‘Devo andare avanti’ – Crescere un bambino ai tempi del genocidio di Gaza

As winter weather sets in, displaced Palestinians in Gaza endure additional hardships. (Photo: via WAFA)

By Noor Alyacoubi

Abdel Jawwad e Ihsan avevano immaginato che Elias portasse la pace nelle loro vite, che il suo pianto non simboleggiasse la paura, ma un nuovo inizio.

Abdel Jawwad era travolto dalle emozioni mentre contava i giorni che mancavano all’arrivo del suo primo figlio, un bambino che lui e sua moglie avevano già deciso di chiamare Elias.

Nonostante la realtà soffocante del genocidio israeliano a Gaza – una realtà che spegneva anche i più tenui barlumi di gioia – Abdel Jawwad voleva sognare un futuro più radioso.

Dal profondo del suo cuore, sperava nella fine della guerra, in un miracolo che avrebbe permesso a suo figlio di nascere in un mondo libero dalla paura e dal terrore. Tuttavia, a Gaza, i sogni spesso si sgretolano sotto il duro peso della realtà.

Una settimana prima del parto, quei sogni si sono infranti.

All’inizio di ottobre, l’esercito israeliano ha lanciato un attacco improvviso, intenso e su larga scala contro il campo di Jabaliya. Il nord della Striscia di Gaza è diventato una trappola mortale, mentre le bombe piovevano sui quartieri residenziali.

Mentre le forze israeliane invadevano le zone settentrionali, prendendo di mira tutto e tutti, Abdel Jawwad, insieme alla moglie incinta, Ihsan, al fratello minore e ai suoceri della sorella, è fuggito dalla propria casa nel quartiere di Al-Salateen, a ovest del campo di Jabaliya. Poco dopo, l’intera area settentrionale è stata assediata.

Hanno lasciato tutto ciò che possedevano: la casa, i ricordi e i preparativi per Elias erano ora alla mercé degli aerei da guerra.

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“Pensavamo che sarebbe stato un attacco militare rapido e urgente su Jabaliya, che sarebbe finito in un paio di giorni”, ha detto ironicamente Abdel Jawwad. “Ho preso solo due piccole borse nere con pochi vestiti per me, mia moglie e il nostro bambino non ancora nato”.

Prima dell’attacco di Jabaliya, Abdel Jawwad e Ihsan avevano riversato il loro amore e la loro speranza nei preparativi per l’arrivo di Elias. La famiglia di Ihsan aveva regalato loro vestiti per bambini e articoli di prima necessità per un valore di oltre 500 dollari e una culla del costo di quasi 300 dollari.

“Volevano solo rendere felice Ihsan e sollevarle il morale in mezzo a questa realtà di dolore”, si rammarica Abdel Jawwad. “Ma eccoci qui, sfollati e persi”.

Abdel Jawwad e Ihsan erano convinti che Elias potesse portare un po’ di pace nelle loro vite, che il suo pianto non fosse simbolo di paura, ma di un nuovo inizio. Ma ora erano sfollati, con solo due tutine da neonato, prese nell’eventualità fosse nato durante l’allontanamento forzato da casa.

I giorni passavano e la data del parto era stata superata.

Lo stress dello sfollamento, la perdita del fratello in un attacco missilistico israeliano e l’incertezza sulla loro casa hanno pesato molto sulla sua salute mentale e fisica. Durante i nove mesi di gravidanza, Ihsan ha sofferto anche per la mancanza di cibo, imputabile al blocco imposto da Israele.

I medici hanno scoperto che la salute di Ihsan si stava deteriorando e gli sbalzi di pressione hanno reso necessario un cesareo d’emergenza. Il 15 ottobre è nato Elias.

L’arrivo di Elias ha portato una gioia dolceamara. “La nostra felicità era incompleta”, racconta Abdel Jawwad. “Ero preoccupato per mia moglie, che ha sofferto di complicazioni dopo l’intervento, e non riuscivo a smettere di pensare se la nostra casa fosse ancora in piedi o fosse stata distrutta”.

A causa della mancanza di nutrimento essenziale – uova, carne, pollame, frutta e verdura – necessario per la guarigione di Ihsan, la ferita non è guarita correttamente. Sono insorte gravi infezioni che le hanno causato dolori addominali lancinanti per oltre un mese. Il dolore si è aggiunto al peso finanziario ed emotivo di Abdel Jawwad.

Con i trasporti a Gaza paralizzati dalla mancanza di carburante, Abdel Jawwad ha dovuto assumere un’infermiera privata che si recasse a casa loro tre volte alla settimana per curare la ferita di Ihsan.

Nonostante questi sforzi, le sue condizioni sono peggiorate. Alla fine, Abdel Jawwad ha organizzato il trasporto di Ihsan all’ospedale Al-Hilal, che dista tre chilometri.

L’affitto di un taxi privato per diversi viaggi ha messo ulteriormente a dura prova le loro magre finanze.

Le sofferenze di Ihsan sono durate due mesi, prima che la ferita guarisse.

Allo stesso tempo, la coppia ha dovuto affrontare delle difficoltà per procurare i vestiti al bambino Elias.

I prezzi alle stelle a Gaza rendevano impossibile per Abdel Jawwad comprare nuovi vestiti.

“Alcuni amici e membri della famiglia ci hanno dato qualche vestito per Elias”, ha detto.

“Ci stiamo arrangiando con quello che ci è stato dato. Nessuno dei vestiti nuovi che abbiamo comprato per lui prima di fuggire è stato usato”.

Il peso delle difficoltà

Abdel Jawwad, 30 anni, si è sposato il 3 settembre 2023, appena un mese prima che Israele scatenasse la sua guerra su Gaza. Il fidanzamento e il matrimonio sono stati organizzati frettolosamente in due mesi.

“Volevo rendere felice mio padre prima che si curasse all’estero per il cancro”, ha spiegato Abdel Jawwad in tono affranto.

“La felicità è entrata a malapena nella nostra casa prima che fosse di nuovo inghiottita dalle tenebre”.

Fin da piccolo, Abdel Jawwad ha portato il peso delle difficoltà della sua famiglia.

Studente brillante e distinto, fu costretto ad abbandonare gli studi dopo il 12° anno per mantenere i genitori e i sei fratelli. “Sapevo che se mi fossi diplomato, avrei avuto il cuore spezzato vedendo i miei amici andare all’università mentre io non potevo”, ha detto. “Volevo proteggermi da quel dolore, sapendo che la mia famiglia non poteva permetterselo”.

A 17 anni, Abdel Jawwad ha dovuto rinunciare ai suoi sogni per lavorare. Ha lavorato in fucine, falegnamerie e negozi di tessuti, guadagnando quello che poteva per tenere a galla la sua famiglia. Ogni dollaro risparmiato era destinato al suo sogno di matrimonio.

Dopo quasi dieci anni di duro lavoro e con l’aiuto di amici e familiari, riuscì ad assicurarsi un modesto appartamento vicino alla casa dei genitori e ad arredarlo. Il suo matrimonio è stato un raro momento di gioia nella sua vita.

“Ero così felice di iniziare la mia vita con mia moglie”, ha detto. “Speravo in giorni che avrebbero compensato gli anni di lotta”.

Ma la gioia è durata poco.

Quando il 7 ottobre 2023 è iniziata l’aggressione israeliana, Abdel Jawwad e la sua famiglia sono stati costretti a evacuare la loro casa nel nord di Gaza, a Beit Lahia. Il padre, la madre e i due fratelli più piccoli si trasferirono a sud per attendere i permessi medici per le cure del padre all’estero.

Tragicamente, il padre ha rcevuto il permesso e lasciò Gaza, ma la madre e i fratelli rimasero intrappolati a sud dai posti di blocco imposti da Israele che dividevano la Striscia in due.

Nel frattempo, Abdel Jawwad è rimasto nel nord, destreggiandosi tra la responsabilità di prendersi cura della moglie, del fratello minore e della famiglia della sorella e la preoccupazione per la madre e i fratelli nel sud.

“Alla luce dei prezzi alle stelle e della mia disoccupazione, riesco a malapena a cavarmela”, ha detto. Gli ex datori di lavoro hanno occasionalmente offerto un aiuto finanziario, ma non è stato sufficiente. “Sento il peso di tutto questo: i costi alle stelle, la mancanza di lavoro e la costante incertezza. Ma devo andare avanti. Non c’è altra scelta”.

Abdel Jawwad sogna il giorno in cui si riunirà ai genitori e al fratello minore, che ha visto per l’ultima volta nell’ottobre 2023. Si aggrappa alla speranza di tornare nella sua casa di famiglia, anche se non sa se quel giorno arriverà mai.

Soprattutto, desidera per Elias una vita serena e tranquilla, una vita non toccata dalla guerra e dal terrore, dove suo figlio possa crescere libero dalla paura. Per Abdel Jawwad, questa visione di un futuro migliore per Elias è la luce che lo guida attraverso le tenebre.

(The Palestine Chronicle)

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