By Romana Rubeo
Tragicamente, all’alba di lunedì, due di quegli stessi, adorati bambini, sono stati uccisi insieme a Wafa e a suo marito in un attacco aereo israeliano su Deir Al-Balah, nella Striscia di Gaza centrale.
Il 29 luglio 2018 ho ricevuto un’e-mail da una giovane giornalista di Gaza, Wafa Aludaini, con l’oggetto: “Guardavo il cecchino negli occhi quando mi ha sparato – La storia di una madre ferita durante la Grande Marcia del Ritorno”.
Era la prima volta che Wafa mi contattava e fui subito colpita dalla forza della sua storia, che lei voleva pubblicare sul Palestine Chronicle.
Non avevamo mai parlato prima, non aveva partecipato alle nostre riunioni di redazione e non conosceva ancora la nostra idea di giornalismo.
Eppure, la sua storia era esattamente ciò che cercavamo: una narrazione diretta e cruda dal cuore della Palestina, raccontata con la voce del suo popolo, non contaminata da stereotipi o vittimismi.
Wafa aveva colto l’essenza del motivo che ci spinge ad andare avanti nel nostro lavoro: amplificare le voci dei palestinesi, permettendo loro di raccontare le loro esperienze con le loro stesse parole.
Naturalmente abbiamo pubblicato la storia e sin da subito, io e Wafa abbiamo sviluppato un legame profondo.
Man mano che la conoscevo, ho scoperto che Wafa non era solo una narratrice: lei era la storia.
“Sono una giornalista”, ci ha detto in un’intervista, “ma sono anche una rifugiata palestinese”.
Il nostro legame è cresciuto nel tempo, costruito sul rispetto reciproco e sulla condivisione di elementi di vita professionale e personale: il nostro lavoro, i suoi figli e i suoi viaggi settimanali in prima linea durante la Grande Marcia del Ritorno.
Ogni venerdì, indossando il suo giubbotto con la scritta ‘Press’ – un simbolo di protezione quasi ovunque nel mondo, ma non a Gaza – si recava alla barriera che separa Gaza da Israele. Lì trovava le storie della sua gente.
Il punto di vista femminile di Wafa era fondamentale. Non solo è stata una giornalista autorevole, ma ha anche conferito potere ad altre donne, dando loro una piattaforma per condividere le loro voci.
È stata la fondatrice del gruppo 16 ottobre e si è dedicata a fare da mentore ai giovani professionisti dei media di Gaza, sottolineando in particolare la centralità della verità nei reportage.
Ho avuto il privilegio di lavorare con lei attraverso il Palestine Chronicle, e abbiamo condotto seminari per giovani donne di Gaza. Queste donne, ispirate da Wafa, erano determinate a raccontare le proprie storie, non a lasciare che altri le raccontassero per loro.
Un momento in particolare mi è rimasto impresso. Durante la guerra del 2021, ho invitato Wafa a partecipare a un episodio di un podcast in italiano.
Tra i continui attacchi aerei israeliani, Wafa parlava in diretta da Gaza. Il rombo dei caccia israeliani era incessante e, sebbene il pubblico non potesse vederlo, i suoi figli erano con lei.
Lei parlava con calma e fermezza, la voce incrollabile, mentre esponeva la realtà della vita sotto i bombardamenti. Tra una pausa e l’altra, si rivolgeva ai suoi figli e li rassicurava con calma, dicendo: “Shhh, sono solo fuochi d’artificio”.
Tragicamente, all’alba di lunedì 30 settembre, due di quegli stessi, adorati bambini, sono stati uccisi insieme a Wafa e a suo marito in un attacco aereo israeliano su Deir Al-Balah, nella Striscia di Gaza centrale.
Wafa era più di una giornalista: era un simbolo di resilienza. Come donna, madre, giornalista e voce del popolo palestinese, ha incarnato la sua lotta per la giustizia e la dignità.
Al Palestine Chronicle saremo sempre grati per l’opportunità di lavorare con una persona coraggiosa e stimolante come lei.
Continueremo a onorare la memoria di Wafa sostenendo il suo impegno per la verità e faremo di tutto per portare avanti la sua eredità nel dare forza alle voci che meritano di essere ascoltate.
(The Palestine Chronicle)
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