‘Ti devono stu**are’ – Donne pro Palestina in Italia nel mirino della violenza sessista

L’attivista italo-palestinese Maya Issa, membro del Movimento Studenti Palestinesi, al corteo del 25 aprile a Roma. (Photo: Matteo Nardone, via IG)

By Dalia Ismail

Il Palestine Chronicle ha parlato con le donne che sono state oggetto di insulti e intimidazioni molto gravi da parte di uomini della Brigata Ebraica il 25 aprile.

Il 25 aprile, durante le celebrazioni per la giornata della Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista, membri della Brigata Ebraica hanno attaccato il corteo per la Palestina con bombe carta, come riportato dagli stessi manifestanti e dai media italiani.

Durante l’assalto al corteo pro-Palestina sono accaduti due episodi particolari di violenza sessista, uno dei quali ripreso in un video diffuso sui social media.

La brutalità delle aggressioni verbali ha scosso i manifestanti e attirato l’attenzione degli attivisti e del pubblico più attento.

Repressione sistematica: L’attacco della Brigata Ebraica al corteo pro-Palestina non è un caso isolato

Il Palestine Chronicle ha parlato con le donne che sono state oggetto di insulti e intimidazioni molto gravi da parte di uomini della Brigata Ebraica.

‘Ti devono stuprare’

L’attivista italo-palestinese Maya Issa, membro del Movimento Studenti Palestinesi e volto noto in questi mesi come guida dei cortei per la Palestina nella capitale italiana, ha riferito al Palestine Chronicle Italia di essere stata vittima di insulti sessisti molto pesanti e di incitamento allo stupro da parte degli uomini dell’associazione filoisraeliana che, storicamente, ha contribuito alla nascita dello stato sionista.

“Ti devono stuprare come le donne ebree il 7 ottobre”,un uomo le ha urlato al megafono, come si evince da vari video circolati sui social.

“Mi è stato urlato anche “pu**ana” e mi hanno mostrato ripetutamente il dito medio”, Maya ci ha raccontato.

Secondo i testimoni, nonostante la presenza della polizia che separava i due gruppi, alcuni individui della Brigata Ebraica hanno cercato attivamente lo scontro con i manifestanti pro Palestina.

I partecipanti al corteo hanno riferito di essere stati oggetto di provocazioni da parte di queste persone, che sembravano intenzionate a innescare lo scontro e la violenza.

“Sono stati lanciati quattro petardi, uno dei quali è esploso vicino ai piedi di una persona senza causare ferite gravi, mentre una scatola di piselli ha colpito una ragazza, fortunatamente senza conseguenze gravi”, ha aggiunto Maya.

Inoltre, i manifestanti hanno segnalato che sono stati lanciati sassi contro i giornalisti presenti, e una cronista è stata aggredita verbalmente, con fare minaccioso, mentre riportava la notizia dell’intervento delle forze dell’ordine contro due membri della Brigata Ebraica.

Maya, purtroppo, non è stata la sola donna a essere aggredita quel giorno.

Elisabetta è un’attivista romana di 47 anni.

Ci ha raccontato che il 25 aprile, durante il corteo, è stata circondata da un gruppo di dieci uomini con atteggiamenti minacciosi e aggressivi e che l’hanno coperta di insulti offensivi e denigratori, persino sputandole addosso.

La mia kefiah

“Io non mi tolgo la mia kefiah, la indosso fieramente come se fosse una seconda pelle”, Elisabetta ha raccontato al Palestine Chronicle Italia.

“Durante i primi mesi del genocidio, intorno a me trovavo solo silenzio e indifferenza. Ho provato molto dolore e solitudine: non riuscivo a capire perché sui social vedessi ogni giorno video e foto di un orrore devastante, assistendo in diretta a uno delle peggiori stragi di civili dell’epoca moderna, mentre in televisioni, sui giornali e per le strade si parlasse solo degli ostaggi israeliani,” aggiunge.

Ero incredula nel sentir ripetere ossessivamente il mantra: “Ma tu condanni Hamas?”. Passavo le giornate a piangere in solitudine.

Attraverso l’esperienza condivisa di altre persone online, Elisabetta ha trovato un senso di comunità e sostegno in un piccolo gruppo eterogeneo di individui provenienti da varie parti d’Italia, di diverse età e provenienze sociali.

Ciò che li univa era un profondo senso di umanità ed empatia verso la sofferenza del popolo palestinese, nonché una forte indignazione per il silenzio dei media occidentali di fronte al genocidio in corso.

Attraverso ciò che definiscono la loro “online intifada”, hanno lavorato incessantemente per diffondere immagini e informazioni che i media mainstream tendono a censurare.

“Abbiamo fondato una pagina Instagram, il @colibri4palestine che, a partire da ottobre, si presenta alle manifestazioni armato del suo striscione con su scritto: ‘Cessate il fuoco’.”

A Roma gli attivisti si riuniscono ogni sabato per manifestare pacificamente contro il genocidio israeliano. E ogni sabato Elisabetta sale sulla sua moto e indossa la kefiah per dirigersi con orgoglio e determinazione verso le manifestazioni.

“Il 25 Aprile ho fatto la stessa cosa: ho salutato mio figlio e mio marito, indossato la kefia, e sono salita in moto cantando canzoni per la Palestina. Avevo appuntamento con altri compagni di Colibrì, giunti da tutta Italia per manifestare solidarietà alla resistenza del popolo palestinese”, afferma Elisabetta.

“Conosco bene i miei compagni e sapevo che non avrebbero ceduto alle provocazioni per non passare dalla parte del torto. Siamo stati sempre molto corretti ad ogni manifestazione, non ho mai assistito a uno scontro in tutti questi mesi, ogni singola manifestazione a cui ho partecipato è stata pacifica e serena.”

Elisabetta ci racconta di aver parcheggiato la moto poco distante dal luogo dell’appuntamento per evitare il caos del corteo.

“Non appena ho parcheggiato la moto, ho preso la bandiera palestinese dal bauletto della moto e ho notato, a una trentina di metri da me, un gruppo di uomini che si avvicinava, urlandomi contro.

“Vattene! Te ne devi annà!,” mi dicevano, in dialetto romanesco, mentre mi accerchiavano con atteggiamento minaccioso e con fare aggressivo.

“Mi hanno anche ricoperto di insulti sessisti. Uno di loro ha tirato fuori una bandiera di Israele e l’ha posizionata sul parabrezza della mia moto, urlando: ‘Sventola questa di bandiera, brutta t**a, non quella.”

Elisabetta, in preda al panico, ha preso il cellulare per riprendere la scena.

“Ho capito che la mia unica arma di difesa in quel momento era il cellulare.”

Purtroppo, gli uomini, nel timore di essere ripresi, si sono voltati di schiena. “Mentre cercavo di allontanarmi con la moto, alcuni di loro hanno cominciato a sputarmi addosso.”

Elisabetta è ancora molto scossa per la violenza subita.

“Indossare la kefiah, per me, è un gesto di libertà e di giustizia e non immaginavo che potesse costituire un rischio per la mia incolumità fisica,” ci ha detto.

La donna ci racconta anche che non ha intenzione di lasciarsi intimidire.

“Non ho intenzione di far vincere la paura e non abbasserò la testa né mi toglierò la kefiah. Il terrorismo, la violenza, il bullismo e le prevaricazioni non vinceranno e non devono vincere mai”.

Aggressioni sistematiche

È importante notare come le aggressioni fisiche e verbali siano sistematiche, e non solo nella capitale.

Già il 25 november, al corteo lanciato dal movimento transfemminista Non Una di Meno in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Maya Issa era stata insultata e aggredita fisicamente solo perché sventolava la bandiera palestinese.

Mariam, un’attivista del movimento Giovani Palestinesi d’Italia, ha pubblicato mesi fa sulle sue storie instagram un’aggressione verbale molto pesante, subita in un negozio da parte di una signora, evidentemente razzista e sionista, nella città di Brescia.

Alla manifestazione del 25 aprile della città di Bergamo, Laila, un’altra membra dei GPI, è stata spinta con violenza da degli uomini facenti parte del Partito Democratico, per i suoi slogan pro Palestina, ha denunciato quel giorno nelle storie sul suo profilo personale instagram.

(The Palestine Chronicle)

- Dalia Ismail è laureata in scienze politiche e relazioni internazionali. Da anni si occupa di sensibilizzare su alcune tematiche politiche e sociali. Ha contribuito questo articolo al Palestine Chronicle Italia.

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