By Ramzy Baroud
Sebbene gli Stati Uniti rimangano grandi sostenitori di Israele, alcuni segnali lasciano pensare che il presunto “legame indissolubile” con Tel Aviv stia vacillando, anche se più in termini di linguaggio che di fatti.
Dopo la provocatoria “Marcia delle Bandiere” della scorsa settimana, che viene condotta ogni anno dagli estremisti ebraici israeliani nella città palestinese occupata di Gerusalemme Est, gli Stati Uniti si sono uniti ad altri Paesi in tutto il mondo nel condannare il razzismo mostrato durante l’evento.
Il linguaggio usato dal Dipartimento di Stato è stato fermo, per quanto cauto. Il portavoce Matthew Miller non ha condannato la marcia razzista e provocatoria, che ha visto la partecipazione di importanti politici israeliani, quanto piuttosto il linguaggio usato dai partecipanti, la maggior parte dei quali erano forti sostenitori del governo di estrema destra del Primo Ministro Benjamin Netanyahu. “Gli Stati Uniti si oppongono inequivocabilmente al linguaggio razzista di qualsiasi forma”, ha twittato Miller. “Condanniamo i canti odiosi come ‘Morte agli Arabi’ (sentiti) durante la marcia di oggi a Gerusalemme”.
Accuratamente articolata in modo da non apparire come una condanna dello stesso Israele, la posizione degli Stati Uniti è ancora più “equilibrata” rispetto alle posizioni precedenti, in cui i palestinesi erano spesso quelli associati all’uso americano di parole come “condanna”, “incitamento” e simili.
D’altra parte, durante la sanguinosa guerra israeliana di cinque giorni contro Gaza di questo mese, Washington ha fatto ricorso allo stesso vecchio copione: quello di Israele che ha il “diritto di difendersi”, travisando così completamente gli eventi che hanno portato alla guerra. Questa posizione degli Stati Uniti sulla guerra di Israele a Gaza sembra dipingere Netanyahu come il “difensore” di Israele contro la presunta violenza palestinese e il “terrorismo”. Ma questo presunto paladino dei diritti israeliani deve ancora essere invitato alla Casa Bianca, cinque mesi dopo essere tornato al potere alla guida del governo più estremista nella storia di Israele.
Alcuni vogliono credere che la decisione dell’amministrazione Biden di prendere le distanze da Netanyahu sia del tutto altruistica. Ma non può essere questo il caso, poiché gli Stati Uniti continuano a sostenere Israele militarmente, finanziariamente, politicamente e in ogni altro modo.
La risposta sta nei principali errori di calcolo di Netanyahu del passato, che ha calcato troppo la mano rivoltandosi contro il Partito Democratico e alleandosi interamente con i Repubblicani. Le sue tattiche hanno dato i loro frutti durante il mandato del Presidente Repubblicano Donald Trump, ma si sono ritorte contro quando Trump ha lasciato la Casa Bianca.
Joe Biden è indiscutibilmente filo-israeliano. Secondo le sue stesse ripetute osservazioni, il suo sostegno a Israele non è solo politico ma anche ideologico. “Io sono un sionista. Non è necessario essere ebrei per essere sionisti”, ha ripetuto, con orgoglio, in diverse occasioni. Ma il Presidente degli Stati Uniti è anche anti-Netanyahu, un’antipatia che ha persino preceduto l’idilio Trump-Netanyahu. Risale principalmente ai due mandati di Barack Obama, quando Biden era vicepresidente. Gli imbrogli politici di Netanyahu e gli attacchi implacabili all’amministrazione Obama hanno insegnato a Biden che semplicemente non ci si può fidare di Netanyahu.
Ma Biden, con consensi storicamente bassi tra gli americani comuni, non può assolutamente sfidare da solo Netanyahu e la roccaforte israeliana su Washington attraverso la sua influente lobby. Ma qualcosa sta cambiando; ossia il fatto che il Partito democratico nel suo insieme ha spostato le alleanze da Israele alla Palestina.
Questa affermazione sarebbe stata impensabile in passato, ma il cambiamento è reale, confermato più e più volte da credibili sondaggi di opinione. L’ultimo risale a marzo. “Dopo un decennio in cui i l’elettorato Democratico ha mostrato una crescente solidarietà verso i palestinesi, le loro simpatie ora sono più per i palestinesi che per gli israeliani, il 49% contro il 38%”, ha concluso il sondaggio di Gallup.
Il fatto che tale crescente “solidarietà” con la Palestina sia in atto da almeno un decennio suggerisce che il cambiamento di posizione dell’elettorato Democratico è generazionale, non il risultato di un singolo evento. Infatti, numerose organizzazioni e innumerevoli individui lavorano quotidianamente per creare un legame tra solidarietà e politica.
Incoraggiata dalle crescenti simpatie per la Palestina, la Rappresentante Betty McCollum, sostenitrice di lunga data dei diritti dei palestinesi al Congresso degli Stati Uniti, questo mese ha ripresentato il disegno di legge sulla difesa dei diritti umani dei bambini e delle famiglie palestinesi che vivono sotto l’Occupazione Militare Israeliana. Co-sponsorizzata da altri 16 membri del Congresso, la proposta di legge esige che a Israele sia proibito l’uso di “denaro dei contribuenti statunitensi nella Cisgiordania occupata per la detenzione militare, l’abuso o il maltrattamento di bambini palestinesi”.
Due anni fa, The Intercept ha riferito che McCollum e i suoi sostenitori stavano spingendo per impedire a Israele di utilizzare gli aiuti statunitensi per sovvenzionare “una più ampia gamma di tattiche di Occupazione israeliane”. Alex Kane scrisse all’epoca che questa era “un’indicazione di quanto lontano sia arrivato il dibattito sugli aiuti statunitensi a Israele negli ultimi sei anni”, in riferimento al 2015, quando McCollum presentò il disegno di legge in materia per la prima volta.
Da allora, le cose sono andate avanti ancora più velocemente. Lo sforzo per ritenere Israele responsabile ha ora raggiunto l’Assemblea dello Stato di New York. Il New York Post la scorsa settimana ha riferito che un disegno di legge, che mirava a impedire a enti di beneficenza statunitensi registrati di incanalare denaro per finanziare insediamenti ebraici illegali israeliani, era stata presentato da diversi legislatori Democratici
Il disegno i legge, noto come: Not on Our Dime! Ending New York Funding of Israeli Settler Violence Act (Non a Spese Nostre! Decreto di Cessazione dei Finanziamenti di New York alla Violenza dei Coloni Israeliani), osa sfidare Israele su più fronti: il potere tradizionale della lobby filo-israeliana, mettere in discussione il finanziamento statunitense di Israele e affrontare la canalizzazione di fondi verso insediamenti illegali a titolo di beneficenza.
Diversi fattori ci costringono a credere che il cambiamento nella politica statunitense su Palestina e Israele, sebbene lento, sfumato e, a volte, simbolico, probabilmente continuerà.
Uno è il fatto che Israele si sta orientando verso il nazionalismo di estrema destra, che è sempre più difficile da difendere per i politici e i media americani liberali.
Un altro è la fermezza dei palestinesi e la loro capacità di superare le restrizioni e la censura del conglomerato dei media, che hanno impedito loro di avere una rappresentanza equa.
E, infine, la dedizione di numerose organizzazioni della società civile e l’ampliamento della rete di sostegno ai palestinesi in tutti gli Stati Uniti, che ha consentito a legislatori coraggiosi di spingere per un cambiamento sostanziale nella politica.
Il tempo dirà quale direzione prenderà Washington in futuro. Tuttavia, considerando gli attuali elementi a disposizione, il sostegno a Israele sta diminuendo come mai prima d’ora. Per coloro che sostengono una pace giusta in Palestina, questo è un buon segnale.
(Leggi l’originale inglese qui)
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