Tre settimane di tregua per i cittadini di Gaza non sono state sufficienti, non è stato possibile riprendersi dalle dure condizioni sopportate fin dall’inizio del genocidio.
Ad aprile, i residenti della Striscia di Gaza devastata hanno sperimentato un breve sollievo, dopo quasi sette mesi di gravissime condizioni umanitarie dovute al blocco israeliano. All’inizio di maggio, Israele ha annunciato l’inizio dell’operazione militare nella città meridionale di Rafah.
Successivamente, il valico di Karem Abu Salem – unico passaggio commerciale attraverso il quale merci e aiuti possono entrare nella Striscia – è stato chiuso, lasciando Gaza, soprattutto nella zona settentrionale, ad affrontare di nuovo lo spettro della fame.
“I mercati sono ormai letteralmente vuoti. La situazione è ancora peggiore rispetto al periodo prima della metà di aprile”, ha riferito al Palestine Chronicle Abu Elias, un sopravvissuto di 35 anni, residente nel nord di Gaza.
“Tutto quello che puoi trovare, ad oggi, quando cammini per le strade di Gaza, sono solo alcuni prodotti per la pulizia. Non c’è modo di trovare verdura, frutta, carne, e nemmeno fagioli”.
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Lasciare tutto alle spalle
Tre settimane di tregua per i cittadini di Gaza non sono state sufficienti, non è stato possibile riprendersi dalle dure condizioni sopportate fin dall’inizio del genocidio.
Sebbene il valico di Karem Abu Salem sia stato riaperto dall’esercito israeliano, circa dieci giorni fa, Israele continua a negare l’ingresso di qualsiasi camion di aiuti nel nord di Gaza, abbandonando innumerevoli famiglie in una disperata lotta per la sopravvivenza.
In parallelo all’operazione di Rafah, l’esercito israeliano ha avviato un’altra implacabile operazione nel nord di Gaza, costringendo le persone a evacuare i propri rifugi sotto minaccia di pesanti bombardamenti, e a lasciarsi alle spalle tutto ciò che erano riusciti ad accumulare.
Abu Elias, che ha perso la casa nel campo di Jabaliya nell’ottobre del 2023, ha vissuto la nuova ondata di sfollamenti, e ha cercato rifugio nella parte occidentale della città.
“Tutto quello che ero riuscito a comprare nelle settimane precedenti, l’ho dovuto lasciare”.
Senza mezzi di trasporto disponibili, Abu Elias e la moglie, incinta di sei mesi, hanno dovuto camminare per circa sei chilometri dalla zona di Al-Amoudy al quartiere di Al-Jalaa.
Come molti altri, Abu Elias ha perso il suo modesto mestiere, sul quale faceva affidamento per il reddito quotidiano. Abu Elias lavorava in un negozio di tende.
“I beni di prima necessità sono assenti dai mercati e i prezzi sono saliti alle stelle”, ha affermato, sottolineando le sue difficoltà economiche e la conseguente impossibilità di soddisfare i bisogni personali e familiari, compresi i farmaci per la moglie.
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A mani vuote
“A metà aprile, i mercati erano inondati di prodotti freschi, farina e biscotti”, ha detto Yousef, un altro sopravvissuto nel nord di Gaza.
“Ovunque andassi, vedevo faccine sorridenti. Le persone erano felicissime di poter portare sacchi di frutta e verdura ai loro bambini”. Ma la gioia è svanita in fretta.
Secondo Yousef, le persone non sono riuscite ad accumulare grandi quantità di razioni per diversi motivi. Innanzitutto, per la loro capacità finanziaria limitata. In secondo luogo, durante il processo di sfollamento, l’unica preoccupazione è fuggire dalla morte, il che rende impossibile il trasporto di rifornimenti. Infine, nessuno di loro si aspettava che la carestia incombesse nuovamente.
Sebbene Israele attualmente permetta ad alcuni aiuti umanitari di entrare nel nord di Gaza attraverso il valico di Erez, l’operazione è del tutto inadeguata a soddisfare i bisogni di circa mezzo milione di palestinesi. E per aggravare la situazione umanitaria, Israele impedisce anche qualsiasi attività commerciale attraverso il valico.
I cittadini devono attendere il proprio turno per ricevere un sacco di farina o un pacchetto di cibo dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati palestinesi (UNRWA), un processo che potrebbe richiedere un mese o anche più. I mercati dipendono da quel che i cittadini vendono con i loro buoni UNRWA.
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“Vado ai mercati popolari due o tre volte al giorno, e spesso torno a casa a mani vuote a causa della mancanza di ciò di cui ho bisogno, o dei prezzi esorbitanti”, ha detto Yousef.
“Tutto quel che puoi trovare nei mercati sono cibi in scatola”, ha spiegato.
Nonostante il concreto bisogno di aiuti umanitari, Yousef, come migliaia di altre persone, li trova umilianti.
“Abbiamo bisogno che questa terribile guerra finisca”, ha espresso con rabbia. “Gli aiuti sono solo uno strumento per distrarre la popolazione di Gaza dal vero dolore. Non vogliamo vivere di fagioli in scatola e hummus”.
Yousef ritiene che Israele stia facendo tutto il possibile per rafforzare la presa sui cittadini del nord di Gaza, come punizione al loro rifiuto di fuggire verso sud. “Credo che il progetto israeliano, che mira a far migrare tutti gli abitanti di Gaza, sia ancora in atto”, ci ha detto.
Oltre alle restrizioni alla circolazione delle merci, dall’inizio di maggio sono stati bloccati anche i lanci degli aiuti, gettando la popolazione locale in una crisi più profonda.
La situazione umanitaria nel nord di Gaza è ancora una volta sull’orlo di una vera carestia, ma i media non prestano sufficiente attenzione a questo scenario critico.
Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui.
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