Il diritto internazionale a un bivio: Gaza cambierà il metro di giudizio globale?

Gaza has been enduring genocide for the past 16 months."(Photo: via QNN)

By Ramzy Baroud

C’è un lato positivo, anzi un’opportunità per il sistema giuridico e politico internazionale di essere riformato sulla base di nuovi principi.

Il diritto internazionale sta lottando per mantenere la sua rilevanza. L’esito di questa battagliaa è destinato a cambiare le dinamiche politiche globali, che sono state modellate dalla Seconda Guerra Mondiale e sostenute attraverso l’interpretazione selettiva della legge da parte dei paesi dominanti.

In linea di principio, il diritto internazionale avrebbe sempre dovuto essere rilevante, anzi fondamentale, nel regolare i rapporti tra tutti i paesi, grandi e piccoli, per risolvere i conflitti prima che sfocino in guerre aperte. Avrebbe anche dovuto agire per prevenire il ritorno a un’epoca di sfruttamento, quella che ha permesso al colonialismo occidentale di ridurre in schiavitù il sud del mondo per secoli.

Purtroppo, il diritto internazionale, che teoricamente doveva incarnare il consenso globale, è stato raramente dedicato alla pace o sinceramente impegnato nella decolonizzazione del sud.

Dall’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan alla guerra in Libia e a numerosi altri esempi, passati e presenti, le Nazioni Unite sono state spesso utilizzate come piattaforma per imporre la volontà dei forti sui deboli. E ogni volta che i paesi più piccoli si sono uniti nella loro opposizione, come accade spesso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, quelli con potere di veto, forze militari ed economiche hanno usato il loro vantaggio per coartare il resto sulla base della legge del più forte.

Non dovrebbe quindi sorprendere che molti intellettuali e politici del sud globale sostengano che, a parte le parole di circostanza su pace, diritti umani e giustizia, il diritto internazionale è sempre stato irrilevante.

Questa irrilevanza è stata messa in piena evidenza durante i 15 mesi di una guerra genocida incessante israeliana contro Gaza, che ha ucciso e ferito oltre 160.000 persone, un numero che, secondo numerosi studi e riviste mediche credibili, è destinato a salire in modo drammatico.

Tuttavia, quando la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha aperto un’inchiesta sul plausibile genocidio a Gaza il 26 gennaio, seguita da una decisione decisiva il 19 luglio riguardante l’illegalità dell’occupazione israeliana della Palestina, il sistema internazionale ha cominciato a mostrare un battito, per quanto fievole. I mandati d’arresto della Corte Penale Internazionale (CPI) sono stati un altro segno che le istituzioni legali centrate sull’Occidente sono capaci di cambiamento.

La risposta indignata degli Stati Uniti era prevedibile. Washington si è opposta al principio di responsabilità sovranazionale per molti anni. Il Congresso degli Stati Uniti, sotto l’amministrazione di George W. Bush, già nel 2002, ha approvato una legge che proteggeva i soldati americani “da procedimenti penali” da parte della CPI, alla quale gli Stati Uniti non sono parte.

Il cosiddetto Hague Invasion Act autorizzava l’uso della forza militare per salvare cittadini o membri delle forze armate americane detenuti dalla CPI.

Naturalmente, molte delle misure adottate da Washington per fare pressione, minacciare o punire le istituzioni internazionali sono state legate alla protezione di Israele sotto vari pretesti.

L’indignazione globale e le richieste di responsabilità a seguito del genocidio israeliano a Gaza, tuttavia, hanno messo nuovamente i governi occidentali sulla difensiva. Per la prima volta, Israele ha affrontato quel tipo di giudizio che lo ha reso, sotto molti aspetti, uno stato paria.

Invece di riconsiderare il loro approccio verso Israele e astenersi dall’alimentare la macchina da guerra, molti governi occidentali si sono scagliati contro la società civile, che si limitava a chiedere l’applicazione del diritto internazionale. Tra i bersagli vi erano i difensori dei diritti umani affiliati alle Nazioni Unite.

Il 18 febbraio, la polizia tedesca ha fatto irruzione nella sede di Junge Welt a Berlino come se stessero per arrestare un criminale di alto profilo. Hanno circondato l’edificio in equipaggiamento completo, dando vita a un dramma bizzarro che non avrebbe mai dovuto avere luogo in un paese che si considera democratico.

Il motivo dietro questa mobilitazione di sicurezza era nient’altro che Francesca Albanese, avvocato italiano, critica aperta del genocidio israeliano a Gaza e attuale Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati.

Se non fosse stato per l’intervento delle Nazioni Unite, Albanese sarebbe potuta essere arrestata semplicemente per aver chiesto che Israele fosse ritenuto responsabile per i suoi crimini contro i palestinesi.

La Germania, però, non è un caso isolato. Altre potenze occidentali, tra cui in prima fila gli Stati Uniti, stanno partecipando attivamente a questa crisi morale. Washington ha preso provvedimenti seri e preoccupanti, non solo per proteggere Israele e se stessa dalla responsabilità verso il diritto internazionale, ma anche per punire le stesse istituzioni internazionali, i suoi giudici e i suoi funzionari, per aver osato mettere in discussione il comportamento di Israele.

In effetti, il 13 febbraio, gli Stati Uniti hanno sanzionato il procuratore capo della CPI a causa della sua posizione su Israele.

Dopo alcune esitazioni, Karim Khan ha fatto ciò che nessun altro procuratore della CPI aveva mai fatto prima: il 21 novembre ha emesso mandati d’arresto per due leader israeliani, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant. Attualmente sono ricercati per “crimini contro l’umanità e crimini di guerra”.

La crisi morale si approfondisce quando sono i giudici stessi ad essere accusati, poiché Khan si è trovato sulla difensiva di continui attacchi e abusi da parte dei media occidentali, oltre alle sanzioni degli Stati Uniti.

Per quanto inquietante sia tutto ciò, c’è un lato positivo, in particolare un’opportunità per il sistema giuridico e politico internazionale di essere riformato sulla base di nuovi standard, giustizia che si applica a tutti e responsabilità che si aspetta da tutti.

Coloro che continuano a supportare Israele hanno praticamente rinunciato al diritto internazionale. Le conseguenze delle loro decisioni sono gravi. Ma per il resto dell’umanità, la guerra di Gaza può essere quella stessa opportunità per ricostruire un mondo più equo, uno che non sia modellato dai potenti militari, ma dalla necessità di fermare le uccisioni insensate di bambini innocenti.

- Ramzy Baroud is a journalist and the Editor of The Palestine Chronicle. He is the author of six books. His latest book, co-edited with Ilan Pappé, is “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Dr. Baroud is a Non-resident Senior Research Fellow at the Center for Islam and Global Affairs (CIGA). His website is www.ramzybaroud.net

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