La Palestina libera può liberare noi: Chi ha paura della piazza di Milano?

Decine di migliaia di persone sono scese in piazza per la Palestina a Milano. (Photo: Stefano Marengo, supplied)

By Stefano Marengo

Chi scende in piazza a sostegno di una Palestina finalmente libera lo fa oggi con la coscienza che la Palestina libera potrà liberarci a sua volta.

La manifestazione di Milano dello scorso sabato non ci parla soltanto del nostro presente ma è anche una speranza, forse una promessa, per il nostro futuro. Il fatto stesso che, a ormai un anno e mezzo dall’inizio del genocidio di Gaza, decine di migliaia di persone abbiano ancora la forza e la volontà di scendere in piazza indica che qualcosa di profondo si sta muovendo nelle nostre società e stanno germogliando nuove ragioni del nostro stare insieme.

Il neoliberalismo, ultima grande ideologia di dominio partorita dalle élites occidentali, ci ha sussurrato all’orecchio per 40 anni che solo gli individui contano, che ciascuno di noi è naturalmente in eterno conflitto con gli altri, i quali vanno per forza guardati con sospetto, diffidenza e un’ostilità tanto maggiore quanto più profonde appaiono le differenze che ci separano.

Il crollo morale, civile e politico che questa narrazione classista ha finito per produrre è ormai esperienza quotidiana, sempre più prossima a quelle narrazioni distopiche e post apocalittiche che non a caso hanno nutrito molta narrativa e cinematografia di questi anni. Ma è proprio perché ci muoviamo in un paesaggio costellato di macerie che non può essere in alcun modo sottostimato il valore della partecipazione a manifestazioni come quella di sabato scorso.

Quella che ha avuto luogo a Milano è stata forse la più netta smentita dell’ideologia dominante. Le sessantamila persone che si sono radunate in piazza, senza peraltro avere alle spalle le strutture di grandi organizzazioni politiche e sindacali, hanno non solo dato corpo ad una grande azione collettiva, ma la collettività stessa ha tratto nutrimento dalle diversità, dalle esperienze e dai percorsi di vita che in essa sono confluiti.

In effetti è difficile pensare ad una composizione più variegata: anziani militanti hanno sfilato a fianco di giovani studenti, lavoratori precari a fianco di intere famiglie, i figli dell’immigrazione accanto alle mamme che, sorridenti, hanno portato i loro bambini alla loro prima manifestazione.

Quella che ha sfilato per le vie di Milano è stata una società davvero multiculturale, multietnica, multigenerazionale, multireligiosa. Una società che ha respinto la paura del diverso e ha trovato una ragione comune di lotta nella battaglia per la giustizia e la libertà della Palestina.

A questo riguardo, la questione palestinese è stata ed è molto di più di una semplice occasione di mobilitazione. La Palestina, non solo a livello simbolico, ma nella sua carne viva, reca i segni delle più profonde ingiustizie di cui il mondo a guida occidentale è stato capace dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Dalla pulizia etnica iniziata nel 1948 e mai terminata all’occupazione militare che perdura da oltre mezzo secolo in Cisgiordania, a Gaza e a Gerusalemme, dalla continua espropriazione della terra fino al genocidio oggi in corso, da ottant’anni i palestinesi vivono sulla loro pelle, e nella loro quotidianità, l’ingiustizia di essere colonizzati, l’ingiustizia del non avere istituzioni capaci di garantire i loro diritti, l’ingiustizia di poter essere torturati e uccisi per il capriccio dei colonizzatori, l’ingiustizia dell’essere sfruttati a beneficio degli oppressori, l’ingiustizia della povertà e della miseria, l’ingiustizia di essere ridotti a oggetti disumanizzati del racconto dei carnefici anziché soggetti che scrivono le propria storia, l’ingiustizia, infine, di una precarietà che fa tutt’uno con l’esistenza stessa.

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La sorte che è stata assegnata alla Palestina, con la complicità manifesta o il silenzio ipocrita delle élites occidentali, è l’ombra più oscura e violenta del sistema di potere che ha dominato il mondo negli ultimi decenni. Schierarsi dalla parte del popolo palestinese significa quindi guardare senza scuse la profondità di questo abisso e fare i conti con il male che si annida anche nella nostra parte di mondo, anche e soprattutto quando pretende di essere faro di libertà e giustizia. La Palestina è la grande obiezione alla narrazione ideologica dell’occidente, lo scoglio su cui naufraga e va in mille pezzi, e proprio per questo (anche per questo) media e politica sono disposti a tutto pur di tenerla lontana dai riflettori.

La novità odierna è però che il sistema di potere internazionale che abbiamo finora conosciuto, quello a guida statunitense, sta sempre più velocemente declinando e nuove potenze in ascesa, a cominciare dalla Cina, daranno il proprio nome al nostro secolo. È in questa congiuntura che, nonostante lo zelo dei tutori dell’ordine costituito, le ingiustizie riversate sulla Palestina possono finalmente emergere per ciò che sono, ossia la verità oscena di un occidente che mai ha rinunciato alle proprie pulsioni di dominio coloniale e razzista.

La consapevolezza di questi fatti e di queste dinamiche ha compiuto molti passi in avanti negli ultimi diciotto mesi, ma ciò che più conta è un aspetto supplementare che finora non era mai stato compreso in termini chiari, vale a dire che la battaglia per la liberazione della Palestina è anche, inscindibilmente, la battaglia per la liberazione dell’occidente stesso.

Perché ciò che le nostre élites hanno sempre finto di non comprendere è che la decolonizzazione non è qualcosa che riguarda soltanto i popoli colonizzati, ma anche e soprattutto le società e i sistemi di potere dei colonizzatori. Decolonizzare non significa soltanto togliere un’occupazione violenta, ma smantellare le infrastrutture materiali e le sovrastrutture ideologiche responsabili del mantenimento sotto altra specie di analoghi rapporti di dominio.

Chi scende in piazza a sostegno di una Palestina finalmente libera lo fa oggi con la coscienza che la Palestina libera potrà liberarci a sua volta. Ecco perché le nostre élites, consapevoli che la posta in gioco è il loro stesso potere, sono disposte a tutto per impedire che le mobilitazioni continuino. Ma è proprio per questo che la lotta non può fermarsi, ed è per questo che i sessantamila di Milano sono una speranza per il nostro futuro.

(The Palestine Chronicle)

- Stefano Marengo è studioso di filosofia e militante politico. Ha pubblicato saggi e articoli sul pensiero di Michel Foucault e sulla filosofia francese contemporanea. Attualmente le sue ricerche vertono su temi di epistemologia e filosofia politica: marxismo, crisi del paradigma della statualità, globalizzazione, critica postcoloniale, pensiero politico islamico. Ha contribuito questo articolo per il Palestine Chronicle Italia.

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