Il genocidio genera genocidio: Rafah aspetta la sua sorte

(Photo: Mahmoud Ajjour, The Palestine Chronicle)

By Jeremy Salt

In modo vergognoso, e favorendo l’autore del reato, i governi occidentali continuano a chiudere gli occhi, mentre Rafah attende il suo turno, consapevole della sorte che l’attende

In Palestina, i discendenti delle vittime di un genocidio sono ora accusati di genocidio. Resta da vedere se l’accusa “plausibile” verrà infine accolta dalla Corte Internazionale di Giustizia, e intanto possiamo vedere, in diretta mondiale ogni giorno, le conseguenze terrificanti di ciò che sta facendo Israele.

Gaza è “inabitabile”, afferma Martin Griffiths, capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA); Gaza è “andata”, dice Medici Senza Frontiere.

Centinaia di migliaia di abitanti di Gaza sono stati spinti nel sud, vicino al confine egiziano: quasi 30.000 uomini, donne e bambini sono stati uccisi negli attacchi missilistici e terrestri israeliani. Migliaia di altri corpi morti giacciono sotto macerie che possono essere rimosse solo a mano, perché non c’è carburante per le macchine.

Non c’è nemmeno l’anestesia per gli ospedali, la maggior parte dei quali sono stati bombardati, ripetutamente. La maggior parte è ormai chiusa, o impossibilitata a ricevere nuovi pazienti. I bambini feriti vengono curati su pavimenti imbrattati di sangue, perché non ci sono più letti.

I morti vengono sepolti all’interno dei complessi ospedalieri, perché chiunque e ovunque può essere bersaglio di attacchi missilistici. Ovunque in prossimità dell’ospedale o all’uscita, è probabile che il personale, i pazienti e i familiari vengano colpiti da armi da fuoco.

Vergognosamente, favorendo l’autore del reato, mentre Rafah attende il proprio turno, i governi occidentali continuano a chiudere gli occhi su tutto questo, consegnando la propria civiltà e leggi fasulle nella spazzatura della storia.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riferito di recente che, dal 7 ottobre, l’esercito israeliano ha lanciato 378 attacchi contro strutture sanitarie a Gaza, uccidendo 659 persone (340 dipendenti e 319 civili) e distruggendo quasi 100 ambulanze. Dal 2019 al 2021, riferisce l’OMS, l’esercito di occupazione ha effettuato 563 attacchi contro strutture sanitarie a Gaza e in Cisgiordania, quindi non c’è nulla di aberrante nell’attuale ondata di distruzione.

L’obiettivo principale al momento è l’ospedale Nasser di Khan Yunis, assediato da carri armati e soldati che sparano anche attraverso le finestre dell’ospedale da breve distanza, e terrorizzando il personale e i pazienti con minacce e abusi.

Recentemente, in un evento particolarmente spregevole, i soldati hanno mandato in ospedale un giovane palestinese avvolto in una veste bianca, con i polsi legati e una finta corona di carta gialla in testa, per comunicare a tutti di andarsene. Quando è uscito, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco, assassinato dagli stessi soldati israeliani.

Il giallo era il colore della stella che gli ebrei sono stati costretti a indossare dai nazisti durante il loro genocidio. L’intenzione era quella di schernire i palestinesi o, nella mente di questi assassini, il giallo era inteso a mandare un messaggio ai palestinesi che significa “ora tocca a voi”?

Solo alla fine di dicembre, i casi di diarrea tra i bambini erano aumentati del 50%, come riferito dall’UNICEF; Il 90% dei bambini sotto i due anni soffriva di “grave povertà alimentare”. La salute di oltre 155.000 donne incinte, o in allattamento era a rischio per le stesse ragioni. 

All’inizio di gennaio 2024, il 70% delle abitazioni a Gaza – 300.000 su 439.000 abitazioni – insieme a centri commerciali, panifici, chiese, moschee e oltre 200 siti storici e archeologici, erano stati distrutti. Quasi tutti gli edifici che non sono stati completamente rasi al suolo, sono troppo danneggiati per essere riparati.

Vivono in tende, senza riscaldamento e con poco cibo. Stanno inventando una sorta di farina dal mangime degli uccelli. I sistemi idrici, sanitari e igienico-sanitari essenziali, sono stati danneggiati o distrutti e le malattie si stanno diffondendo. Terrorizzati, a malapena in grado di sopravvivere, tutti aspettano che il regime israeliano decida quando scatenare la prossima ondata di terrore su Rafah.

L’uccisione e la distruzione si adattano alla definizione di “necropolitica” di Achille Mbembe, intesa come condizioni di vita che riducono una popolazione soggiogata allo status di morto vivente. Tutto ciò non è casuale, ma deliberatamente imposto. Altre descrizioni sarebbero “sociocidio” e “urbanicidio”, e tutte si sommano al genocidio.

In Cisgiordania, sono stati uccisi dal 7 ottobre centinaia di palestinesi, da soldati, coloni e da attacchi di droni contro i campi profughi. 

Migliaia di persone sono state rapite dai soldati israeliani: molti sono in “detenzione amministrativa”. Il loro trattamento è una replica dell’umiliazione accumulata a Gaza.

Secondo l’OCHA, i soldati israeliani si sono filmati e fotografati “abusando, degradando e umiliando i palestinesi, spogliando gli uomini nudi o seminudi, bendandoli, ammanettandoli e abusando fisicamente di loro, lasciandoli urlare di dolore. Sono stati umiliati, costretti a posare con la bandiera israeliana, a cantare canzoni in ebraico e ballare con i soldati.

“Non si deve lasciare un solo villaggio”

Lo sradicamento di Gaza non è casuale, ma deliberato, è il prodotto finale, ma forse andrà anche peggio, di un processo iniziato alla fine del XIX secolo con Theodor Herzl e la sua idea di creare uno stato ebraico in una terra già popolata da qualcun altro.

In una nota citazione, nel suo diario scrisse che la sua “popolazione squattrinata” veniva “portata fuori” nei confini della Palestina, con un colpo di fischietto. La “terra senza popolo per un popolo senza terra”, famoso slogan sionista, era una menzogna, nella migliore delle ipotesi un’illusione. Herzl sapeva che gli “arabi” erano lì, e lo sapevano anche i leader del movimento sionista che lo seguirono.

Nonostante le pubbliche dichiarazioni riguardo il non voler fare alcun male, il problema per la leadership sionista non era come convivere con i palestinesi ma come vivere senza di loro, cioè come sbarazzarsi di loro.

Solo nella privacy dei loro diari e delle loro lettere David Ben-Gurion, e altri, rivelarono le vere intenzioni. Così Joseph Weitz, responsabile polacco dell’ufficio per la terra e l’imboschimento del Fondo Nazionale Ebraico (JNF), aveva scritto nel suo diario “deve essere chiaro che in questo paese non c’è spazio per entrambi i popoli. Non c’è altro modo che trasferire gli arabi da qui ai paesi vicini, trasferirli tutti. Non deve essere lasciato un solo villaggio, nemmeno una tribù”.

Ben-Gurion, futuro Primo Ministro, considerava la spartizione solo come un primo passo verso la creazione di uno stato ebraico su tutta la Palestina. Quando incontrava resistenza, ad esempio nel Naqab (Negev), diceva “dobbiamo espellere gli arabi e prendere il loro posto”. Nel febbraio 1948 scriveva che “La guerra ci darà la terra. I concetti di “nostro” e “non nostro” sono solo concetti di pace, in guerra perdono tutto il significato”.

La leadership sionista sapeva che “gli arabi” avrebbero resistito, e iniziò presto i preparativi paramilitari con la creazione del movimento Watchtower, per proteggere le loro colonie.

Negli anni ’30 la resistenza palestinese si rivolgeva contro la Gran Bretagna, che aveva consegnato la Palestina ai sionisti e aveva dato loro posizioni di rilievo nel regime di occupazione, compresa “l’immigrazione” e la legge.

Le truppe britanniche furono rafforzate, e la rivolta palestinese del 1936-39 fu repressa attraverso la forza militare, la punizione collettiva e l’esecuzione dei “ribelli”. Circa 6000 palestinesi, tra cui Shaikh Izz al Din al Qassam, e molti altri che avrebbero guidato i palestinesi nel 1948, furono uccisi.

Ancora numericamente deboli, i sionisti dichiararono la dottrina della havlagah (moderazione), ma alla fine degli anni ’30 lanciarono barili bomba sui mercati palestinesi, uccidendo dozzine di persone.

Sempre più spesso, con una guerra europea all’orizzonte e la Gran Bretagna che si allontanava da alcune politiche filosioniste più estreme, le stazioni di polizia e i soldati britannici, così come la popolazione indigena, divennero obiettivi delle milizie sioniste.

Nel 1944, Lord Moyne, Ministro di Stato britannico per il Medio Oriente, fu assassinato al Cairo da agenti del movimento Lehi, poi della banda Stern, collaboratore dell’Irgun nel massacro dei palestinesi di Deir Yassin (uno dei tanti) nel 1948. Moyne era amico di Churchill, e Churchill rimase scioccato dall'”ingratitudine” di un movimento che aveva sostenuto con forza per così tanto tempo, culminato nel “fumo delle pistole degli assassini”.

Nel 1948 i sionisti si sentirono abbastanza forti da entrare in guerra, per prendere ciò che volevano. Non erano circondati da un “anello d’acciaio” arabo, sapevano che gli stati arabi erano deboli, scarsamente armati e dominati dalle potenze imperialiste, o dipendenti da esse per gli aiuti economici e militari.

Bullismo alla Casa Bianca

Parlando della minaccia di sterminio, Chaim Weizmann, che sarebbe poi stato il primo presidente di Israele, era fiducioso di vincere contro le forze arabe inviate in Palestina.

Il piano del 1947 aveva raccomandato la spartizione della Palestina in Stati arabi ed ebrei, con la parte più piccola destinata alla popolazione nativa numericamente dominante, e la parte maggiore ai coloni colonialisti europei.

In un’epoca in cui l’autodeterminazione e la decolonizzazione erano principi guida alle Nazioni Unite, la risoluzione sulla spartizione presentata all’Assemblea Generale non sarebbe mai stata approvata – come è avvenuto, a maggioranza– se non fosse stato per il bullismo della Casa Bianca contro le delegazioni vulnerabili.

La guerra del 1948 fu una guerra necessaria per i sionisti, dato che a quel tempo erano riusciti ad acquistare solo il 5-6% della terra.

Inoltre, se i termini di riferimento della risoluzione sulla spartizione fossero stati rispettati, lo “Stato ebraico” avrebbe avuto al suo interno un numero di musulmani e cristiani palestinesi, quasi pari a quello degli ebrei. In una situazione del genere uno “Stato ebraico democratico, sarebbe stato una contraddizione”. I palestinesi dovevano essere allontanati, e per farlo era necessaria una guerra.

Tra l’inizio del 1948 e la firma degli accordi di tregua nel 1949, i sionisti conquistarono il 78% della Palestina, il 24% in più di quanto era stato assegnato allo “Stato ebraico” nel 1947. Tuttavia, vincere la guerra non fu sufficiente. Perché il programma sionista potesse avere successo, la Palestina doveva essere sradicata.

La storia della Nakba – o della sua prima fase della– è nota, non c’è bisogno di ripeterla, tranne che per la parte peggiore. Circa 800.000 palestinesi hanno subito pulizia etnica, sono stati espulsi in Libano, Siria, Giordania e Gaza. Circa 500 dei loro villaggi furono distrutti, tutte le loro terre sequestrate e la metà occidentale di Gerusalemme occupata, prima che il cessate il fuoco impedisse ai sionisti di prendersi tutto.

Weizmann si era rallegrato della fuga dei palestinesi, e della grande quantità di terreni agricoli a loro sequestrati, e aveva descritto la Nakba come una “miracolosa semplificazione del compito di Israele”. Il fatto che tutto fosse caduto nelle mani di Israele, era un ulteriore motivo di celebrazione.

Negli anni ’50 Israele iniziò a lanciare attacchi spietati contro Gaza, allora nelle mani dell’Egitto, Gaza è stata sempre – chiunque fosse al comando – un punto focale delle operazioni militari israeliane.

In quanto stato militare deciso a consolidare la propria occupazione, e l’insediamento in Palestina, Israele poteva sopravvivere solo schiacciando chiunque si mettesse sulla sua strada, attraverso guerre, incursioni militari, omicidi all’interno della Palestina e anche oltre i confini. Questa tattica non è cambiata in 75 anni.

Particolarmente terrificanti

La distruzione e le atrocità, a cui stiamo assistendo adesso, contro la Striscia di Gaza sono particolarmente terrificanti perché sono peggiori di tutto quel che abbiamo visto prima, ma non perché Israele non si sia mai comportato così. Gli oltraggi precedenti includono massacri nei paesi circostanti, compreso il Libano, dove quasi 20.000 civili palestinesi e libanesi furono uccisi durante l’assalto israeliano del 1982.

La ferocia di Beirut includeva il massacro di 1.200-3.000 palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila, da parte della guardia fascista libanese israeliana. Israele era pienamente responsabile dell’operazione. Circondava i campi, organizzava gli assassini e li introduceva nei campi, illuminandoli di notte.

Il genocidio dei palestinesi è stato incrementale e perseguito con violenza, con mezzi semi-legali e illegali, anzi, con qualsiasi mezzo che potesse avvicinare Israele all’obiettivo di assorbire tutta la Palestina. La Nakba non è stato un evento singolo nel 1948, ma una serie di eventi, realizzati in modo incrementale.

Nel 1967 un’altra guerra lanciata da Israele diede l’opportunità di scacciare 350.000 palestinesi – molti già rifugiati dal 1948 – dalla Cisgiordania alla Giordania, o dalle alture di Golan siriane occupate. La colonizzazione delle terre occupate nel 1967 è continuata incessantemente, nel totale disprezzo del diritto internazionale da parte di Israele.

Il “processo di pace” degli anni ’90 era stato tutto processo e niente pace, una farsa ben pubblicizzata che ha lasciato i palestinesi in condizioni peggiori di prima, creando un quadro che ha consentito a Israele di continuare a espandere gli insediamenti. 

In Cisgiordania una “Autorità Palestinese” collaborazionista aveva azzardato un tentativo, il progetto delle “lega dei villaggi”, alla fine degli anni ’70, per dare un’impronta palestinese all’occupazione.

A Gaza il governo di Hamas, democraticamente eletto, governa dal 2006, nonostante gli sforzi congiunti di Israele, Autorità Palestinese e Stati Uniti per distruggerlo. Negli ultimi 15 anni Gaza è stata selvaggiamente attaccata più volte, con migliaia di civili uccisi, tra cui diverse centinaia di bambini in ogni occasione.

Gli attacchi di Israele hanno avuto le stesse conseguenze in Libano. Mai Israele è stato punito in qualche modo per le violazioni al diritto internazionale; nessuno di questi attacchi ha mai provocato indignazione, tanto meno quella scatenata dall’operazione militare di Hamas, dopo 75 anni di occupazione, il 7 ottobre 2023.

La dichiarazione del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha definito il 7 ottobre come un evento che “non è avvenuto dal nulla” è stata un eufemismo. I palestinesi combattono contro l’occupazione della loro terra da quando il governo britannico decise di dare ciò che non possedeva ai sionisti, nel 1917.

I palestinesi non hanno combattuto a intermittenza, ma letteralmente ogni giorno, rendendo la loro resistenza una delle più lunghe nella storia, se non la più lunga. La loro determinazione nel far valere i propri diritti e nel lottare è straordinaria. 

Anche se avessero accettato lo stato ebraico sulla loro terra, Israele non avrebbe avuto il diritto, ai sensi di alcuna legge o risoluzione delle Nazioni Unite, di scacciarli. I loro diritti rimangono intatti, oggi come nel 1948. Niente di quel che fa Israele può cancellarli.

Gli insediamenti, dall’altra parte della recinzione di Gaza, sono stati costruiti su terreni da cui i palestinesi hanno subito pulizia etnica nel 1948. I coloni sanno, o dovrebbero sapere, che vivono su terreni appartenenti a persone costrette a vivere come rifugiati a pochi chilometri di distanza.

Uno degli insediamenti attaccati il ​​7 ottobre è stato Sderot, i cui residenti solo pochi anni fa erano seduti di notte su sedie da giardino, ad applaudire l’ultimo round di distruzione di Gaza dall’alto, da parte dell’esercito israeliano. Ora alcuni sono morti. Alcuni di questi morti, potrebbero essere stati seduti su quelle sedie.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

– Jeremy Salt ha insegnato presso l'Università di Melbourne, alla Bosporus University di Istanbul e alla Bilkent University di Ankara per molti anni, specializzandosi in storia del Medio Oriente. Tra le pubblicazioni più recenti figura il suo libro The Unmaking of the Middle East. Ha contribuito questo articolo al Palestine Chronicle.

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