‘Il silenzio dopo le urla: Come i media occidentali hanno contribuito a giustificare lo stupro dei palestinesi

Western media amplified Israel’s unverified claims of Hamas “mass rape” while downplaying documented Israeli sexual crimes. (Design: Palestine Chronicle)

By Romana Rubeo

I media occidentali hanno amplificato le accuse non verificate di “stupri di massa” da parte di Hamas, mentre hanno minimizzato i crimini sessuali documentati commessi da Israele contro i palestinesi.

Lunedì 3 novembre, un gruppo di soldati israeliani si presenta davanti alla Corte Suprema di Gerusalemme Ovest con il volto coperto da maschere nere. Non sono lì per chiedere scusa, ma per difendersi.

I soldati, accusati di aver torturato e stuprato un detenuto palestinese nella famigerata prigione di Sde Teiman, pretendono “gratitudine” per le loro azioni.

“Invece di apprezzamento, abbiamo ricevuto accuse”, dice con arroganza uno di loro. I media israeliani seguono la scena, mentre quelli occidentali la ignorano quasi del tutto.

Gli stessi soldati fanno parte di un procedimento penale che i pubblici ministeri israeliani avviano con riluttanza nel 2024, dopo la diffusione di video che mostrano detenuti palestinesi denudati, picchiati e violentati nella prigione di Sde Teiman.

Un palestinese viene ricoverato in ospedale con sette costole rotte e una lacerazione rettale, lesioni compatibili con un abuso sessuale violento.

The Times of Israel parla dell’incriminazione di cinque riservisti per “gravi abusi”, mentre altre fonti riportano prove di sodomia all’interno della struttura.

Eppure, nella copertura occidentale, la parola “stupro” quasi non compare. I titoli parlano di “abusi” o “maltrattamenti”, come se la tortura sessuale fosse una questione di cattiva condotta lavorativa.

Il contrasto con la copertura del 7 ottobre è abissale: in quell’occasione, Israele accusa i combattenti di Hamas di “stupri di massa”. Quelle accuse, mai provate, diventano il fondamento morale della campagna di annientamento condotta a Gaza.

In una recente intervista con la giornalista statunitense Candace Owens, il politologo Norman Finkelstein definisce le accuse israeliane “propaganda genocidaria delle atrocità”.

Dopo aver esaminato oltre 5.000 fotografie e cinquanta ore di filmati di quel giorno, Finkelstein afferma di non aver trovato “nemmeno una sola prova di uno stupro”.

Eppure, quelle storie non verificate, ripetute all’infinito dai media occidentali, bastano a disumanizzare un intero popolo e a legittimare l’uccisione di oltre 68.000 palestinesi.

Nel dicembre 2023, il New York Times pubblica una lunga inchiesta intitolata “Screams Without Words: How Hamas Weaponized Sexual Violence on Oct. 7” (“Urla senza parole: come Hamas ha usato la violenza sessuale come arma il 7 ottobre”).

L’articolo sostiene che i combattenti di Hamas abbiano stuprato sistematicamente donne israeliane durante l’attacco. È pieno di descrizioni grafiche e immagini morbose. Si basa su testimoni anonimi, video non verificati e testimonianze di seconda mano, ma viene presentato come prova definitiva di stupri di massa.

Nel giro di pochi giorni, quell’inchiesta influenza il discorso internazionale. L’allora presidente degli Stati Uniti Joe Biden, i leader europei e molte figure del femminismo liberale citano il pezzo del Times per condannare Hamas e giustificare moralmente la “rappresaglia” israeliana.

Ma quando giornalisti e studiosi iniziano a verificare le prove, la storia crolla. Gli esperti forensi non trovano alcuna prova fisica di stupro. Diversi presunti testimoni citati dal Times si contraddicono a vicenda o vengono successivamente screditati.

Nell’aprile 2024, oltre cinquanta docenti di giornalismo firmano una lettera pubblica chiedendo una revisione indipendente delle fonti e del processo editoriale dell’articolo. Il Washington Post rivela dissensi interni nella redazione del Times, dove alcuni giornalisti ammettono che il pezzo è stato “affrettato” per soddisfare aspettative politiche.

Nel frattempo, lo scandalo di Sde Teiman – un crimine israeliano supportato da video, referti medici e procedimenti giudiziari – non riceve mai neppure una minima parte dell’attenzione dedicata all’articolo del Times.

Questa disparità non è solo linguistica. È strutturale. Riflette la gerarchia del valore umano incorporata nella copertura occidentale della guerra.

È così che funziona la “propaganda delle atrocità”. Non ha bisogno di menzogne per operare, ma soltanto di verità selettive.

Ripetendo accuse non verificate di stupri da parte di Hamas e, allo stesso tempo, minimizzando i crimini sessuali israeliani accertati, i media occidentali trasformano il giornalismo in un’arma di guerra.

(The Palestine Chronicle)

- Romana Rubeo è una giornalista italiana, caporedattrice del The Palestine Chronicle. I suoi articoli sono apparsi in varie pubblicazioni online e riviste accademiche. Laureata in Lingue e Letterature Straniere, è specializzata in traduzioni giornalistiche e audiovisive.

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