
By Ramzy Baroud
Sebbene i palestinesi abbiano dimostrato che il loro sumud – fermezza – è sufficiente a respingere tutte le strategie mirate alla loro distruzione, i Paesi arabi devono riprendersi il loro ruolo di solidarietà e sostegno al popolo palestinese, non solo per il bene della Palestina, ma per il bene di tutto il mondo arabo.
Il linguaggio conta. Oltre al suo impatto immediato sulla nostra percezione dei grandi eventi politici, compresa la guerra, la lingua definisce anche la nostra comprensione di questi eventi nel corso della storia, plasmando così il nostro rapporto con il passato, il presente e il futuro.
Mentre i leader arabi si mobilitano per impedire qualsiasi tentativo di dislocare la popolazione palestinese di Gaza, devastata dalla guerra – e della Cisgiordania occupata, peraltro – non ho potuto fare a meno di riflettere sulla lingua: quando abbiamo smesso di parlare del ‘conflitto arabo-israeliano’ e lo abbiamo sostituito con il ‘conflitto palestinese-israeliano’?
Oltre al problema evidente che le occupazioni militari non dovrebbero essere descritte come ‘conflitti’ – un termine neutro che crea un’equivalenza morale – la rimozione del termine ‘arabi’ dal ‘conflitto’ ha peggiorato enormemente la situazione, non solo per i palestinesi, ma anche per gli stessi arabi.
Prima di parlare delle conseguenze di questo scambio di parole e della modifica delle espressioni, è importante approfondire: quando esattamente il termine ‘arabo’ è stato rimosso? E, altrettanto importante, perché è stato aggiunto in primo luogo?
La Lega degli Stati Arabi è stata istituita nel marzo 1945, più di tre anni prima della nascita di Israele. Una delle principali ragioni di questa nuova unità araba era la Palestina, allora sotto il ‘mandato’ coloniale britannico. Non solo i pochi Stati arabi indipendenti comprendevano la centralità della Palestina per la loro sicurezza collettiva e per le loro identità politiche, ma percepivano la Palestina come la questione più cruciale per tutte le nazioni arabe – indipendenti o meno.
Questa affinità si rafforzò nel tempo e i vertici della Lega Araba riflettevano sempre il fatto che i popoli e i governi arabi, nonostante conflitti, ribellioni, sconvolgimenti e divisioni, erano sempre uniti in un unico valore: la liberazione della Palestina.
Il significato spirituale della Palestina crebbe di pari passo con la sua importanza politica e strategica per gli arabi, portando all’iniezione della componente religiosa in questo rapporto.
L’attacco incendiario alla Moschea di Al-Aqsa nell’agosto 1969 fu il principale catalizzatore della creazione dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OIC) nello stesso anno. Nel 2011, essa fu rinominata Organizzazione della Cooperazione Islamica, ma la Palestina rimase il tema centrale del dialogo musulmano.
Tuttavia, il ‘conflitto’ rimase ‘arabo’, poiché erano i Paesi arabi a sopportarne il peso, a combatterne le guerre, a subirne le sconfitte, ma anche a condividerne i momenti di trionfo.
La sconfitta militare araba nel giugno 1967 contro l’esercito israeliano, sostenuto dagli Stati Uniti e da altre potenti potenze occidentali, fu un momento spartiacque. Umiliate e arrabbiate, le nazioni arabe dichiararono i famosi “Tre No” al vertice di Khartoum nell’agosto-settembre dello stesso anno. Tutti i ‘no’ ruotavano attorno all’idea che non ci sarebbe stata pace, né negoziati, né riconoscimento di Israele finché i palestinesi fossero stati prigionieri.
Questa posizione forte, però, non ha retto alla prova del tempo. Le divisioni tra le nazioni arabe sono emerse, e termini come Al-‘Am al-Qawmi al-‘Arabi – la sicurezza nazionale araba – che si concentravano spesso sulla Palestina, si sono frammentati in nuove concezioni legate agli interessi degli Stati-nazione.
Gli Accordi di Camp David, firmati tra Egitto e Israele nel 1979, approfondirono le divisioni arabe – e marginalizzarono ulteriormente la Palestina – sebbene, in realtà, non le avessero create.
Fu in quel periodo che i media occidentali, seguiti poi dal mondo accademico, iniziarono a coniare nuovi termini riguardo alla Palestina. Il termine ‘arabo’ fu eliminato a favore di ‘palestinese’. Quel semplice cambiamento fu sconvolgente, poiché arabi, palestinesi e persone di tutto il mondo iniziarono a creare nuove associazioni con il discorso politico sulla Palestina. L’isolamento della Palestina aveva dunque superato quello dei blocchi fisici e dell’occupazione militare, penetrando nel linguaggio stesso.
I palestinesi hanno combattuto duramente per conquistare la loro legittima e meritata posizione di custodi della propria lotta. Sebbene l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) fosse stata fondata su iniziativa dell’Egitto durante il primo vertice arabo al Cairo nel 1964, nel 1969, sotto la guida di Yasser Arafat di Fatah, i palestinesi ne presero il comando.
Cinque anni dopo, nel vertice arabo di Rabat (1974), l’OLP fu ufficialmente riconosciuta come il “legittimo e unico rappresentante del popolo palestinese”, e successivamente ottenne lo status di osservatore presso le Nazioni Unite.
Idealmente, una leadership palestinese veramente indipendente avrebbe dovuto essere sostenuta da una posizione araba collettiva e unitaria, che la aiutasse nel difficile e spesso sanguinoso processo di liberazione. Gli eventi successivi, però, hanno dimostrato una traiettoria ben lontana dall’ideale: le divisioni tra arabi e palestinesi hanno indebolito la posizione di entrambi, frammentando le loro energie, risorse e decisioni politiche.
Ma la storia non è destinata a seguire lo stesso schema. Sebbene le esperienze storiche possano sembrare ripetersi, la ruota della storia può essere orientata nella giusta direzione.
Gaza, e la grande ingiustizia derivante dalla distruzione provocata dalla guerra israeliana nella Striscia, è ancora una volta un catalizzatore per il dialogo arabo e, se ci sarà abbastanza volontà, per l’unità.
Sebbene i palestinesi abbiano dimostrato che il loro sumud – fermezza – è sufficiente a respingere tutte le strategie mirate alla loro distruzione, le nazioni arabe devono riprendersi il loro ruolo come prima linea di solidarietà e sostegno al popolo palestinese, non solo per il bene della Palestina, ma per il bene di tutte le nazioni arabe.
L’unità è ora la chiave per ricentrare la giusta causa della Palestina, affinché la lingua possa, ancora una volta, cambiare, reinserendo la componente ‘araba’ come una parola fondamentale in una lotta per la libertà che dovrebbe riguardare tutte le nazioni arabe e musulmane e, in realtà, il mondo intero.

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