Orgoglio, speranza, tradimento: la storia di Ain Al-Hilweh è la storia della Palestina

Il campo profughi di Ain Al-Hilweh, nel sud del Libano. (Photo: via UNRWA)

By Ramzy Baroud

Le lotte intestine ad Ain Al-Hilweh, se non portate sotto un controllo totale e duraturo, potrebbero alla fine far ottenere a Israele esattamente ciò che vuole.

Il termine Shatat potrebbe non suscitare forti emozioni tra chi non conosce la storia, il vissuto e la straziante esperienza della pulizia rtnica e dell’esilio perpetuo dei palestinesi, e la tremenda violenza che ne è seguita.

Il termine “Shatat”  viene grossolanamente tradotto in “Esilio” o “Diaspora”. Tuttavia, il significato è molto più complesso. Può essere capito solo attraverso l’esperienza diretta. E anche in quel caso, non è di facile comprensione. Forse, i kafkiani blocchi di cemento, zinco e macerie, appoggiati uno sull’altro e che fungono da “rifugi temporanei” per decine di migliaia di persone, raccontano una piccola parte della storia.

Il 30 luglio, la violenza è tornata ad affaccuarsu nell’affollato campo profughi palestinese, causando la morte di almeno 13 persone. Decine di altri sono rimasti feriti e migliaia sono fuggiti.

Tuttavia, la maggior parte dei rifugiati è rimasta, perché diverse generazioni di palestinesi ad Ain Al-Hilweh comprendono che, per certi versi, è inutile fuggire, perché la fuga non garantisce la vita né una morte dignitosa. I massacri dei campi profughi di Sabra e Shatila nel settembre 1982 furono una testimonianza di questa presa di coscienza collettiva.

Prima di scrivere questo articolo, ho parlato con diverse persone nel Sud del Libano, e ho passato in rassegna molti articoli e rapporti che descrivono ciò che sta avvenendo ora nel campo. Tuttavia, la verità è ancora sfocata o, nella migliore delle ipotesi, selettiva.

Molti nei media arabi hanno relegato Ain Al-Hilweh alla mera rappresentazione simbolica di un radicato dolore palestinese.

I principali media occidental, invece, non erano affatto preoccupati per il dolore palestinese, ma si sono concentrati principalmente sull'”illegalità” del campo, sul fatto che questo esiste al di fuori della giurisdizione legale dell’esercito libanese e sulla proliferazione di armi tra i palestinesi e altre fazioni, impegnate in apparentemente infinite e presumibilmente inspiegabili lotte intestine.

Ma Ain Al-Hilweh, come gli altri 11 campi profughi palestinesi in Libano, racconta una storia completamente diversa, più concreta del mero simbolismo e più profonda della illegalità dello status dei rifugiati.

È, essenzialmente, la storia della Palestina; o meglio, della distruzione della Palestina per mano delle milizie sioniste nel 1947-1948. È una storia di contraddizioni, orgoglio, vergogna, speranza, disperazione e, in ultimo, tradimento.

Non è facile seguire la sequenza temporale che ha portato all’ultima ondata di violenza. Alcuni suggeriscono che i combattimenti siano iniziati quando un tentato assassinio, attribuito ai combattenti di Fatah nel campo, è stato compiuto contro il capo di un gruppo islamista rivale. L’attentato è fallito ed è stato seguito da un agguato, condotto da presunti islamisti che hanno ucciso un alto comandante di Fatah e diverse sue guardie del corpo.

Altri suggeriscono che l’assassinio di Abu Ashraf Al-Armoushi, un generale militare della Sicurezza Nazionale palestinese, sia stato del tutto non provocato.

Altri ancora, tra cui il Primo Ministro libanese Najib Mikati, hanno accusato le forze esterne e i loro “ripetuti tentativi di usare il Libano come campo di battaglia per il regolamento dei conti”.

Ma chi sono queste entità, e qual è lo scopo di tale ingerenza?

Tutto diventa ancora più confuso. Sebbene povero e sovraffollato, Ain Al-Hilweh, come altri campi palestinesi, è uno spazio politico molto conteso. In teoria, questi campi hanno lo scopo di consolidare e proteggere il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi. In pratica, vengono utilizzati anche per minare questo diritto sancito a livello internazionale.

L’Autorità Nazionale Palestinese di Mahmoud Abbas, ad esempio, vuole assicurarsi che i lealisti di Fatah dominino il campo, e quindi si adopra per negare ai rivali palestinesi qualsiasi ruolo nel Sud del Libano.

Fatah è il più grande gruppo palestinese all’interno dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Domina sia l’OLP che l’ANP. In passato, il gruppo ha perso il suo dominio su Ain Al-Hilweh e altri campi. Per Fatah in Libano, è una lotta costante per la rilevanza.

Ain Al-Hilweh è importante per l’Autorità Nazionale Palestinese, anche se l’OLP sotto la guida di Abbas ha ampiamente rinnegato i rifugiati del Sud del Libano e il loro diritto al ritorno, e si è invece concentrata principalmente sul governo di specifiche regioni della Cisgiordania sotto il controllo dell’Occupazione israeliana.

Tuttavia, i rifugiati libanesi rimangono centrali per l’ANP, per due motivi principali: primo, come fonte di legittimazione per Fatah e secondo, per allontanare qualsiasi critica, per non parlare della resistenza, al campo palestinese sostenuto dall’Occidente, in Libano e ovunque altro.

Nel corso degli anni, centinaia di rifugiati di Ain Al-Hilweh sono stati uccisi nei bombardamenti israeliani, ma anche da lotte interne tra palestinesi e libanesi e tra gruppi rivali palestinesi.

Israele ha compiuto la maggior parte degli omicidi mirati, nel tentativo sradicare la Resistenza Palestinese in Libano.

Il resto della violenza è stato perpetrata da gruppi che perseguivano il potere, a volte per se stessi, ma spesso come milizie per procura di poteri esterni.

Intrappolati nel mezzo ci sono 120.000 persone, la popolazione stimata di Ain Al-Hilweh e, per estensione, tutti i rifugiati palestinesi del Libano.

Non tutti gli abitanti di Ain Al-Hilweh sono rifugiati palestinesi regolarmente registrati. Questi ultimi, secondo le stime dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNRWA, sono circa 63.000. Gli altri sono fuggiti lì in seguito alla guerra siriana, che ha accresciuto la popolazione dei campi libanesi e acuito le tensioni esistenti.

Per i rifugiati, tuttavia, gli impedimenti sono molteplici: l’effettivo confinamento fisico dettato dalla mancanza di opportunità e accettazione nella società libanese tradizionale; i grandi rischi di lasciare il Libano come rifugiati clandestini e attraversare illegalmente il Mediterraneo; e la sensazione, soprattutto tra le generazioni più anziane, che lasciare i campi equivalga al tradimento del diritto al ritorno.

Tutto questo sta accadendo in un contesto politico, dove la classe dirigente palestinese ha completamente rimosso i rifugiati dalle sue priorità, e l’Autorità Palestinese li vedei solo come pedine in un gioco di potere tra Fatah e i suoi rivali.

Per decenni, Israele ha cercato di liquidare la discussione sui rifugiati palestinesi e il loro diritto al ritorno. I suoi continui attacchi ai campi profughi palestinesi nella stessa Palestina, e il suo interesse per ciò che sta accadendo nello Shatat, fa parte della sua ricerca per scuotere le fondamenta stesse della causa palestinese.

Le lotte intestine ad Ain Al-Hilweh, se non portate sotto un controllo totale e duraturo, potrebbero alla fine far ottenere a Israele esattamente ciò che vuole: presentare i profughi palestinesi come una responsabilità per i Paesi ospitanti e, alla fine, distruggere la “Capitale dello Shatat”, insieme alla speranza di quattro generazioni di profughi palestinesi di tornare a casa.

(Leggi la versione inglese qui)

- Ramzy Baroud is a journalist and the Editor of The Palestine Chronicle. He is the author of six books. His latest book, co-edited with Ilan Pappé, is “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Dr. Baroud is a Non-resident Senior Research Fellow at the Center for Islam and Global Affairs (CIGA). His website is www.ramzybaroud.net

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