
Questo libro non è un’operazione memoriale né un tributo museale: è una cassetta degli attrezzi per chi rifiuta l’idea che la liberazione palestinese possa essere “certificata” o “negoziata” nei salotti occidentali.
C’è un filo teso e ininterrotto che unisce gli scritti politici di Ghassan Kanafani raccolti in Selected Political Writings a cura di Louis Brehony e Tahrir Hamdi per Pluto Press, a ciò che accade sotto i nostri occhi: il genocidio in corso a Gaza, la sua gestione retorica da parte delle stesse potenze che lo rendono possibile e l’ipocrisia di un sistema internazionale che si proclama garante del diritto ma nasce e vive come architettura coloniale.
Leggere oggi Kanafani significa ritrovarsi davanti a un linguaggio e a un pensiero impermeabili al compromesso e radicalmente alieni a ogni logica di conciliazione con il nemico.
Questo libro non è un’operazione memoriale né un tributo museale: è una cassetta degli attrezzi per chi rifiuta l’idea che la liberazione palestinese possa essere “certificata” o “negoziata” nei salotti occidentali. Kanafani non concepisce la lotta come un esercizio di compatibilità con il diritto internazionale – quello stesso diritto scritto dal colonialismo, custodito dalle sue istituzioni e oggi invocato perfino da coloro che, appena ieri, condannavano “senza se e senza ma” la resistenza palestinese del 7 ottobre. Una condanna che, nella logica materiale dei fatti, ha fornito copertura politica e morale al massacro in atto.
Gli scritti qui tradotti – manifesti, analisi strategiche, interviste, saggi – confermano che per Kanafani la questione palestinese non è mai stata un “conflitto” da mediare, ma il fronte avanzato di una guerra storica tra imperialismo e movimenti di liberazione. Non c’è traccia di neutralità o di appello all’arbitro: la liberazione non si chiede, si costruisce. Con lucidità marxista e profondità storica, Kanafani individua nel popolo povero, oppresso e diseredato la forza determinante di ogni rivoluzione, smascherando le borghesie arabe e i mediatori internazionali come strumenti della liquidazione politica.
Oggi, mentre il dibattito pubblico si concentra sulla condanna di massa del genocidio (a quasi due anni di distanza dall’inizio delle devastazioni, massacri e deportazioni), tra finte dichiarazioni di riconoscimento dello Stato di Palestina e il retorico conferimento di autorevolezza e imparzialità a organismi e corti internazionali di giustizia, tutto ciò non è che una pura operazione di facciata. Dietro a queste manovre si cela un progetto che mira a trovare una via d’uscita attraverso un processo calibrato, destinato a salvare Israele dall’isolamento e a reintegrarlo nell’ordine occidentale più potente e impunito, riaffermando un sistema che, pur essendo ormai decrepito nelle sue strutture sociali, culturali e politiche, continua a sopravvivere solo grazie alla sua necroviolenza. In questo contesto, la voce di Kanafani si erge come un antidoto. Non concede rifugi morali né indulgenze legalitarie: definisce la resistenza – armata, culturale, popolare – come l’essenza stessa della politica in un contesto coloniale. Per lui, ogni rinuncia alla resistenza equivale a un atto di complicità.
La forza di questo volume sta anche nella sua irriducibilità al linguaggio codificato della “solidarietà” depoliticizzata. Qui non troverete il lessico delle ONG, la retorica delle “due parti” o la celebrazione astratta dei “diritti umani” slegati dal potere materiale. Troverete invece il rigore strategico di chi legge la Palestina attraverso il Vietnam, l’Algeria, lo Yemen; di chi sa che la liberazione è un processo lungo, organizzato e armato; di chi considera la cultura parte integrante dell’offensiva rivoluzionaria, non un orpello decorativo.
A distanza di mezzo secolo, Selected Political Writings conferma che Ghassan Kanafani non è un autore “storico” ma un compagno di lotta presente, capace di parlare al nostro tempo con la stessa urgenza con cui parlava al suo. In un’epoca in cui la parola “genocidio” rischia di diventare un marchio spendibile in conferenze e carriere, questo libro ci ricorda che, per chi combatte davvero, le parole sono proiettili.
L’impianto del volume riflette questa attualità attraverso cinque sezioni tematiche, ciascuna contenente testi introdotti da studiosi e militanti che collocano storicamente e politicamente gli argomenti sviluppati. In Revolutionary Routes emerge il giovane Kanafani che, già negli anni Sessanta, mette in dialogo l’esperienza palestinese con il socialismo arabo e le lotte antimperialiste globali, come spiegano Hania A.M. Nashef e Patrick Higgins. War, Defeat and Revolutionary Critique (con introduzioni di Rabab Abdulhadi e Louis Brehony) mostra invece la svolta analitica successiva alla sconfitta del 1967, dove la “resistenza come essenza” non è slogan ma scienza politica.
Nella sezione “The Target”, testi come PFLP: Strategy for the Liberation of Palestine e The Resistance and its Challenges, accompagnati da Khaled Barakat e Max Ajl, offrono un modello di strategia rivoluzionaria materialista, irriducibile alle illusioni diplomatiche. La parte dedicata a Kanafani and the Media (con introduzioni di Romana Rubeo, Ibrahim Aoude e Asma Hussain) è un manuale di guerriglia comunicativa: smontare la propaganda del nemico, creare canali propri, non farsi catturare dalla retorica del “dialogo” quando questo serve a disarmare.
Infine, Intifadas of Thought raccoglie testi che, riletti oggi, appaiono profetici della necessità dell’unità nazionale, della lotta armata e dell’analisi concreta delle forze in campo. Introdotti da Nafez Ghneim e Tahrir Hamdi, dimostrano come Kanafani non separasse mai la teoria dall’organizzazione e l’organizzazione dalla prassi. Quando Kanafani denuncia la Secret Alliance Between Saudi Arabia and Israel, non si limita a registrare un’alleanza aberrante, ma la smaschera come parte integrante del sistema regionale di controllo coloniale: ciò che oggi si chiama “normalizzazione” non è altro che la continuazione della controrivoluzione. Quando scrive Towards a Constructive Dialogue on Palestinian National Unity o The Armed Action Unit: In Light of Recent Developments, non teorizza una sintesi post-ideologica, ma l’urgenza di una unità fondata sulla lotta armata, sull’analisi materiale del nemico e sulla rottura netta con le classi collaborazioniste. Sono scritti che parlano direttamente all’oggi di Gaza, non in modo metaforico ma strategico.
L’appendice, curata da Amira Silmi, Ramzy Baroud, Romana Rubeo e Malek Abisaab, illumina gli scritti giovanili e i primi tentativi teorici, rivelando la coerenza di un percorso che, pur evolvendosi, non ha mai ceduto alla logica del compromesso.
Questa coralità di voci – accademici, traduttori, militanti – non attenua ma amplifica il messaggio di Kanafani: la Palestina non è una causa “regionale” o “umanitaria”, ma la faglia viva in cui si misura la tenuta dell’intero ordine imperialista. Ed è proprio questo il punto che rende il volume un’arma politica, e non un semplice esercizio editoriale: ogni capitolo è un richiamo a rifiutare la neutralità, a diffidare delle mediazioni, a leggere la realtà con gli occhi di chi vuole rovesciarla.
In tutto il volume aleggia un rifiuto assoluto della logica del “ritorno alla legalità”, del “diritto internazionale” come orizzonte di giustizia. Kanafani sapeva – e lo diceva – che quel diritto era scritto dal potere coloniale, e che ogni appello a esso rischia di disinnescare la lotta anziché emanciparla. In tal senso, questa raccolta rappresenta un atto di accusa implicito non solo contro l’occupante israeliano, ma anche contro le Nazioni Unite, le corti internazionali, le ONG pacifiste e gli intellettuali liberali che oggi, dopo aver condannato la resistenza, si proclamano “sostenitori della legalità”. È anche contro di loro – contro la loro estetica dell’impotenza e il loro moralismo paralizzante – che scriveva Kanafani.
La verità è che chi ha rifiutato di capire il 7 ottobre ha già rinunciato alla Palestina. E chi oggi esalta i rapporti ONU sulle “violazioni del diritto internazionale” mentre accusa Hamas di “aver rovinato tutto”, non è altro che il funzionario morale del genocidio. Questo volume serve invece a risvegliare una postura altra: non giudicare la resistenza, ma partire da essa. Non deplorare la violenza dei colonizzati, ma riconoscerla come gesto di vita, di libertà e di verità. Come diceva Kanafani: “Non ci sono compromessi nella lotta contro il colonialismo”.

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