Shireen nel cuore di Roma: Un murales ricorda la giornalista palestinese uccisa da Israele

Un murales a Roma in ricordo della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh. (Photo: Supplied)

By Maya Issa

Lo scorso anno, Radio Roma mi ha chiesto un’intervista per parlare di Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese uccisa l’11 maggio scorso, mentre stava girando un servizio dal campo profughi di Jenin da un cecchino israeliano. Insieme ad una troupe di Al Jazeera, infatti, era entrata a Jenin per raccontare  l’irruzione delle forze d’occupazione israeliane al campo profughi.

Chiusi l’intervista dicendo: “Hanno ucciso Shireen ma la sua voce rimarrà viva.” Fu lì che avemmo l’idea di ricordarla in un murales e, insieme a Radio Roma e all’organizzazione Join The Resistance, anche loro promotori del progetto, ci siamo messi all’opera per realizzarlo.

Abbiamo pensato al murales perché rappresenta una forma di libera espressione innovativa, giovanile e senza eguali. È comprensibile a tutti, dai più grandi ai più piccoli.

Inoltre, l’ispirazione veniva dai murales che i palestinesi hanno rappresentato sul muro dell’apartheid, e che sono espressione di rabbia, dolore, sofferenza, diritti negati ma anche sogni e speranze. Quel muro riporta singoli episodi che, messi insieme, raccontano la catastrofe del mio popolo.

L’artista che ha realizzato il murales di Shireen a Roma è Erica Silvestri, educatrice e illustratrice non estranea all’attivismo per la Palestina. Tra i suoi libri, infatti figura anche ‘Il mio nome è Amal, una storia palestinese’.

Abbiamo pensato di realizzarlo nell’VIII Municipio di Roma, precisamente a Via Valco San Paolo, perché è un quartiere sensibile a temi di diritti sociali e civili e soprattutto perché è un quartiere dove la causa palestinese è molto sentita. Non è raro, mentre si cammina tra le sue strade, vedere scritte che inneggiano alla Palestina Libera, perché in questo quartiere, proprio come in Palestina, l’arte è stata spesso usata come forma di denuncia. Siamo stati molto soddisfatti quando l’VIII Municipio e la Federazione nazionale della stampa italiana hanno deciso di patrocinare la nostra iniziativa.

Shireen: La voce della Palestina

Quando è stata uccisa con un colpo alla testa sparato da un cecchino israeliano, Shireen indossava un gilet con la scritta PRESS. Sparare ad una giornalista chiaramente identificabile come tale è un crimine di guerra in base alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949.

Ad un anno dalla sua uccisione, ancora nessuna giustizia è stata fatta.

Purtroppo, quello di Shireen non è un caso isolato. I giornalisti palestinesi pagano un caro prezzo per il loro lavoro.  Israele, negli ultimi 20 anni, ha ucciso 55 giornalisti palestinesi e ne ha feriti altri 144.

Chiamo Shireen per nome perché, per 25 anni, lei è stata la voce della Palestina. È diventata un’icona, un simbolo della resistenza e del coraggio del popolo palestinese, una figura che unisce tutti i palestinesi, aldilà delle divisioni ideologiche, religiose o politiche.

Ricordare Shireen, quindi, serve a ricordare tutti quei giornalisti, quegli artisti, quei fotografi  che mettono in pericolo la propria vita, o addirittura la perdono, per raccontarci la verità. Per questo è  dovere nostro mantenere vivo il loro ricordo e diffondere il più possibile la loro voce.

Israele e l’ossessione del silenzio

Similmente a Shireen Abu Akleh, anche Ahmad Abu Hussein e Yasser Mortaja sono stati uccisi dai cecchini israeliani nel 2018, mentre seguivano le proteste della Grande Marcia del Ritorno, vicino la linea di confine che separa la striscia sotto assedio da Israele.

Anche due giornalisti italiani sono stati vittime della violenza israeliana: Raffaele Ciriello, ad esempio, era un giornalista freelance che si trovava in Cisgiordania nel 2002 per conto del Corriere della Sera e che è stato colpito a morte dai proiettili dei soldati israeliani. Simone Camilli, invece, era un videogiornalista di Associated Press che, nel 2014, è rimasto ucciso dall’esplosione di un missile israeliano nell’area settentrionale della striscia di Gaza.

Israele ha un’ossessione: ridurre i giornalisti al silenzio, perché questo significa mettere a tacere qualsiasi verità che smentisca la loro versione distorta dei fatti. In effetti, un anno fa, durante l’incessante bombardamento di Israele ai danni della Striscia di Gaza, i jet israeliani hanno raso al suolo un edificio contenente gli uffici di testate giornalistiche tra cui Associated Press e Al Jazeera.

Una democrazia si misura anche attraverso la libertà di stampa e in Israele concetti come

“Libertà di parola”, “libertà di espressione”, “libertà di stampa”, “libertà di manifestazione” non esistono. Questa è l’ennesima dimostrazione che Israele è un regime d’apartheid e non “l’unica democrazia in Medio Oriente”.

Shireen ha dimostrato, con il sacrificio della sua vita, la codardia di Israele e la sua paura per chiunque voglia diffondere la voce del popolo palestinese.

Ma la parola del popolo palestinese è più forte di ogni arma, carro armato o bulldozer, semplicemente perché è la parola della verità.

- Maya Issa è attivista e rappresentante dei giovani palestinesi di Roma. È studentessa di scienze politiche e relazioni internazionali presso l’università di Roma Tre. Ha contribuito questo articolo al Palestine Chronicle Italia.

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