By Dalia Ismail
Psicologia per la Palestina, una rete di psicologi e studenti di psicologia, nata durante il massacro di Gaza, vuole una concreta posizione politica sul genocidio.
Dopo aver raccolto oltre 3400 firme in 41 paesi, la rete Psicologia per la Palestina, ha inviato al Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, e 20 Ordini Regionali, una lettera che propone supporto psicologico, e l’organizzazione di eventi e seminari informativi per sensibilizzare la popolazione italiana sulla questione palestinese.
Solleva, inoltre, importanti questioni sulle disparità di trattamento, da parte dell’Ordine degli Psicologi, nei confronti delle numerose crisi umanitarie globali, evidenziando una discriminazione verso la comunità palestinese in Italia.
Viene sottolineato che l’Ordine degli Psicologi, non risulta neutrale e indipendente dalla linea politica dello Stato italiano. Nella lettera viene, per esempio, citato un evento, organizzato nel mese di gennaio dall’Ordine Regionale degli Psicologi della Lombardia, intitolato “Israele e Palestina: un dialogo oltre le divisioni”.
L’evento, l’unico organizzato sulla questione palestinese in sette mesi, è stato controverso per svariati motivi, tra cui l’omissione del termine “genocidio”, l’assenza di una visione storica esaustiva sulla questione palestinese, e la partecipazione di Emanuele Fiano, politico con posizioni filo israeliane ben note.
La sua presenza è stata ritenuta poco pertinente al contesto, inteso come momento di condivisione e conoscenza, ed estraneo alle ideologie di un partito politico.
L’impegno costante, da parte di psicologi e studenti di psicologia, mira a una visione professionale libera da pregiudizi eurocentrici, allo studio e alla cura dei traumi collettivi che derivano da violenze politiche e genocidi.
Ad oggi, solo l’Ordine degli Psicologi della regione Abruzzo ha accolto la richiesta di Psicologia per la Palestina, chiedendo espressamente un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e sottolineando l’importanza del supporto psicologico per le persone italo-palestinesi e palestinesi residenti in Italia, e per i palestinesi arrivati tramite corridoi umanitari durante questi mesi.
Al Salone del Libro di Torino, una delle psicologhe della rete ha affrontato David Lazzari, Presidente dell’Ordine degli Psicologi, non solo per rammentargli l’invio delle loro richieste, ma anche per chiedere pubblicamente una mobilitazione reale ed equa per Gaza, simile a quella messa in atto nel caso dell’Ucraina.
Lazzari ha risposto affermando che l’Ordine è stato sempre solidale con l’Ucraina, e ha espresso la volontà di approfondire la questione sollevata, sottolineando che il tema delle guerre e delle crisi globali è centrale per la professione psicologica, e che dovrebbe essere affrontato oltre le ideologie.
Una lotta contro l’approccio coloniale della psicologia
Camilla Ponti e Cecilia Pusineri, psicologhe e co-fondatrici di Psicologia per la Palestina, spiegano che l’iniziativa è nata per colmare un grave vuoto istituzionale e professionale nel trattamento della comunità palestinese in Italia, non solo in questi ultimi mesi. Una discriminazione che, secondo loro, danneggia la salute mentale dei palestinesi immigrati in Italia, e delle seconde generazioni.
“C’è bisogno di attenzione consapevole e decolonizzata nei confronti delle micro-aggressioni quotidiane, e del trauma sociale che caratterizza la vita di molte persone di origini palestinesi”, ha riferito Camilla a Gianluca Grimaldi per la sua inchiesta – pubblicata sul sito d’informazione InsideOver – sulla sofferenza dei palestinesi in Italia durante questi mesi.
Il silenzio dell’Ordine degli Psicologi, e degli Ordini Regionali, sull’intensificarsi del genocidio, è stato motivo di sgomento e indignazione per molti psicologi impegnati, invece, nella causa. Psicologia per la Palestina denuncia un evidente doppio standard nell’atteggiamento dell’Ordine, che aveva prontamente risposto con iniziative e supporto psicologico gratuito per curare gli effetti causati dalla questione ucraina, ma che ha ignorato totalmente la Palestina.
Procedure messe in atto anche dalle università, che avevano cessato gli accordi con le accademie russe a seguito dell’invasione dell’Ucraina, ma che continuano a collaborare con quelle israeliane, da tutti gli enti che si erano mobilitati per la distribuzione di aiuti umanitari a favore della comunità ucraina e, infine, dalla politica italiana, che sostiene la Resistenza ucraina, ma condanna quella palestinese.
Psicologia per la Palestina si propone di combattere questo tipo di discriminazione, che rifletterebbe, a loro avviso, un razzismo istituzionale.
“Il razzismo istituzionale è stato definito nel rapporto Lawrence (1999) del Regno Unito come: incapacità collettiva di un’organizzazione di fornire un servizio appropriato e professionale alle persone a causa del loro colore, cultura o origine”.
Decolonizzare la conoscenza
L’iniziativa non si limita alla denuncia delle disparità di approccio dell’Ordine, ma vuole sensibilizzare sulla complessità del trauma politico collettivo. La rete pro Palestina ha organizzato, nelle università italiane, laboratori e seminari centrati su opere di autori come Frantz Fanon , e incontri con esperti come la psichiatra e psicoterapeuta palestinese Samah Jabr, per ampliare la prospettiva e decostruire il sapere occidentale nel campo della psicologia.
Risulta evidente che la guerra in Ucraina, e il genocidio a Gaza, siano stati trattati in maniera diametralmente opposta sia dal Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, che dagli Ordini Regionali.
“Siamo qui per chiedere che il razzismo istituzionale venga eliminato dal campo della tutela della salute mentale. Siamo qui per chiedere una decolonizzazione della disciplina psicologica, pratica e teorica”, ha scritto la rete dei professionisti solidali alla Palestina nella petizione lanciata.
“Come difensori del diritto alla salute mentale, è nostro dovere deontologico, oltre che umano, prenderci cura di ogni soggettività, non solo di quelle bianche e occidentali. E questo dovere, come Ordine Nazionale, non lo stiamo rispettando”, ha aggiunto.
Il gruppo di Psicologia per la Palestina esige una presa di posizione netta contro il genocidio, oltre all’erogazione di servizi di supporto psicologico gratuito e alla diffusione di contenuti educativi sulla causa palestinese.
L’iniziativa continua a raccogliere adesioni e supporto, da parte di professionisti e cittadini, interessati a una pratica psicologica realmente inclusiva, impegnata sul piano politico e umanitario. Psicologia per la Palestina vuole essere una voce che sfida le istituzioni per promuovere una psicologia centrata sulla giustizia sociale, e sulla decolonizzazione.
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