino alla realizzazione definitiva del sogno sionista: “Tutta la Palestina solo per noi”, come credono Netanyahu e i suoi ministri ancora più apertamente fascisti e razzisti.
Oppure, ogni bomba sganciata, ogni missile lanciato e ogni minaccia di crimini ancora più grandi stanno solo accelerando il cammino di Israele verso la perdizione?
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