By Benay Blend
Quest’anno la Giornata della Terra ricorre durante il genocidio, che riguarda la distruzione da parte di Israele non solo delle vite delle persone, ma anche della terra. Entro il 30 marzo 2024, Gaza entra nel sesto mese di brutale genocidio inflitto dal regime sionista.
Nel marzo 1972, Ghassan Kanafani partecipò alla quinta conferenza del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) nel nord del Libano. Da quell’incontro era nato il documento di Kanafani “Tasks for a New Age”, un testo che avrebbe potuto essere scritto per il Land Day 2024.
“L’esperienza di resistenza a Gaza”, aveva scritto Kanafani, “costituisce una delle esperienze storiche più importanti riguardo alla capacità di un popolo piccolo, povero, disarmato e geograficamente isolato di continuare, date le condizioni, una lotta eroica e quasi sconosciuta”.
Il 30 marzo 1976, la polizia israeliana uccise sei civili palestinesi mentre protestavano contro ulteriori espropri della loro terra. Da quella data, il 30 marzo è stato commemorato il Giorno della Terra, in onore del Sumoud (resilienza) indigeno.
Quest’anno la Giornata della Terra ricorre durante il genocidio, che riguarda la distruzione da parte di Israele non solo delle vite delle persone, ma anche della terra. Entro il 30 marzo 2024, Gaza entra nel sesto mese di brutale genocidio inflitto dal regime sionista.
Al 21 marzo si contavano 31.988 morti, 74.188 feriti, 7.000 dispersi, insieme a innumerevoli case, istituzioni, ospedali e infrastrutture distrutte.
Ma la lotta continua, proprio come affermava Kanafani, tenendo presente che, sebbene Gaza possa essere isolata geograficamente e dal blocco sionista, non è insulare nello spirito: la campagna di pulizia etnica dell’entità sionista ha unito le varie fazioni, in tutta la Palestina storica, così come in tutto il mondo.
Come spiega la dottoressa Amira Abo El-Fetouh, la Giornata della Terra di quest’anno sarà diversa. “In ogni senso pratico del termine”, scrive, “Gaza è inabitabile” a causa dell’assedio sionista. Eppure, molti rifiutano di andarsene.
Louis Brehony descrive quello che definisce “il prezzo del sumud”, come quello che paga la famiglia di sua moglie a Gaza City, che rifiuta di lasciare la propria casa, sebbene sia stata demolita due volte dalle bombe dell’entità sionista. Fortunatamente la famiglia è sopravvissuta, ma la loro storia è una tra le tante: molte le case distrutte, spesso insieme agli abitanti.
“Quanti sono stati martirizzati?”, dichiara Abulayth, “non lo sappiamo”. È proprio questo orrore, le storie che si moltiplicano giorno dopo giorno, a rendere questo Land Day insopportabile, ma al contempo significativo.
In quale modo, le persone le cui case sono state distrutte insieme al terreno su cui si trovavano, possono celebrare un giorno che commemora la terra? Ad Albuquerque, nel New Mexico, dove vivo, di recente ho osservato una processione di carrelli della spesa: procedevano lentamente lungo la strada, i loro proprietari avevano la fortuna di avere un carrello in cui riporre le loro cose.
Negli ultimi anni, il termine “senza tetto” ha sostituito l’etichetta “senza casa”: quasi tutti hanno una casa composta da amici, famiglia e comunità. Per i palestinesi la terra è molto più preziosa di una casa.
Secondo El-Fetouh, questo legame con la terra rappresenta “il patriottismo palestinese, e incarna la lotta per ripristinare l’armonia e l’unità nazionale tra tutte le fazioni palestinesi”. Quest’anno il concetto di unità è particolarmente importante, riguardando non solo l’unità tra le fazioni, ma anche con i palestinesi in diaspora e con i movimenti di solidarietà in tutto il mondo.
Il 15 marzo 2024, i palestinesi, sia in Palestina che in esilio, hanno redatto una dichiarazione che chiede “unità della terra, del popolo e della lotta”. Pubblicato su Mada Masr, afferma che la liberazione è vicina, rendendo la lotta collettiva più necessaria che mai.
A Gaza, spiega, la gente “ci sta mostrando la strada, rivendicando la nostra libertà d’azione e portando avanti la lotta per una vita migliore, non solo in Palestina”.
La dichiarazione riconosce il ruolo dei palestinesi in esilio, dei detenuti nelle carceri, dei contadini tra gli uliveti dei territori occupati, e di tutti coloro che partecipano ai movimenti di solidarietà, ai quali si uniscono alleati internazionali dal Sud Africa nelle strade delle principali città dell’Occidente.
Anziché soffermarsi sulla sconfitta, documenta vittorie importanti, le quali hanno dimostrato al mondo che l’entità sionista non è invincibile.
In particolare, il documento stabilisce cosa deve accadere, oltre il cessate il fuoco, per evitare il ritorno allo status quo. “Non ci sarà mai sovranità palestinese senza lo smantellamento del sionismo”, dichiara “così come non può esserci alcuna soluzione che non includa il legittimo diritto al ritorno”.
Si conclude con un mantra che si ascolta spesso alle manifestazioni: non può esserci “pace senza giustizia”. E’ una richiesta che non può essere soddisfatta invocando semplicemente un “cessate il fuoco”, come si è visto nell’ultimo “falso appello al cessate il fuoco” realizzato dagli Stati Uniti presso l’ONU.
Ricordando l’agenda internazionalista di Kanafani, la dichiarazione elogia gli alleati globali, in particolare il Sud Africa, per aver combattuto al fianco dei palestinesi al fine di un ordine globale più equo. Quando aveva affermato quanto segue, Kanafani avrebbe potuto avere in mente i sostenitori di oggi, provenienti dal sud del mondo:
“L’imperialismo ha appoggiato il suo corpo sul mondo, la testa nell’Asia orientale, il cuore nel Medio Oriente, le sue arterie raggiungono l’Africa e America Latina. Ovunque lo colpisci, lo danneggi e fai un dono alla rivoluzione mondiale”.
Di conseguenza, la Giornata della Liberazione Africana (ALD) di quest’anno, che si tiene tradizionalmente il 15 aprile, considera la Palestina, le Americhe, l’Africa e l’Oceania nella stessa lotta, una lotta collettiva per “distruggere il colonialismo”.
Ugualmente, il Collettivo NDN collega il diritto al ritorno con la restituzione della terra, citando ancora una volta Kanafani: “La causa palestinese non è una causa solo per i palestinesi, ma una causa per ogni rivoluzionario, è la causa delle masse sfruttate e oppresse”.
Nel loro documento su questo tema, il Collettivo NDN individua il colonialismo, il genocidio e l’apartheid come problemi fondamentali che collegano tutte le popolazioni indigene. Proprio come i nativi di Turtle Island combattono per reclamare la loro terra, così i palestinesi lottano “per tornare alla terra e affinché la terra torni alla gente”. Il legame con la terra definisce la cultura delle persone, e il loro ruolo nel mondo.
Queste distinzioni sono importanti perché i leader occidentali, e i loro alleati, spostano il discorso su Netanyahu e/o sulla mancanza di uno Stato palestinese come questione centrale.
Come osserva il giornalista e attivista Ramzy Baroud, il nocciolo del problema sta nel sistema di credenze che costituiscono il sionismo, un’ideologia “razzista ed egocentrica” che si basa sulla pulizia etnica dei palestinesi per raggiungere il proprio fine.
Per questo motivo, l’appello a uno Stato palestinese suona vano. “Minimizzare tutte queste problematiche cercando soluzioni politiche creative, che venderebbero semplicemente false speranze al popolo palestinese, non è solo ignorante e subdolo”, conclude Baroud, “ma anche una distrazione dal vero problema: l’ideologia sionista di Israele. “
In occasione del Land Day 2024, l’appello per un cessate il fuoco deve essere collegato al pensiero di ciò che verrà dopo, in particolare lo smantellamento del governo sionista al quale poi potrà seguire qualunque decisione dei palestinesi.
In “Le risoluzioni per il cessate il fuoco stanno costruendo il potere politico in tutti gli Stati Uniti”, Michael Arria racconta le dinamiche della diffusione di risoluzioni popolari che stanno “trasformando il potere di strada in potere politico”.
Le persone cominciano a creare collegamenti tra Israele e il militarismo statunitense, e Arria spiega che queste risoluzioni sono meramente simboliche, in termini di fine del genocidio a Gaza.
Per mettere i palestinesi al centro del discorso, questi appelli devono andare oltre, includendo le richieste per lo smantellamento dello Stato sionista, la concessione del diritto al ritorno e, infine, la punizione per i responsabili del genocidio, così come per coloro che lo hanno aiutato rendendosi complici, che devono tutti essere portati davanti alla Corte Penale Internazionale (CPI) come criminali di guerra.
In occasione della Giornata della Terra del 2021, Yousef M. Aljamal aveva profeticamente scritto:
“È la terra che ha sempre collegato i palestinesi al concetto di casa, non i muri, gli edifici, non i detriti o i mattoni. Per questa ragione la demolizione delle case non può rendere i palestinesi senza casa o senza terra. Perché la nostra casa è la nostra terra”.
Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui.
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