“Donne e ragazze denunciano una grave mancanza di prodotti per l’igiene mestruale, casi di malattie sessualmente trasmissibili, infezioni del tratto urinario, e quasi nessuna possibilità di ricevere cure mediche adeguate”.
Questa la segnalazione giunta in un report dettagliato verso la fine di ottobre, nemmeno un mese dopo l’inizio del massacro contro la popolazione civile di Gaza, dall’Associazione PFPPA (Pianificazione e Protezione Familiare Palestinese) con sede a Gerusalemme, che indicava una seria crisi igienico sanitaria per gli sfollati interni.
Il team locale di PFPPA, nel tentativo di offrire una fornitura di servizi a Gaza, dichiarava:
“Le donne condividono pillole contraccettive, e quelle con contraccettivi intrauterini stanno subendo sanguinamenti e infezioni a causa delle condizioni dei campi. Al momento non ci sono opzioni per la rimozione dello IUD a Gaza, il che comporta rischi a lungo termine sulla salute riproduttiva delle donne, comprese gravi emorragie”.
Mentre Israele continua a bloccare gli aiuti umanitari, inclusi kit per il parto sicuro, oltre 50.000 donne incinte sono rimaste senza un posto sicuro dove partorire.
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Wafa Abu-Hasheish, un operatore sanitario del PFPPA a Gaza, aveva dichiarato:
“Il rifugio soffre di carenza d’acqua, mancanza di assistenza medica, e di malattie come influenza, infezioni al torace, ulcere cutanee, scabbia, pidocchi e malattie diarroiche, inoltre donne e ragazze segnalano disturbi mestruali.
“Se le donne incinte hanno la fortuna di raggiungere un centro sanitario o un ospedale, vengono ammesse quando sono completamente dilatate. E devono lasciare l’ospedale entro tre ore dal parto, a causa del sovraffollamento delle strutture ospedaliere, la mancanza di spazi e risorse”
Una recente inchiesta della giornalista Michela Chimenti riporta i dati di AJPlus, i quali indicano:
“Non era semplice, anche prima dell’attacco, trovare prodotti per le mestruazioni a Gaza. Al momento molte donne devono ricorrere a misure disperate, come assumere pillole che ritardano il ciclo, e utilizzare pannolini per neonati”.
La ricerca di Michela Chimenti racconta le parole di una donna di 41 anni, rifugiata a Deir Al Balah:
“Sono i giorni più difficili che abbia mai dovuto affrontare. Il mio ciclo è irregolare e soffro di forti emorragie”.
Ma il problema riguarda anche le adolescenti, continua il report, le quali attraverso l’utilizzo di farmaci per ritardare il ciclo, si espongono a rischi di effetti collaterali rilevanti come nausea, vertigini, infertilità a lungo termine, eccessivo sanguinamento vaginale e disturbi ormonali.
Nell’indagine, infine, Chimenti cita anche Bisan, l’ormai famosa giovane ragazza di Gaza che, dalla sua pagina Instagram, testimonia quotidianamente le difficoltà e gli orrori causati dall’attacco israeliano contro Gaza.
In un suo video, Bisan ha mostrato ai followers come è riuscita a costruire una toilette di fortuna all’interno di una tenda a Khan Yunis, in completa assenza di acqua, e della necessaria riservatezza.
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Conclude la Chimenti, “Ho iniziato ad occuparmi di questo tema nel 2016, in Nepal, ma il genocidio in corso a Gaza sta portando conseguenze gravissime anche riguardo un aspetto fisiologico come il ciclo mestruale, intrinsecamente legato alla dignità umana”.
United Nation Woman stima che circa un milione di donne siano state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni dal 7 ottobre, mentre UNFPA (Agenzia UN per la Salute Sessuale e Riproduttiva), che nel solo mese di dicembre sono previsti circa 160 parti al giorno.
I parti cesarei, come gli interventi chirurgici di emergenza, vengono effettuati senza anestesia e antidolorifici, in ambienti non sterili e con strumenti non sterilizzati.
Un gruppo di civili, in forma volontaria, sta provando a coordinarsi con i medici nella zona a sud della Striscia di Gaza, per una raccolta fondi destinata all’acquisto di vitamine per donne incinte, che soffrono di denutrizione e disidratazione, come riferito da un collaboratore del Palestine Chronicle.
(The Palestine Chronicle)
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