Il Redde Rationem dell’Occidente: La marea si sta finalmente rivoltando contro Israele?

Is the West finally turning against Israel? (Design: Palestine Chronicle)

By Ramzy Baroud

Il sangue prezioso di centinaia di migliaia di innocenti palestinesi a Gaza merita che la storia venga finalmente cambiata.

Sta davvero accadendo? L’Occidente si sta rivoltando contro Israele? Oppure, spinti dalla speranza o dalla disperazione, ci stiamo semplicemente abbandonando alle illusioni? La questione non è così semplice.

Lo scorso luglio, un numero significativo di paesi e organizzazioni ha firmato la “Dichiarazione di New York”, un documento forte che ha seguito un incontro di alto livello intitolato “Conferenza sulla soluzione pacifica della questione di Palestina”.

La conferenza stessa e la sua conclusione audace meriterebbero una conversazione più approfondita. Quel che conta, tuttavia, è l’identità dei paesi coinvolti. Oltre agli Stati che tradizionalmente hanno sostenuto la giustizia internazionale e il diritto in Palestina, molti firmatari erano paesi che in passato avevano sempre appoggiato Israele a prescindere dal contesto o dalle circostanze.

Tra questi, soprattutto paesi occidentali come Australia, Canada e Regno Unito. Alcune di queste nazioni dovrebbero inoltre riconoscere formalmente lo Stato di Palestina a settembre.

Naturalmente, nessuno si illude sull’ipocrisia di sostenere la pace in Palestina mentre si continua ad armare la macchina da guerra israeliana che sta perpetrando un genocidio a Gaza. Ciò nonostante, il cambiamento politico è troppo significativo per essere ignorato.

Nel caso di Irlanda, Norvegia, Spagna, Lussemburgo, Malta, Portogallo e altri ancora, si può spiegare la crescente frattura con Israele e la difesa dei diritti dei palestinesi sulla base di dati storici. Infatti, la maggior parte di questi paesi ha sempre oscillato tra la linea comune occidentale e un approccio più umanistico alla causa palestinese. Questo cambiamento era iniziato già anni prima del genocidio in corso.

Ma come spiegare le posizioni di Australia e Paesi Bassi, due dei governi più strenuamente filo-israeliani al mondo?

Nel caso dell’Australia, i media sostengono che l’attrito sia iniziato quando il governo federale ha negato il visto a un parlamentare estremista israeliano, Simcha Rothman, per un tour di conferenze.

Israele ha reagito immediatamente revocando i visti a tre diplomatici australiani in Palestina occupata. Questa mossa non era una semplice ritorsione, ma l’inizio di una campagna virulenta del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per scatenare una guerra diplomatica contro l’Australia.

“La storia ricorderà Albanese per quello che è: un politico debole che ha tradito Israele e abbandonato gli ebrei australiani,” ha dichiarato Netanyahu, ricorrendo ancora una volta alla sua logica di menzogne e manipolazioni.

La rabbia di Israele non era direttamente legata al visto di Rothman. Quest’ultimo è stato solo un pretesto per Netanyahu per reagire alla firma australiana della Dichiarazione di New York, alla decisione di riconoscere la Palestina e alle crescenti critiche contro il genocidio in corso a Gaza.

Sebbene Albanese non abbia risposto direttamente a Netanyahu, il suo ministro degli Interni, Tony Burke, sì. Alle accuse di debolezza, ha replicato sostenendo con coraggio che “la forza non si misura da quante persone puoi far saltare in aria.”

Questa dichiarazione è tanto vera quanto autoaccusatoria, non solo per l’Australia ma per altri governi occidentali. Per anni, e più volte durante il genocidio, i leader australiani hanno ripetuto che “Israele ha il diritto di difendersi.” Poiché far esplodere esseri umani difficilmente equivale a difesa, ne consegue che Canberra abbia sempre saputo che la guerra di Israele non era altro che una serie di crimini di guerra. Perché allora questo improvviso, seppur ancora poco convincente, cambiamento di posizione?

La risposta è direttamente collegata alla mobilitazione popolare in Australia. In una sola domenica di agosto, centinaia di migliaia di australiani sono scesi in piazza nella più grande manifestazione pro-Palestina nella storia del paese, secondo gli organizzatori. Le marce si sono svolte in oltre 40 città e paesi, inclusa una manifestazione gigantesca a Sydney, che ha riunito fino a 300.000 persone e paralizzato il celebre Harbour Bridge. Queste proteste, che chiedevano sanzioni e la fine del commercio di armi con Israele, hanno dimostrato l’enorme pressione esercitata sull’esecutivo.

In altre parole, è stato il popolo australiano a parlare veramente, opponendosi con coraggio sia a Netanyahu sia al rifiuto del proprio governo di adottare misure concrete per chiedere conto a Israele. Se qualcuno merita di essere elogiato per forza e determinazione, sono i milioni di australiani che continuano instancabilmente a mobilitarsi per la pace, la giustizia e la fine del genocidio a Gaza.

Allo stesso modo, la crisi politica nei Paesi Bassi, iniziata con le dimissioni del ministro degli Esteri Caspar Veldkamp il 22 agosto 2025, è indicativa del cambiamento insolitamente significativo nella politica europea verso Israele e Palestina.

“Le azioni del governo israeliano violano i trattati internazionali. Bisogna tracciare una linea,” ha dichiarato Eddy van Hijum, leader del partito Nuovo Contratto Sociale e vice primo ministro.

La “linea” è stata tracciata, e rapidamente, quando Veldkamp si è dimesso, provocando a catena le dimissioni di altri ministri chiave del governo. L’idea che una grande crisi politica nei Paesi Bassi potesse essere scatenata dai crimini di guerra israeliani in Palestina sarebbe stata impensabile in passato.

Il cambiamento politico nei Paesi Bassi, così come in Australia, non sarebbe avvenuto senza la mobilitazione popolare di massa contro il genocidio di Gaza, che continua a crescere in tutto il mondo. Sebbene in passato si fossero svolte proteste pro-Palestina, non avevano mai raggiunto la massa critica necessaria a costringere i governi ad agire.

Anche se le azioni dei governi rimangono timide e riluttanti, la spinta è innegabile. Il potere delle persone sta dimostrando di essere più che in grado di convincere alcuni governi a imporre sanzioni e a interrompere i rapporti diplomatici con Israele, non solo attraverso la pressione delle piazze ma anche attraverso quella delle urne.

L’Occidente non si è ancora completamente rivoltato contro Israele, ma potrebbe essere solo questione di tempo. Il sangue prezioso di centinaia di migliaia di innocenti palestinesi a Gaza merita che la storia venga finalmente cambiata. I bambini della Palestina meritano questo risveglio globale della coscienza.

- Ramzy Baroud is a journalist and the Editor of The Palestine Chronicle. He is the author of six books. His latest book, co-edited with Ilan Pappé, is “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Dr. Baroud is a Non-resident Senior Research Fellow at the Center for Islam and Global Affairs (CIGA). His website is www.ramzybaroud.net

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