By Lorenzo Poli
Al popolo nativo palestinese deve essere riconosciuto il diritto di poter vivere in pace e dignità nella sua terra, così come avviene con altri popoli del mondo.
“Netanyahu ha spinto la politica ai limiti del caos, fino a che è esploso. Diffondendo odio e razzismo pensavano di poter continuare a umiliare impunemente i palestinesi: non ci sono riusciti” .
A fare queste dichiarazioni non è un attivista filo-palestinese, ma Assaf Gavron, scrittore israeliano.
“Durante il suo mandato Netanyahu ha perseguito una politica estera che ha ignorato sistematicamente l’esistenza e i diritti dei palestinesi”, ha scritto il quotidiano israeliano di sinistra Haaretz.
Anche la comunità internazionale ha per anni ignorato le condizioni di vita degli abitanti della Striscia di Gaza, li ha abbandonati a se stessi dal punto di vista umanitario, ma soprattutto politicamente.
Il conflitto israelo-palestinese si potrebbe descrivere con la locuzione latina ubi maior minor cessat, tradotta letteralmente, vuol dire «dove vi è il maggiore, il minore decade», ovvero «in presenza di quel che possiede più potere, chi ne ha meno perde la propria rilevanza».
Nel caso di Israele e Palestina, non solo troviamo un oppresso, il popolo palestinese, e un oppressore, lo Stato sionista di Israele, ma troviamo chi ha più capacità tecno-militare e chi in confronto usa armi rudimentali per difendersi da un’occupazione coloniale.
È una questione di rapporti di forza che ha portato, dalla strage della Nakba nel 1948 ad oggi, alla riduzione massiccia del territorio palestinese – come vediamo nelle cartine – tramite la formazione di insediamenti illegali condannati persino dall’ONU, soprusi, violenze, repressione militare, distruzione ed esproprio delle abitazioni e dei terreni palestinesi.
“I drammatici eventi di questi giorni in Palestina sono una diretta conseguenza di ciò che subiscono da oltre 75 anni i nativi palestinesi, vittime delle spietate politiche coloniali israeliane. In particolare, la Striscia di Gaza è sotto feroce assedio israeliano (di terra, mare e cielo) dal 2007, e si trova in una situazione umanitaria catastrofica – che è sotto gli occhi della silente comunità internazionale molto coinvolta su altri fronti, come quello ucraino” – come ha dichiarato il comunicato dell’API-Associazione dei Palestinesi in Italia .
Hamas è riuscito a sorprendere il potente apparato militare di intelligence e sicurezza israeliano uscendo da Gaza e occupando villaggi e postazioni israeliane poste ai confini della Striscia. Un vero e proprio smacco inaspettato per Netanyahu e il suo governo ultranazionalista di destra. Come ha detto, nel modo del tutto inaspettato, lo storico Giovanni Minoli:
“E’ crollato un mito: il mito dei servizi segreti israeliani. Era un castello di carta che ci è stato venduto come impenetrabile, come perfetto, ma non è vero. Prevalentemente nel tempo, tutta l’intelligence israeliana si è basata sulla sorveglianza elettronica, mentre invece i capi di Hamas, che sono reduci delle varie Intifada, hanno capito che è meglio comunicare con i pizzini piuttosto che con il telefono o con Internet. Infatti nessuno sapeva come comunicavano”.
La risposta della resistenza armata è stato un colpo anche alle trattative tra Israele e Arabia Saudita, caldeggiate dal Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.
Mentre tutta la stampa mainstream occidentale raccontava solo una parte dell’inizio del nuovo conflitto aperto, dimenticando l’anteprima, Israele ha quindi trovato l’occasione per rispondere alla reazione di Hamas con l’escalation militare denominata ‘Spade di ferro’ che ben presto è stata apertamente definita come “guerra” – parola di Benjamin Netanyahu -, annunciando che condurrà una guerra fino alla vittoria.
Il premier Benyamin Netanyahu ha poi evidenziato: “Cittadini di Israele siamo in guerra e non è solo un’operazione, è proprio una guerra”. Il premier israeliano ha dato l’ordine all’esercito di richiamare i 300.000 riservisti da tutto il mondo e di “rispondere alla guerra con irruenza e un’ampiezza che il nemico non ha conosciuto finora”.
“Il nemico – ha sottolineato – pagherà un prezzo che non ha mai dovuto pagare. Vinceremo”. Il Ministro della Difesa di Israele Yoav Gallant ha approvato un massiccio arruolamento di riservisti per i combattimenti. “Siamo in stato di guerra. Abbiamo 21 episodi in corso nel sud del Paese” – lo ha affermato il capo della polizia israeliana, Yaakov Shabtai. Unità scelte della polizia, ha aggiunto, sono state mobilitate ed inviate nella zona degli scontri.
Il bilancio delle vittime è provvisorio, migliaia di feriti e morti da entrambe le parti. Da Gaza sono stati lanciati circa migliaiarazzi, in gran parte intercettati dallo scudo spaziale di difesa israeliano Iron Dome e distrutti in volo; mentre Israele oggi fa strage nella Striscia di Gaza contro una popolazione che da 75 anni vive in totale assedio a causa sua.
“Spade di ferro” mette Gaza sotto totale assedio e lancia bombe al fosforo bianco
Israele ha trovato così il modo per dare il colpo di grazia a Gaza imponendo l’assedio e bombardando la popolazione, lasciandola senza luce, gas e acqua condannandola ad una “punizione collettiva”.
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, annunciando l’assedio totale di Gaza, ha dichiarato: “Niente elettricità, niente cibo, niente benzina, niente acqua. Tutto chiuso. Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza”.
L’assedio totale di Israele alla Striscia di Gaza, che priva i civili di beni essenziali per la sopravvivenza, è vietato dal diritto internazionale, ha dichiarato martedì Volker Turk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, affermando che “l’imposizione da parte di Israele di assedi che mettono in pericolo la vita dei civili, privandoli di beni essenziali per la loro sopravvivenza, è proibita dal diritto internazionale umanitario”.
“Ciò rischia di aggravare seriamente la già disastrosa situazione umanitaria e dei diritti umani a Gaza, compresa la capacità delle strutture mediche di operare, soprattutto alla luce del crescente numero di feriti”, ha affermato, aggiungendo che un assedio può equivalere a una “punizione collettiva”.
“Togliere acqua, cibo, elettricità – mezzi indispensabili alla sopravvivenza – a due milioni di persone che già da decenni sono sottoposte a una violazione quotidiana e sistematica dei più basilari diritti umani come reazione a quell’attacco è anche questo un crimine di guerra.”- dichiara l’ONG Emergency –
“Le immagini che arrivano oggi da quella parte di mondo testimoniano l’evidenza: non esiste sicurezza senza diritti, mentre 75 anni di armi, occupazioni militari, attentati, bombe, rapimenti hanno portato solo più guerra, più odio, più vite umane perse. Una storia già vista e vissuta da entrambe le parti del confine. Davanti a questo disastro, chiediamo che la comunità internazionale si faccia mediatrice per proteggere i civili, creare corridoi umanitari per la loro evacuazione e per arrivare alla cessazione delle ostilità.”
Non solo, sembra anche che l’operazione “Spade di ferro” stia facendo molto peggio. Nei suoi attacchi contro i palestinesi a Gaza nel 2009, l’esercito israeliano ha utilizzato bombe al fosforo bianco, che sono particolarmente pericolose ed hanno causato gravissime ustioni e lesioni agli organi vitali in centinaia di bambini e, in generale, a civili palestinesi. Avvenne durante l’Operazione Piombo Fuso, in cui l’esercito israeliano ha attaccato il quartiere generale dell’ONU a Gaza. “Condanna il Consiglio l’utilizzazione di tali armi da parte di Israele? Ritiene che la loro utilizzazione costituisca un crimine di guerra e intende provvedere affinché si eviti di continuare ad utilizzarle?” – questo ciò che si domandava Athanasios Pafilis, durante un’interrogazione a febbraio 2009 al Parlamento Europeo.
Come è noto, l’utilizzazione di tali bombe in zone abitate è proibita dalla Convenzione di Ginevra sulle armi convenzionali del 1980, ma sembra che Israele le abbia riesumate per reprimere la resistenza palestinese proprio in questi giorni. Numerose sono le foto che sembrano testimoniarlo. Questo è un crimine di guerra di cui si dovrebbe occupare la Corte Internazionale dei Diritti Umani.
Da dove nasce l’Operazione Ciclone Al-Aqsa?
Tra il 5 e il 6 ottobre, i soldati israeliani hanno bombardato di proiettili l’auto che trasportava due palestinesi, Abdul Rahman Fares Muhammad Atta (23 anni) e Hudhayfah Adnan Muhammad Fares (27 anni), ferendoli gravemente vicino al villaggio di Shufa, nel sud-est di Tulkarem. I giovani sono stati successivamente dichiarati morti.
Da questi eventi, i combattenti della Resistenza palestinese hanno intensificato le loro attività di resistenza in diverse aree della Cisgiordania in risposta alle ripetute violazioni israeliane e agli attacchi dei coloni contro il popolo, le terre e i luoghi santi palestinesi.
All’alba, i combattenti della resistenza delle Brigate al-Qassam di Hamas hanno aperto intensamente il fuoco contro le forze israeliane infiltrate nel campo profughi di Tulkarem e hanno fatto esplodere ordigni esplosivi artigianali contro i loro veicoli.
Venerdì all’alba invece un giovane palestinese di 19 anni, Mohammad Labib Dhamidi, è stato ucciso, in un attacco di coloni nella città occupata di Huwwara, nel distretto di Nablus, in Cisgiordania.
A darne notizia è stata l’Autorità generale per gli affari civili ha riferito al ministero della Sanità palestinese. Dhamidi, morto poi all’ospedale Rafidiya per le ferite al petto, è stato il quarto palestinese ad essere ucciso dai colpi di arma da fuoco israeliani in quelle 24 ore. Altre 25 persone hanno subito l’inalazione di gas lacrimogeno durante l’attacco, tra cui 4 bambini. Negli ultimi mesi, Huwwara è stato teatro di numerosi attacchi da parte di coloni israeliani.
Il 6 ottobre, decine di studentesse palestinesi sono rimaste soffocate a causa del bombardamento della loro scuola con gas lacrimogeni durante l’assalto delle forze di occupazione (IOF) alla cittadina di As-Samu, a sud di Hebron/al-Khalil, nel sud della Cisgiordania. La Direzione dell’Istruzione nel sud di Hebron ha denunciato l’assalto delle IOF e il lancio di gas lacrimogeni contro la scuola secondaria femminile.
Altro caso riguardo il trasferimento arbitrario di 50 prigionieri dal carcere israeliano di Rimon alla prigione di Nafha. I prigionieri hanno dichiarato uno sciopero della fame a tempo indeterminato e il Comitato Nazionale del Movimento dei Prigionieri palestinesi ha annunciato il lancio di iniziative di protesta volte a contrastare le misure repressive adottate contro di loro dal Servizio Carcerario Israeliano (IPS).
Il numero dei prigionieri nelle carceri dell’occupazione, secondo il Club dei Prigionieri palestinesi – un organismo per i diritti umani con sede a Ramallah – è di circa 5.100, tra cui più di 1.200 “detenuti amministrativi”, ovvero detenuti senza accusa.
Bisogna ricordare inoltre che solo nel 2022 i palestinesi uccisi dalle forze di occupazione sioniste sono stati 127 e di questi non pochi erano minori, 34 secondo i dati pubblicati da Save the Children.
Il numero di bambini uccisi dalle forze di sicurezza e dai coloni israeliani nella Cisgiordania occupata era raddoppiato quest’anno, arrivando a 48 prima dell’inizio della guerra.
Mentre le autorità sioniste hanno emesso 1.789 ordinanze di detenzione amministrativa confermando una netta tendenza al loro aumento e i palestinesi arrestati sono oltre 900.
I dati sono terrificanti e dimostrano come il regime d’apartheid razzista e coloniale israeliano stia operando una pulizia etnica nei confronti dei palestinesi, senza dimenticare i bombardamenti che il regime israeliano effettua indiscriminatamente il territorio siriano sull’altopiano del Golan, uccidendo anche in questo caso cittadini inermi.
I media mainstream hanno messo in atto l’ennesima hasbara facendo intendere – ancora una volta – all’opinione pubblica che la colpa fosse di Hamas “perché ha cominciato le ostilità”, cercando di tagliare tutta la storia, gli eventi e gli accadimenti avvenuti fino al mattino del 7 ottobre.
Dalla reazione di Hamas all’Operazione “Spade di ferro” con l’escalation militare israeliana
Hamas ha semplicemente risposto a questi eventi di soprusi, repressione e violenza diventati ormai insopportabili dai palestinesi. Quella che Hamas ha messo in atto altro non è altro che resistenza armata a quello che i palestinesi vivono ogni giorno nei territori occupati. Che poi sia anche reazione è ovvio, ma è una legittima resistenza armata.
Il conflitto tra Israele e Hamas è riesploso la mattina del 7 ottobre, quando il gruppo militante palestinese che controlla la Striscia di Gaza ha lanciato migliaia di razzi contro il territorio dello Stato ebraico e infiltrato unità di terra che hanno anche rapito, secondo fonti israeliane, decine di ostaggi.
Il comandante militare del gruppo palestinese Hamas, Mohammad Deif, ha chiamato la propria operazione militare ’Ciclone al-Aqsa’, con l’obiettivo di “porre fine alle violazioni” israeliane come “la profanazione dei luoghi santi a Gerusalemme”, il costante rifiuto da parte di Israele di “liberare i nostri prigionieri” e l’uccisione di bambini palestinesi da parte israeliana.
La risposta israeliana è stata efferata. L’esercito di Tel Aviv sta compiendo un vero e proprio eccidio sulla Striscia di Gaza. I numeri, al momento della pubblicazione di questo articolo, parlano di oltre 2.300 palestinesi uccisi, tra cui oltre 700 bambini, e oltre 9.000 feriti. Purtroppo, queste cifre sono destinate a salire, anche in virtù del fatto che l’assedio imposto su Gaza rende difficili le operazioni di soccorso, gli spostamenti e le attività ospedaliere.
Cosa devono ancora subire i palestinesi?
Dopo quello che è successo e sta accadendo è molto chiaro chi siano l’oppresso e l’oppressore, oltre a sottolineare come l’Operazione “Spade di ferro” sia l’apice del colonialismo israeliano.
Al popolo nativo palestinese deve essere riconosciuto il diritto di poter vivere in pace e dignità nella sua terra, così come avviene con altri popoli del mondo.
In questo scenario geopolitico sempre più marcatamente multipolare, serve un maggiore impegno da parte della comunità internazionale affinché la Palestina non venga lasciata a se stessa e possa finalmente ottenere sì, una pace, ma che sia giusta e onorevole per il suo popolo.
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