In memoria di John Pilger, amico della Palestina e di tutte le nazioni oppresse

(Image: Palestine Chronicle)

By Ramzy Baroud

L’unica volta che ho incontrato John Pilger di persona, è stato nel 2018. Ero stato invitato a tenere un discorso al Parlamento del NSW a Sydney, in Australia. 

C’erano molti spettatori che conoscevo e rispettavo: tra i quali un ex Ministro degli Esteri, parlamentari coscienziosi, intellettuali, attivisti moralmente ben guidati e così via.

 Quando ero sul podio, guardando la folla, ho visto John Pilger. Aveva un grande sorriso sul volto, quasi fosse in attesa di sentirmi parlare. A dire il vero, avrei preferito ascoltare John piuttosto che tenere una conferenza davanti a lui.

 Nell’esprimere innumerevoli ringraziamenti, ho tenuto a sottolineare di aver modellato il mio modo di fare giornalismo su quello di John Pilger.

 La dolorosa verità è che, essendo cresciuti in un campo profughi di Gaza, raramente ci siamo affiliati ai media occidentali, intellettuali o giornalisti, anche quando dicono la verità. Nel tempo, ci siamo resi conto che questo presupposto non era affatto giusto, nonostante associare pregiudizi a tutto l’Occidente avesse una giustificazione logica.

 A parte la tipica narrativa mediatica distorta sulla Palestina, il Medio Oriente, il mondo arabo e musulmano, in realtà, nel Sud del mondo c’era chi veniva identificato come parte della “sinistra”.

Ci è stato detto che i personaggi di sinistra sono l’eccezione alla regola. Ma l’esperienza mi ha insegnato che, sfumature a parte, anche la cosiddetta sinistra vedeva il globo “non- occidentale” basandosi su una serie di pregiudizi.

Percepivano una parte di mondo osservandolo con occhi giudicanti, come se loro, solo loro, avessero un codice morale con il quale filtrarci. 

 Certi individui “di sinistra” sono contrari solo ad alcuni tipi di guerre, soprattutto se le percepiscono come interventi militari da incanalare nelle agende imperialiste. Per loro, così umanitari, l’intervento è moralmente giustificato, anche se non vi è alcuna prova che si tratti di invasioni occidentali di qualsivoglia utilità per il dato paese.

 Questo ragionamento ha scarso impatto sull’esito internazionale dei conflitti. Peggio ancora, alcuni esponenti della sinistra si ritrovano spesso dalla parte degli imperialisti, alleati del potere che presumibilmente dovrebbero detestare, ogni qualvolta gli risulti conveniente.

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E poi ci sono i John Pilger nel mondo, uomini dai saldi principi, fino al midollo, capaci di far comprendere a milioni di persone tutte le complessità politiche, culturali e storiche dei conflitti mondiali, attraverso l’analisi.  

 “Siamo invitati a guardare il mondo attraverso uno specchio unidirezionale, come se fossimo minacciati e innocenti, mentre il resto dell’umanità è minaccioso, miserabile, sacrificabile”, diceva Pilger durante il suo discorso per il “Premio per la Pace” di Sydney, nel 2009.

 Per il giornalista di origine australiana, uomo di enorme impatto per la comprensione dei principali eventi globali e dei conflitti nella storia moderna, queste non erano semplicemente parole, ma principi ai quali si è attenuto per tutta la vita, fino alla sua scomparsa, il 30 dicembre.

 Nel suo libro e documentario “The New Rulers of the World”, Pilger connette in modo brillante i punti delle principali questioni globali: l’ingiustizia sociale, la disuguaglianza, la cosiddetta guerra al terrorismo (e altro ancora), a dimostrazione della potente massima  “L’ingiustizia ovunque, è una minaccia per la giustizia ovunque”.

I nemici di Pilger non sono stati una determinata razza, una nazione e nemmeno un’ideologia. Lui ha svolto semplicemente il ruolo di critico acuto e, a volte, di attivista contro tutti i governi e tutte le ingiustizie orchestrate, sia all’interno dei confini nazionali che a livello internazionale.

 Ha sfidato l’imperialismo in ogni sua forma, il colonialismo ovunque si trovasse. Ha contrastato apertamente  Washington, Canberra, Londra, e altre capitali occidentali. 

 La sua dedizione alle cause delle popolazioni indigene, dall’Australia alla Palestina, all’Indonesia, ha dato vita a grandi libri e documentari, come “Utopia”,“La Palestina è ancora il problema” e “I nuovi governanti del mondo”.

 I potenti testi di Pilger come accademico, autore e giornalista non devono distrarre dai suoi documentari, altrettanto potenti e incisivi, nel ruolo di regista. 

Ha ottenuto numerosi premi, molto importanti, come regista, a cominciare da “The Quiet Mutiny”,  film di grande impatto per il modo con cui milioni di persone, in tutto il mondo, hanno cominciato a percepire problemi, conflitti e guerre, attraverso il suo sguardo lucido.

 “Molti giornalisti oggi non sono altro che canali, e casse di risonanza, di quel che George Orwell chiamava la “verità ufficiale”. Semplicemente decodificano e trasmettono bugie”, ha detto durante un’intervista con David Barsamian nel 2007.

A volte, alcuni intellettuali del calibro di Pilger possono essere fuorviati dal loro impegno verso un codice morale integerrimo del giornalismo.

L’eredità di Pilger suggerisce il contrario.

 Si è schierato fermamente dalla parte delle persone oppresse, si è espresso con forza contro le ingiustizie dei potenti, e ha difeso senza compromessi la libertà di parola ogni volta che è stato minacciato.

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Pilger è stato uno dei più forti sostenitori di Julian Assange, contro la censura in ogni forma.

 “Non si tratta della sopravvivenza di una stampa libera. Non esiste più una stampa libera. (…) La questione fondamentale è la giustizia, e il nostro diritto umano più prezioso: essere liberi”, scriveva Pilger in un articolo del luglio 2023.

Prima del nostro incontro avevo scambiato molti messaggi con John. La prima volta aveva risposto alla mia richiesta di approvazione per un libro, ero davvero entusiasta. Mi aveva commosso la sua gentile risposta, rivolta a un giovane autore che stava semplicemente iniziando la ricerca di un mondo giusto.

Molti messaggi, e molti anni dopo, finalmente ci siamo incontrati di persona. Mi ero diretto rapidamente verso di lui, attraverso la folla, per ringraziarlo di tutto ciò che ha fatto per la Palestina, e per i popoli oppressi.

La sua morte, soprattutto durante questi tempi difficili, è una grave perdita per l’umanità. 

Ma io so che, nel profondo, John era certo che le cose, alla fine, sarebbero migliorate.

Lui ha fatto la sua parte, e anche di più.

 

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

- Ramzy Baroud is a journalist and the Editor of The Palestine Chronicle. He is the author of six books. His latest book, co-edited with Ilan Pappé, is “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Dr. Baroud is a Non-resident Senior Research Fellow at the Center for Islam and Global Affairs (CIGA). His website is www.ramzybaroud.net

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