Mohammed è tornato a casa, dove era stato arrestato, ma la sua mente è rimasta nella prigione israeliana. Le immagini dei prigionieri non lo hanno abbandonato, non riesce a dimenticarle.
La famiglia di Mohammed Nazzal ha urlato per lo sgomento quando lo ha rivisto per la prima volta, dopo tre mesi. Le sue mani erano avvolte in un panno bianco, non era in grado di muoverle e inoltre aveva perso molto peso.
Mohammed, 17 anni, è uno tra le decine di bambini palestinesi rilasciati nell’accordo di scambio prigionieri tra il governo israeliano e il movimento di resistenza palestinese Hamas.
Un totale di 240 donne e bambini palestinesi sono stati liberati dal carcere nel corso di una settimana, in cambio della detenzione di oltre 80 prigionieri israeliani nella Striscia di Gaza.
Ricordi dolorosi
Il 24 agosto, venti soldati israeliani hanno fatto irruzione nella casa di Mohammed, nella città di Qabatiya, a sud di Jenin. Lo hanno arrestato nonostante la sua giovane età, lo hanno legato e bendato.
“Mi hanno picchiato davanti alla mia famiglia, mio fratello ha urlato contro di loro, e quindi hanno picchiato anche lui. Mi hanno portato fuori casa fino al veicolo militare, poi all’insediamento di Dotan, a ovest di Jenin”, ha raccontato.
Lungo la strada Mohammed è stato preso a calci, e picchiato senza sosta con il calcio dei fucili dei soldati israeliani, urlava per il dolore.
Ha riferito al Palestine Chronicle di essere stato trasferito nel campo militare di Huwwara, a sud di Nablus. Laggiù la situazione è deplorevole. I prigionieri palestinesi sono sottoposti a maltrattamenti, fame e umiliazioni.
“I soldati israeliani urlavano e ci deridevano continuamente. Il cibo era sporco e non c’erano vestiti” racconta.
Dopo nove giorni, Mohammed è stato trasferito nella prigione di Megiddo. Lì le condizioni sono leggermente migliorate, ma l’amministrazione penitenziaria ha rifiutato la richiesta di collocarlo nella sezione infantile, il pretesto è stato l’avvicinarsi dei suoi 18 anni.
Senza accusa e senza processo, è stato posto in detenzione amministrativa per sei mesi. Questo periodo può essere prolungato a seconda dell’umore dell’intelligence israeliana, la quale decide quante volte può essere prorogato.
Brutalità
Dopo il 7 ottobre, in concomitanza con l’inizio dell’aggressione israeliana sulla Striscia di Gaza, l’amministrazione carceraria israeliana ha peggiorato ulteriormente le condizioni dei detenuti palestinesi.
“Hanno attaccato tutte le sezioni (della prigione) e picchiato i prigionieri. Ci hanno lanciato contro dei cani poliziotto che mi hanno morso le gambe, nessuno dei carcerieri è intervenuto per fermarli”.
I pestaggi avvenivano quasi ogni giorno, ha detto Mohammed. Nessun prigioniero è stato risparmiato, indipendentemente dall’età o dalle condizioni di salute.
Tutti hanno riportato fratture e contusioni.
Dopo settimane, con ferite alle gambe mai curate, Mohammed è stato trasferito nella prigione di Naqab, nel deserto del sud di Israele, dove è stato sottoposto a vari tipi di tortura.
“Le unità di repressione hanno ripetutamente preso d’assalto le celle e ci hanno picchiato. Dieci giorni prima del mio rilascio, più di sei soldati israeliani mi hanno aggredito, picchiato e calpestato la mia testa. Ho sentito il suono delle mie dita che si rompevano”, ha aggiunto.
Mohammed è rimasto a terra. Quando le forze di repressione se ne sono andate, gli altri prigionieri sono accorsi ad aiutarlo.
Non riusciva a muovere le mani e la sua schiena era coperta di lividi.
“Gridavo ai carcerieri di portarmi in clinica per curarmi, ero certo che ci fossero delle fratture, perché le mie dita si sono gonfiate e sono diventate blu, ma loro hanno risposto maledicendomi”.
La sofferenza di Mohammed è continuata per dieci giorni, quelli che hanno preceduto la sua liberazione dal carcere. Non poteva mangiare o bere da solo, né andare in bagno. È stato aiutato dagli altri prigionieri.
Racconta Mohammed di aver assistito a scene strazianti in cella: un prigioniero anziano che piangeva per l’intenso dolore dopo essere stato picchiato, un altro che urlava supplicando di essere curato, e un terzo i cui vestiti erano pieni di sangue.
Le autorità carcerarie non hanno avuto pietà di anziani e bambini, anzi hanno intensificato le percosse approfittando della loro debolezza, aggiunge Mohammed.
Trattamento orribile
Mohammed non sapeva che sarebbe stato tra i rilasciati. Lui e gli altri prigionieri, infatti, non erano a conoscenza degli accordi sugli scambi.
L’amministrazione penitenziaria israeliana ha confiscato tutto dalle celle dei prigionieri, isolandoli dal mondo esterno.
Le autorità sono andate nella sua cella e lo hanno chiamato per nome, quindi lo hanno picchiato ancora una volta e poi lo hanno portato in una stanza. Pensava che sarebbe stato sottoposto a un interrogatorio o all’isolamento.
“Non sapevo che mi avrebbero rilasciato finché non mi hanno accompagnato sull’autobus della Croce Rossa. Non riuscivo a salire, gli operatori mi hanno aiutato, chiedendomi come mai facessi tanta fatica. Ho detto loro di essere stato picchiato selvaggiamente, e quindi mi hanno fasciato le mani”, ci ha spiegato Mohammed.
La famiglia di Mohammed è rimasta scioccata da quel che gli è successo. Lui cerca di rassicurarli, nonostante il dolore.
È stato portato al Palestine Medical Complex di Ramallah, dove i medici hanno potuto effettuare esami e radiografie. I risultati hanno confermato la frattura di due dita, e che il processo di riparazione ossea stava avvenendo in modo errato.
I medici sono stati costretti a rompergli ancora le dita, provocandogli nuovamente un dolore terribile. Nelle prossime settimane dovrà sottoporsi a un intervento chirurgico per impiantare placche nelle mani.
Mohammed è tornato nella sua casa, dove era stato arrestato, ma la mente è rimasta nel carcere israeliano. Le immagini dei prigionieri non lo hanno abbandonato, non può dimenticare.
“La loro libertà è la cosa più importante. Sono tutti feriti a causa delle percosse, sono privati di cibo adeguato e perfino dell’acqua. Non hanno vestiti, né coperte. Stanno tutti soffrendo, nessuno escluso,” dice infine Mohammed.
(Traduzione inglese di Cecilia Parodi. Leggi l’originale inglese qui)
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