By Redazione Palestine Chronicle
Immaginiamo il Medio Oriente come un’aula scolastica, con bambini, ragazzini e bulli.
Per molti anni Riyadh è stato, in generale, solo un bambino molto ricco.
In classe, di solito, un tale soggetto è il più invidiato. Il rapporto con tutti gli altri compagni è, in gran parte, se non del tutto, legato alla sua ricchezza.
Per proteggere i soldi del pranzo, e il suo ambiente scolastico, ha bisogno di protezione, che gli viene offerta da un altro ragazzino, di nome Washington.
In verità, a Washington non piace Riyadh, ha poco, anzi quasi nessun rispetto per lui, per la sua cultura, per la sua religione e persino per il colore della sua pelle.
Che Riyadh lo sappia oppure no, non ha molta importanza.
Un giorno Washington, che offre protezione anche ad altri ragazzini ricchi della scuola, decide di cambiare classe.
Riyadh ne resta turbato, ma Washington gli dice di avere un buon amico, di nome Tel Aviv, che potrà fornirgli tutta la protezione necessaria. E gli fa notare che anche altri bambini in classe, Abu Dhabi, Manama e qualcun altro, hanno già accettato di associarsi al nuovo arrivato.
Quando Riyadh è pronto ad aderire al programma di protezione – che chiameremo normalizzazione – il più povero, e presumibilmente il più debole di tutti i bambini della classe, Gaza, si oppone a Tel Aviv.
La lotta, osservata da tutti i bambini della classe, non ha eguali nella storia di questa scuola. È violenta e sanguinosa, e durante lo scontro, non solo Gaza mantiene ferma la sua posizione, ma spesso ne esce vincitore.
Arriviamo, dunque, al sondaggio effettuato tra l’opinione pubblica saudita, condotto dal Washington Institute for Near East Policy, i cui risultati sono stati pubblicati giovedì 21 dicembre.
Israele debole
Ci sono tre punti principali su quali vale la pena soffermarsi, ma il terzo è il più significativo:
Uno: il 96% dei sauditi ritiene che “i paesi arabi dovrebbero interrompere immediatamente tutti i contatti diplomatici, politici, economici e di altro tipo con Israele, per protesta contro l’azione militare a Gaza”.
Significa che il popolo saudita non ha intenzione di normalizzarsi con Israele, ed è improbabile che lo riconsideri a breve. Quindi evapora lo schema di normalizzazione sponsorizzato da Washington.
Due: il 95% dei cittadini sauditi ritiene che Hamas non abbia ucciso civili durante l’operazione militare del 7 ottobre, e solo il 16% pensa che “Hamas dovrebbe smettere di invocare la distruzione di Israele e accettare una soluzione permanente a due Stati”.
Questi numeri indicano il totale sostegno alla Resistenza Palestinese, e la ferma volontà di sfidare la narrativa filoisraeliana, diffusa in gran parte dai media occidentali, che tentano senza sosta di incolpare la Resistenza Palestinese di massacri tra i civili.
Tre: la metafora più importante, e rilevante, per la nostra classe. L’87% dei sauditi ritiene che “i recenti fatti dimostrano che Israele è talmente debole, e diviso al suo stesso interno, da poter essere sconfitto”.
Uno degli aspetti principali della normalizzazione tra arabi e Israele, è la radicata convinzione che Israele sia così potente a livello regionale, da non poter essere sconfitto nemmeno da tutti gli eserciti arabi insieme.
Il 7 ottobre, e il successivo attacco israeliano su Gaza, hanno fatto crollare questa leggenda.
Oltre all’ormai diffusa opinione, tra tutti gli arabi, riguardo la debolezza di Israele, paese superato militarmente da Hamas, incapace di cambiare le regole del gioco contro Hezbollah, e schiacciato dalle sanzioni yemenite, gli arabi adesso vedono Israele come un paese facile da sconfiggere.
La barriera psicologica che Israele aveva costruito, grazie al sostegno e alla propaganda di Washington, è stata superata.
Affermando che Israele può essere battuto, i sauditi dichiarano, anche se non ancora in modo diretto, di far parte integrante dello sforzo collettivo per sconfiggerlo, e di essere coinvolti, quantomeno emotivamente, nella Resistenza arabo-palestinese.
Israele ancora spera ancora di poter contare su un accordo di protezione, ma il ragazzino saudita non ha più alcun motivo per sottoscrivere una pessima collaborazione.
Quindi, se il potenziale capobranco, aiutato da tutti i suoi amici prepotenti, non riesce più a proteggersi da Gaza, allora perché Riyadh, Abu Dhabi, Manama e altri, dovrebbero continuare nel percorso di normalizzazione? Quale beneficio potrà portare loro nell’immediato futuro, e nel lungo termine?
Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui.
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